Cultura

Roccabianca, Giovanni Oddi,
il don Abbondio che disse no

Don Oddi morì il 29 settembre 1795 (proprio nel giorno di San Michele, e lui era parroco della parrocchia di San Michele di Roccabianca) all’età di 74 anni e fu sepolto nella cappella del Santissimo Sacramento. E’ lui il “Don Abbondio” di Roccabianca,

Nessun ramo del lago di Como sullo sfondo, ma il Grande fiume a fare da teatro, o da crocevia, ad una vicenda, in salsa padana, dai contorni nobiliari, avvenuta oltre 250 anni fa a Roccabianca. Paese della Bassa Parmense, questo, che, verrebbe da dire, ha avuto il suo Don Abbondio. Questa volta non si tratta di un personaggio immaginario, come invece avviene per il vero Don Abbondio dei “Promessi Sposi”, ma di un sacerdote in carne ed ossa, don Giovanni Oddi, all’epoca dei fatti rettore della chiesa di San Michele in Roccabianca. Don Giovanni Oddi guidò la parrocchia per ben 37 anni, dal 1757 al 1795 e, come ricorda Francesco Luigi Campari nel suo celebre libro “Un Castello del Parmigiano attraverso i secoli”, si trattava di un uomo colto e pio, che lasciò scritte diverse memorie della chiesa e del territorio di Roccabianca dall’anno 1758 al 1775 ed anche un salmo in latino in deplorazione delle vittime dell’inondazione del Po del 1772. Don Oddi morì il 29 settembre 1795 (proprio nel giorno di San Michele, e lui era parroco della parrocchia di San Michele di Roccabianca) all’età di 74 anni e fu sepolto nella cappella del Santissimo Sacramento. E’ lui il “Don Abbondio” di Roccabianca, fedele fino alla fine al suo ministero. Qui non ci sono i bravi di Don Rodrigo a dire che “il matrimonio non s’ha da fare” ma è il sacerdote stesso a rifiutarsi di celebrare le nozze, anche se queste riguardavano persone di rango. Capace anche di rifiutare una offerta in denaro e di informare dell’accaduto i superiori. Perché quelle a cui si trovò di fronte, con tanto di richiesta di spostare l’orario della messa, erano nozze ingannevoli, e lui non si è certo fatto ingannare. A Roccabianca, di fronte al sacerdote, avrebbero dovuto sposarsi il marchese Carlo Ponzoni di Cremona ed una donna del casato Visconti di Milano, fuggiti dalle loro terre per unirsi appunto in matrimonio sulla riva opposta del Po, a Roccabianca appunto. Da dove, invece, tornarono a mani vuote, e don Oddi ottenne anche l’elogio del padre del marchese Carlo Ponzoni. L’episodio è datato 18 giugno 1760; il “Don Abbondio del Po”, come lo si potrebbe simpaticamente definire, ha lasciato tutta una memoria di quel fatto. Memoria che in questi giorni, durante le sue ricerche, lo storico Cesare Pezzarossa di San Secondo ha ritrovato. Una pagina bella, significativa; un pezzo di storia delle terre del Po. Che merita di essere conosciuta e letta; narrata direttamente da don Giovanni e, per questo, la si riporta, di seguito, per esteso.

“Anno domini 1760 dì 18 giugno Chiesa S.Michele Roccabianca (S.Bartolome e S.Michele) In questa mattina appena alzato io da letto mi si presentò uno staffiere della casa Vallari, quale dopo espressi complimenti fattimi a nome della signora marchesa sua signora, che dissimi arrivata iersera nottetempo alle ore 6 circa da Cremona, mi pregò in nome della stessa a voler io ritardare la mia messa sino alle ore 12 circa d’Italia, che l’avrebbe agevolata: ad una si pia ambasciata ben volentieri mi soscrissi Circa l’ora 12 fissata essendo io in casa del signor Giuseppe Baistrocchi fui io prevenuto dallo stesso staffiere ad ognor venire alla chiesa la sua padrona per ascoltare la s. messa; io perciò mi incamminai ad appararmi; ed ecco, che nell’attuale vestirmi di camice osservo dalla sagristia delli confratelli entrare per il coro verso l’altro sagristia dov’ero un cavaliere forestiero accompagnato dal sig. Marchese Paolo Vallari e dalla marchesa Olimpia figlia Vallari con il segretario della Signora Marchesa Maggi e Maddaloni sacerdote parmigiano, alias agente di S.E. il Signor nostro feudatario Lodovico Rangoni, quali osservando io venire verso di me, credendo fossero per avere meco conversazione per avermi fatto ritardare la celebrazione, ed io voce senti il cavaliere parlare così: attese le difficoltà si hanno ne’ nostri recapiti dalli nostri parrochi, lei come parroco sappi essere questa la mia sposa ed allor questi il mio sposo. Ad udire tal espressione, e specialmente di sposa e sposo, accortomi di clandestino che mai avrei sognato in persone di rango, ed alla presenza del padre, subito loro voltai le spalle dispettoso, e con parole aspre e gravi mi dimostrai offeso per tal inventata azione, e dissi essere indegna di loro: sulla loro dichiarazione per non essere d’alcuno d’essi io parroco, e perciò, che essi si guardassero dal coabitare assieme presenti gli stessi soggetti che esso avessero nominati per testimoni, sotto la

