Arte

Riflessioni (attuali) su Ruggiero e
Rodomonte di Brunivo Buttarelli

Di nuovo siamo qui davanti alla scultura di Buttarelli come fossimo davanti a una sfinge, incapaci di comprendere l’enigma di quell’essere che appena nato cammina a quattro zampe e che forse avrebbe combinato meno guai, per sé e per i suoi simili, se avesse continuato a farlo

Nella straordinaria mostra Lucente Luna d’acciaio per senni e oggetti perduti dello scultore Brunivo Buttarelli, attualmente allestita nel Museo Diotti e ispirata all’Orlando furioso dell’Ariosto, c’è un’opera che reclama tutta la nostra attenzione.

Trascinati nel viaggio vorticoso degli oggetti verso la Luna, un gruppo scultoreo al centro della sala, quasi inatteso, ci tende un agguato visivo ed emotivo che ci riporta subito coi piedi per terra. Si tratta delle figure di Ruggiero e Rodomonte, personaggi non descritti, ma solo evocati per lacerti di elmi e armature, posti schiena contro schiena come all’inizio di un duello, ma in realtà presentati in posizione di riposo col capo reclinato e le armi abbassate, assorti nella loro presenza-assenza, entrambi sconfitti. E poiché non si tratta di blocchi scultorei compatti e pieni, ma di gabbie corporee attraversabili con lo sguardo, noi siamo istintivamente portati a completarle e, nostro malgrado, ad indossarle.

Tali gabbie sono composte anche di busti ortopedici di resina bianca, ancora memori della sofferenza che hanno alleviato e al contempo procurato, di cui scrive la poetessa Tania di Malta, e di un apparecchio di distrazione osteogenetica. Ciò mi ha ricordato le tavole che illustrano uno dei più famosi trattati di chirurgia del Seicento di Girolamo Fabrici, Opera chirurgica in pentateuchum, et operationes chirurgicas distincta e al contempo i manichini di Giorgio de Chirico nella feroce eppur sapiente stroncatura che ne aveva dato Roberto Longhi, evocando, col titolo Al dio ortopedico (1919), una possibile relazione fra quell’umanità manichina e il proliferare di protesi per i mutilati prodotti dalla Grande Guerra. Mi tornano pure alla mente certe vignette antimilitariste di quel geniale e insuperato disegnatore caricaturista che fu Giuseppe Scalarini (Mantova, 1873 – Milano, 1948).

Ma tutto ciò che la scultura di Buttarelli, così potente, è capace di evocare non è necessariamente il «suo» intenzionale contenuto. Brunivo non è uno scultore citazionista, ma un artista che sa captare i segni del proprio tempo, che era ed è tempo di guerra e di sofferenza, molto prima che scoppiasse il conflitto Russia-Ucraina, e che lui interpreta con la sensibilità e gli strumenti che gli sono propri.

Ruggiero e Rodomonte sono lì in primo luogo a parlarci del nostro senno perduto perché la guerra, che sia di difesa o di offesa, giusta o ingiusta come la si voglia dipingere, è espressione estrema della follia umana. E se è folle fare di un armaiolo un ministro della Pace, ancora più insensato è pensare che il suo ministero possa perseguirla e che, in generale, la pace si possa conseguire attraverso le armi.

Se vogliamo ritrovare un po’ del senno che abbiamo smarrito, vale la pena leggere di nuovo ciò che Erasmo da Rotterdam scriveva cinquecento anni fa: non solo il suo Lamento della Pace, ma anche una pagina dell’Elogio della Follia (1511) dedicata proprio alla guerra, nel suo tempo praticata anche da papi e vescovi i quali, «pur essendo la guerra una cosa tanto crudele da convenire alle belve più che agli uomini, tanto pazza che anche i poeti hanno immaginato fossero le Furie a scatenarla, a tal segno rovinosa da portare con sé la totale corruzione dei costumi, tanto ingiusta da offrire ai peggiori predoni la migliore occasione di affermarsi, tanto empia da non avere nulla in comune con Cristo, tuttavia, trascurando tutto il resto, fanno solo la guerra».

«Si possono vedere – continua Erasmo – vecchi decrepiti che, inalberando un vigoroso spirito giovanile, non si sgomentano davanti alle spese, non cedono alle fatiche, non indietreggiano di un pollice se si trovano a mettere a soqquadro le leggi, la religione, la pace, l’intero genere umano. Né mancano colti adulatori, pronti a chiamare questa evidente follia zelo, pietà, fortezza, escogitando stratagemmi che permettono d’impugnare il ferro mortale e di immergerlo nelle viscere del fratello senza venir meno a quella suprema carità che secondo il dettato di Cristo un cristiano deve al suo prossimo».

Ma sarebbe sbagliato “schiacciare” sul tema “guerra” e sulla cronaca del nostro tempo questa opera di Buttarelli, perché essa ci chiama a una riflessione che riguarda in generale la condizione umana, la fatica di essere uomini, la sofferenza che comporta questa condizione, forse pure con una nota autobiografica perché anche il lavoro dell’artista, le fatiche fisiche e mentali cui si sottopone segnano il corpo e l’anima.

Guardo meglio Ruggiero e Rodomonte scoprendo ciò che doveva essere evidente al primo sguardo: queste gabbie di corpi si reggono, ovvero stanno in piedi grazie a una terza gamba costituita dallo scudo e dalla spada, stampelle dell’uomo predatore e tecnologico che non ce la fa più a reggersi sulla sua spina dorsale. Perché non è mai da dimenticare che noi umani siamo stati programmati, come gli altri mammiferi, per camminare a quattro zampe e che la conquista della stazione eretta, su cui il genere umano ha fondato la propria superiorità, liberando gli arti superiori per brandire utensili, armi, protesi tecnologiche sempre più potenti e sofisticate, è anche all’origine della sua sofferenza e infelicità, così come dell’antidoto – la cultura – che dovrebbe alleviarle, neutralizzarle o almeno esorcizzarle.

Ma tutta l’arte, da 2500 anni e forse più a questa parte, tutti i canoni di bellezza esemplati sull’uomo eretto – che già Hogarth contestava e su cui ironizzava – non riescono a nascondere la goffaggine di un essere che, liberate le zampe anteriori, non sa dove metterle se non tenendo le mani in tasca, stringendo un sasso, brandendo una clava, una spada o uno smartphone, sempre più lontano dalla meravigliosa naturalezza degli altri esseri viventi. La Natura non ha mai bisogno di mettersi in posa, l’uomo lo fa costantemente. E la disciplina militare non è che la tragica caricatura di questa condizione.

Di nuovo siamo qui davanti alla scultura di Buttarelli come fossimo davanti a una sfinge, incapaci di comprendere l’enigma di quell’essere che appena nato cammina a quattro zampe e che forse avrebbe combinato meno guai, per sé e per i suoi simili, se avesse continuato a farlo.

Valter Rosa

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