Cultura

Il solstizio d'Inverno e le
grandi gelate del fiume Po

Inverni come quelli del 1929, del 1985, del 1709 o del 1481 (per citarne alcuni) potrebbero ripetersi? Nulla può escluderlo. Nonostante il riscaldamento globale, che non può essere negato ed è certificato da dati incontrovertibili, l’estremizzazione climatica

Quella del 21 dicembre è una data di particolare importanza perché, a pochi giorni dal Natale, è quella che segna il celeberrimo solstizio d’inverno, che quest’anno cadrà alle 22.47. E’ naturalmente il giorno più corto dell’anno; a partire da questo momento, inizia l’inverno astronomico, che terminerà il 21 marzo, con l’equinozio di primavera. Tutto pronto, dunque, per la notte più lunga dell’anno, e quindi, anche per il giorno con il minor numero di ore di luce, quello in cui il Sole illuminerà il cielo per appena 9 ore e 7 minuti.

Il solstizio d’inverno, giusto ricordarlo, non capita sempre nello stesso giorno e può cadere tra il 20 e il 23 dicembre. Si tratta di casi rarissimi: l’ultima volta che un solstizio di inverno è stato il 23 dicembre era, infatti, il 1903, oltre un secolo fa. Il solstizio d’inverno, come noto, è quel momento in cui il Sole, nel suo moto apparente lungo le costellazioni dello Zodiaco, raggiunge la posizione più a Sud dall’equatore celeste, che è la proiezione nel cielo dell’equatore terrestre. Da questo istante in poi il sole inizierà a “risalire” verso l’equatore celeste e le ore di luce aumenteranno gradualmente fino a raggiungere il culmine fra sei mesi, nel solstizio d’estate.

Per questo, sin dalla preistoria è stato attribuito al solstizio d’inverno il significato sacro del trionfo della luce sulle tenebre. Quella del 21 dicembre era una data attesa già 3mila anni fa nelle ‘Stonehenge’ d’Italia, da Petre de la Mola in Basilicata ai megaliti della valle del Belice in Sicilia. I calendari in pietra italiani risalgono quasi tutti alla Tarda Età del Bronzo e sono stati costruiti con la stessa tecnica di Stonehenge in Gran Bretagna, che consiste nell’osservare la posizione del sole nel giorno più corto o più lungo dell’anno e creare dei “punti di mira”. In Puglia, invece, a Trinitapoli, ci sono buche scavate nella roccia, allineate con la direzione del Sole, nel solstizio d’inverno e d’estate.

Un’altra tradizione precristiana legata a questo giorno è inoltre la festa di Yule o Juul. Veniva celebrata in Scandinavia con l’accensione di fuochi, simbolo della luce di cui si auspicava il ritorno. Inoltre, un ceppo d’albero veniva portato in casa, come omaggio al dio Thor. La legna del ceppo o di un intero albero, doveva riscaldare la casa per i successivi 12 mesi. Le ceneri venivano poi utilizzate come fertilizzante e buon auspicio per un florido raccolto nella primavera successiva. Del resto le festività legate al solstizio d’inverno erano diffuse praticamente in tutte le antiche civiltà. I romani, ad esempio, festeggiavano i Saturnali: a partire dal 17 dicembre, per una settimana, tenevano banchetti in onore di Saturno, padre di Giove e quindi di tutti gli Dei.

Il giorno iniziale veniva celebrato con sacrifici al tempio e con lo scambio di regali. Questo Natale ante-litteram era anche l’occasione per cancellare debiti e pene carcerarie; le guerre venivano interrotte, era permesso scommettere legalmente e gli schiavi venivano serviti dai propri padroni. Di fatto, l’aspetto positivo è che le ore di luce tenderanno ad aumentare proprio dal 21 Dicembre. Con il solstizio d’inverno, infatti, nel cosmo avviene una piccola rivoluzione i cui effetti condizionano anche la vita sulla Terra. Si entra nel cosiddetto inverno astronomico: il periodo dell’anno in cui il sole, nel suo moto apparente lungo l’eclittica, raggiunge la massima distanza angolare rispetto all’equatore celeste (e si posiziona nel punto più meridionale nella sua orbita apparente intorno alla Terra).