pena da stabilirsi da chi loro può comandare. Al mio parlare si opposero e specialmente il padre dicendo esser io della figlia il parroco ed essa rispose dell’esser mia parrocchiana, quale unitamente col padre ricusai per parrocchiani dicendo loro che qui non abitarono mai se per accidente d’alcuni giorni infra l’anno, e non sempre ogni anno,come in realtà simil argomento vi …. da altri specialmente dal madd-a colore e sempre e con mia meravigliandomi espressamente dall’indegna azione e dall’impegno in cui mi esponevano i miei superiori. Loro rinfacciai lo stesso, avendo io quasi terminato d’appararmi mi sento forzato dalla mano della signora Marchesa, che mi m’avea preso per un braccio, a volgermi vers d’essi alquanto, e con altra mano tenendo asservita quella del cavaliere, disse esser espressamente: che il sig. rettore veda quest’è il mio sposo, a cui io mi meraviglio di lei, e terminato d’appararmi mi partii di sacristia senza la convenienze in migliori occasioni solite praticarsi, e nel mentre essi mi dissero: applicarà per noila messa. Celebratosi da me la S.Messa, per essi non applicata, essi dalla chiesa inviarono alla sagristia il riferito staffiere quale mi presentò una carta con denaro involto e figurava un non ordinario volume, dicendomi prenda l’elemosina della messa, quale io sdegnato rifiutai e con disprezzo di mano verso la mano dello staffiere, e qui rinnovai con voce alta, intellegibile dalli soggetti abbenché esitanti in chiesa quanto io aveva detto prima, e fori v’aggiunsi cose di loro rossore. Il cavaliere, che io non avevo conosciuto né di vita ne’ inteso il nome, doppo tale intentata azione, intesi essere il Sig. Conte Marchese Carlo Ponzoni, e ne feci di tutto consapevole la curia di Parma, subitamente con inviato appresso, quale sotto il giorno 19, mi ordinò di far eseguire due indirizzatimi precetti per la separazione delli soggetti, quali siccome erano per dimore e per passione fuggiti da Cremona nella scorsa notte, così alle ore 21 dello stesso giorno presero la fuga di qua per andarsene al luogo di maggiore liberà sullo bresciano, come s’è inteso di poi, si spedì nel dì 20 dalla Reale Segretaria di Parma a questo sig. Capitano francesco Camorali ordine d’arrestare il cavaliere, quale sig. capitano non ostante lor subita fuga, fece le formalità di militare perquisizione nel palazzo Vallari verso l’ore 19 del dì 22. Il sig. Marchese Paolo Vallari si fermò qui a tutte l’ore 23 e messa del giorno 19, ed all’ora riferita fu di qui condotto da frettoloso postiglione. Ho avuto sotto il dì 22 espresso riscontro dal soscritto Marchese ali Ponzoni padre, quale dice di aver stimato il mio contegno nell’attentato della fuga di suo figlio, dichiarando lo stesso di lui figlio spergiuro, e mancatore di parola per essersi permesso con donna cospicua di Milano della casa dei Visconti, e con ciò farsi scena ridicola di tutt’il mondo. Si tratta d’affare di conseguenza atteso l’affronto fatto dal figlio a di tanto riguardo, come le sono la Casa visconti, la casa Ponzoni e la casa Archindi di Milano, dalla quale si è sortita la marchesa Ali Ponzoni madre. A tutto ciò s’aggiunge, come dicesi con altro ricercato attentato clandestino in Cremona, e questi e quello pendente il giudizio della causa introdotta in Milano, sotto auspici della Clementissima lor sovrana la Regina d’Ongharia. Checché sia per essere dell’affare si paleserà un giorno.

Giovanni Oddi Rettore di S.Michele di Roccabianca affermo quanto sopra”.

Come già evidenziato una pagina bella, significativa. Una pagina di storia del Po, tra il Cremonese e il Parmense, che richiama alle vicende dei “Promessi Sposi” di Manzoni, oggi pubblicata grazie alla disponibilità di Cesare Pezzarossa al quale va sempre il Grazie per le sue importanti e preziose ricerche.

Eremita del Po, Paolo Panni

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