Marta Bandirini, la Graphic Novel
Big Splash edita da Becco Giallo
“E’ la storia di due ragazze di 30 anni, che vivono distanti e che in un rapporto epistolare si confrontano su come evolve non solo il loro rapporto di amicizia, ma anche il pensiero della maternità che a quell’età subentra un po’ in tutte noi". GUARDA IL SERVIZIO TG DI CREMONA 1
“Big Splash” è il tuffo di una donna tra i 30 e i 40 anni nelle proprie inquietudini, nel rapporto con le convenzioni sociali che ti vorrebbero madre quando magari non vuoi esserlo, o che non “consentono” figli quando la carriera spinge. Insomma, come la fai la sbagli. Ma dato che “Big Splash”, edito da Becco Giallo, non certo l’ultimo arrivato in tema di fumetti – che Max Gazzè definiva “minore letteratura” dando però a quel “minore” l’accezione più positiva possibile – è la prima opera edita da Marta Bandirini, classe 1985 di Casalmaggiore, non poteva che trattare temi pesanti con la giusta dose di ironia.
“La vita è già abbastanza complicata” sembra essere il motto di Marta, che in effetti anche nel suo percorso tra studio e lavoro qualche saliscendi lo ha vissuto. “Ho studiato Belle Arti a Bologna, specializzandomi in pittura, poi ho fatto altri lavori dopo la laurea e a 35 anni ho deciso di riprendere in mano il racconto per fumetti, che mi piace molto. Ho fatto un concorso e in giuria vi era Alice Milani, una delle mie fumettiste preferite in assoluto. Mi ha notata e mi ha proposto di creare una graphic novel per Becco Giallo, per la collana “Rami”. Non vedevo l’ora di iniziare e sono stata anche abbastanza fortunata: la storia l’avevo già in testa, anzi in parte l’avevo anche pubblicata sul mio blog, dove ogni due settimane piazzavo tavole nuove. Ho lavorato su quelle, con la supervisione di Alice che cura la collana, ed è uscito questo libro che mi rende molto orgogliosa”.
Di cosa parla “Big Splash”? “E’ la storia di due ragazze di 30 anni, che vivono distanti e che in un rapporto epistolare si confrontano su come evolve non solo il loro rapporto di amicizia, ma anche il pensiero della maternità che a quell’età subentra un po’ in tutte noi. Una delle due vorrebbe diventare mamma, l’altra no e la storia riflette così sulle pressioni sociali che le giovani donne subiscono sia se desiderano figli, sia se non li vogliono affatto. E’ un diario epistolare, ma dato che sono la prima a considerare un po’ complicato da sviscerare il soggetto di base, ho pensato di metterci tanta ironia, sia per alleggerire, sia perché questa è la mia cifra stilistica. Non è un’autobiografia, ma avendo io 37 anni, è uno spaccato delle ragazze, o donne, della mia generazione”.
Quali sono gli autori che Marta apprezza da sempre e ai quali si ispira? “Sono autrici, tutte donne, e tutte italiane: Alice Milani, Claudia Razzoli detta Nuke, Cristina Portolano, Rita Petruccioli, Lorena Canottiere e tante altre ancora. Le apprezzo perché sanno affrontare tematiche difficili, variegate, coraggiose, mai banali. Ed è anche il motivo per cui apprezzo la graphic novel, che di fatto è un fumetto autoconclusivo e non a puntate: è un modo diverso per parlare di tutto e lascia molta libertà”.
Quale è la parte difficile e quella divertente nel realizzare una graphic novel? “Di difficile non trovo nulla, perché se fai questo mestiere, credo che il divertimento sia quello che ti accompagna lungo l’intera realizzazione. Amo disegnare, ma mi divertono anche le parti più “brigose” e toste. Diciamo che un po’ di emozione e tensione c’è stata perché per me è stato l’esordio assoluto: ho lavorato, come sempre del resto, per cercare l’incastro perfetto – o comunque il più possibile corretto e fluido – tra immagini e parole, ho cercato di fare scorrere bene la trama, il che significa più spesso togliere che aggiungere, di creare un arco narrativo fluido. Quest’ultimo processo richiede molta concentrazione. Ma non mi sono mai annoiata, altrimenti dovrei cambiare mestiere”.
Quanto tempo hai impiegato per arrivare al traguardo? “Da quando ho iniziato a lavorare alla storia avendo in testa il traguardo di una graphic novel e non solo come un gioco, direi un anno e mezzo. Ci si può impiegare anche meno, sia chiaro, ma avendo un altro lavoro, chiaramente, ho cercato di ritagliarmi i tempi necessari quando era possibile. Poi, va beh, mi sono anche rotta il gomito destro mentre lavoravo alla stesura, e purtroppo non sono mancina. La sfiga ci vede bene: ma io sono stata più forte”.
Giovanni Gardani