Si entra dunque nell’inverno ed è lecito chiedersi che tipo di stagione ci attenderà. Verrebbe facile rispondere con il classico “chi vivrà, vedrà”, ed è naturale che sia così. Di certo, a fronte degli incontestabili e dimostrabilissimi cambiamenti climatici in corso, bisogna dire che già da diversi anni si sta assistendo ad inverni particolarmente miti, con temperature che nel peggiore dei casi scendono di una manciata di gradi sotto zero. Con buona pace di chi, per vendere forse qualche giornale in più, o per avere un po’ più di audience televisivo (e questo va proprio detto), fa titoli sensazionalistici parlando di “temperature polari”, “inverni siberiani” e battezza gli anticicloni (così come accade d’estate) con nomi impressionanti, arrivando anche a “scomodare” Lucifero. Non ne abbiano troppo a male quelli che, purtroppo con poca onestà professionale e intellettuale, sparano titoloni a sensazione. Loro le temperature “polari” o “siberiane” non le hanno mai viste né avvertite.

Non lo dice chi scrive queste righe, che comunque ha vissuto in prima persona e ricorda benissimo l’inverno del 1985 quando le temperature sfiorarono anche i 25 gradi sotto zero. Lo dice soprattutto la storia, con le sue innumerevoli testimonianze. Nei secoli passati ci furono inverni talmente rigidi, da congelare il Grande fiume al punto da permettere alla gente di attraversarlo a piedi. L’ultimo di questi inverni fu quello del 1929. Ma ci furono situazioni anche più “siberiane” o “polari” (per chi ama questi termini) in passato. Le più grandi gelate del Po avvennero negli anni 1126, 1152, 1211, 1216, 1234, 1443, 1481/82, 1489/90, 1511, 1549, 1550, 1701, 1709, 1811/12, 1829, 1830 e, appunto, 1929. In tempi più recenti sono passati alla storia anche gli inverni del 1951/52, 1956 e, appunto, 1985.

Attingendo alle fonti storiche ecco che nel 1216 il Po gelò così tanto che i contadini vi passavano sopra con carri e cavalli ed i soldati di armeggiavano. Il 1234 fu caratterizzato da un’intensa ondata di freddo in Italia, i cui effetti impressionarono i contemporanei, tanto da trovare ampio spazio nelle fonti documentarie coeve, in particolare nelle più importanti cronache italiane del Duecento. Dal nord al sud della penisola, gli effetti furono più o meno gli stessi: gelate di fiumi e lagune (Po e Laguna veneta), morti di persone, animali selvatici e domestici, distruzione di raccolti e alberi da frutto. Il fiume Po si gelò in più tratti tanto che il suo alveo poteva essere attraversato con cavalli e carri carichi di mercanzie, alla pari di quelli di molti suoi affluenti. A Reggio Emilia, nella piazza comunale, si trovarono molti lupi morti congelati (a dimostrazione del fatto, se mai ce ne fosse bisogno, che la presenza del lupo, in passato, in pianura, era cosa nota e normale), mentre in Puglia a morire per il freddo e per gli stenti della fame furono migliaia di pecore, la cui perdita inferse un duro colpo alla pastorizia, motore trainante dell’economia locale in quel tempo. Le fonti raccontano anche di uomini trovati morti congelati nei propri letti. Anche per l’agricoltura gli effetti furono del tutto distruttivi: in Pianura Padana gelarono vigneti, ulivi, fichi e in genere ogni sorta di alberi da frutto. Inoltre, gran parte degli alberi della famosa pineta di Ravenna perirono per il gelo.

Passando al 1481-1482 ci furono quattro trimestri quasi consecutivi degni di nota, e tra il 1489 ed il 1490 la Laguna Veneta rimase a lungo gelata, così come il Po e l’Arno, e nevicò a Venezia per dodici giorni consecutivi. Questo, tra le altre cose comportò una tardivissima recrudescenza del freddo a fine maggio ed il successivo 1490/1491, vide un prolungamento del freddo invernale fino ai primi di giugno, quando addirittura nevicò a a Bologna il 1º giugno con 32 cm di accumulo, così come nevicò (pur con accumuli inferiori) a Ferrara tre giorni dopo, con conseguenti gelate mattutine fuori stagione. Il Po, in tempi remoti, poteva ghiacciarsi completamente, tanto da essere appunto transitabile.

Nel “Memorie storiche della città di Cremona” di Lorenzo Manini, che attinse al Campi, si legge che nel 1549 “il Po si agghiacciò, siccome avvenne nel 1126 e nel 1234…che ognuno vi camminava sopra ben anco con carri e cavalli. Dal mese di dicembre iniziò un freddo fierissimo, per il quale il Po s’aggiacciò di maniera che passavano gli uomini, le bestie cariche ed anco i carri; ed alli 15 di detto mese io li viddi sopra il giaccio più di 200 persone, assicurandosi anche le gentildonne di farle correre sopra i cocchi”. Quello poi del 1709 e poi tuttora considerato come l’inverno più rigido della storia d’Europ.

Tra gennaio e aprile 1709 il Vecchio Continente fu investito da un’anomala ondata di freddo che paralizzò l’intera regione, causando un elevato numero di vittime tra la popolazione. In Emilia Romagna perirono, per la morsa del gelo, tutte le piante da frutto, in particolare meli, ciliegi, noci che solitamente resistono anche a temperature molto rigide. A Venezia i contadini portavano i generi alimentari a piedi sui canali ghiacciati. Gelarono molti fiumi, tra cui il Po, che fu ricoperto da uno strato di ghiaccio di circa 70 centimetri, sul quale passavano uomini, carri e cavalli. Roma e Firenze rimasero isolate per le intense nevicate. Nelle campagne le coltivazioni di ulivo, vite e agrumi furono seriamente compromesse o distrutte. In molti casi i terreni coltivati prima del 1709 non poterono più essere recuperati.

Anche nell’Adriatico, come in molti altri porti d’Europa, le gelate bloccarono le imbarcazioni, i cui equipaggi morirono di freddo e di fame. Con leggere oscillazioni, le temperature si mantennero basse fino a primavera. Ma il freddo non fu l’unica piaga da affrontare: al gelo seguirono fame, inondazioni ed epidemie. La neve che si era accumulata nei mesi invernali provocò intense inondazioni al suo scioglimento e le epidemie non si fecero attendere. Aumentarono e si diffusero malattie bronco-polmonari. Il freddo e la fame favorirono il diffondersi dell’influenza, che era scoppiata a Roma l’anno precedente, fino a renderla una pandemia che si sarebbe estesa per quasi tutta l’Europa tra il 1709 e il 1710. Inoltre, dall’Impero ottomano giunse,a peggiorare le cose, la peste.

Passando a tempi molto più recenti, è passato alla storia il grande inverno del 1929 che vide gelare il Po ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio, che consentiva alle persone di camminarvi sopra. Ci sono ancora ricordi lasciati dagli anziani che affermavano che occorreva un palanchino per aprire le porte delle stalle e quando si usava l’acqua calda, questa si ghiacciava praticamente all’istante al contatto con l’esterno, così come gelavano gli occhi alle perone. Del resto il 1929 fu anche l’anno della definitiva disfatta dei mulini natanti che macinavano il grano, perché i lastroni di ghiaccio (il “giasson” come lo chiamavano nelle terre di fiume) che arrivavano dal fiume li distrussero in modo totale. All’epoca, va aggiunto, non c’era un monitoraggio di stazioni meteo come è possibile avere ora.

Alcuni documenti indicano che durante il lungo periodo gelido del 1929, così come nel 1956 e 1985, in alcune località della bassa Valle Padana, la temperatura scese anche a meno 30 gradi. Chi scrive queste righe, come già anticipato, ha ben presente l’inverno del 1985. A Zibello, per esempio, quell’anno c’era anche chi si era mosso sulla storica “Lanca ad Barnon” in Vespa, dal tanto che il ghiaccio era spesso. Quelli, sì, erano inverni siberiani, o polari, sempre per usate termini che, in modo inappropriato, sono stati utilizzati per descrivere gli inverni, in realtà piuttosto miti, degli ultimi anni. Inverni che, insieme a tanti altri elementi, hanno dimostrato i chiari cambiamenti climatici in corso.

Inverni come quelli del 1929, del 1985, del 1709 o del 1481 (per citarne alcuni) potrebbero ripetersi? Nulla può escluderlo. Nonostante il riscaldamento globale, che non può essere negato ed è certificato da dati incontrovertibili, l’estremizzazione climatica, come affermano anche molti esperti, può anche riservare eventuali episodi di gelo pari a quelli che, raramente, si sono verificati nel Novecento, quando ancora, tutto sommato, le stagioni si succedevano regolari e il Grande Fiume aveva i suoi cicli naturali con le piene primaverili e autunnali, le piccole magre estive e le sporadiche ghiacciate invernali aiutate da abbondanti nevicate.

Eremita del Po, Paolo Panni

Incisione di Giuseppe Maria Mitelli in cui è rappresentata la successione di eventi del 1709: la povertà e la fame, la piccola glaciazione, la guerra che devastò l’Europa e le epidemie
L’ondata di freddo che arrivò nel 1709 che seppellì l’Europa sotto un manto di neve. Artista italiano del secolo XVIII, Castello Sforzesco, Milano. Foto: Mondadori / Album

 

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