Cronaca

Casalmaggiore, il Monti ed un pezzo
che parla - a suo modo - d'amore

Chi ci conosce sa che amiamo l'atipicità. Ci cattura, come un buon bicchiere di grappa quando il freddo si fa pungente. Ci ammalia, come d'estate, ai bordi dei fossi, i fiori di campo

Tutti – o quasi a Casalmaggiore – conoscono l’Ivano. Ivano Monticelli, il Monti come ama farsi chiamare. A volte lo incroci, seduto al tavolino di un qualche bar, che prende quiete (quasi mai) tra una chiacchiera e l’altra. Sarcastico, spesso pungente, sempre pronto alla battuta, all’ironia, all’aperitivo, al coup de theatre come lo chiamerebbero i francesi.

Lui francese non è. Ma è un gran masticatore di parole. Spesso criptiche, spesso contorte e vanno spiegate, e prima ancora capite. Quando poi le capiamo. Altre volte le parole sono dense di tenerezza, come quelle che ci ha fatto pervenire. Il Monti è così. Lo prendi con tutto il pacchetto. Come tanti, come tutte le anime inquiete che popolano questo mondo e lo colorano. Di imprevedibilità, di follia, di rosso campari, di vino o solamente, come in questo caso, di parole.

Chi ci conosce sa che amiamo l’atipicità. Ci cattura, come un buon bicchiere di grappa quando il freddo si fa pungente. Ci ammalia, come d’estate, ai bordi dei fossi, i fiori di campo. Ci spiazza, come il canto delle sirene. Sappiamo poco, in fondo, della storia del Monti, se non per gli sprazzi che ci ha raccontato. Ma sappiamo il presente, conosciamo il suo passo lento sulla strada, appoggiato al suo bastone.

Conosciamo anche le sue parole scritte, che questa volta sono queste: “Di certo Giove giova della felicità anche se mai con Lui hai preso almeno un aperitivo come se fosse in quel momento un candelabro d’argento appollaiato in sacrestia fa il verso al vin santo, definito unanimemente, imperterrito peccatore, non smise le sue tacco dodici. Va da se che i primi non son secondi a nessuno tranne a quelli che li hanno anticipati come innumerevoli pinguini bianchi e neri dall’improbabile protuberanza gialla che terza disciplina passeggiano sopra il red carpet dello straordinario tramonto in riva al fiume mai gelido. Se solamente avessi la possibilità/facoltà/capacità di cogliere anch’io l’attimo dello scatto di Felice Gimondi al tour de France ma senza di lui a pedalare, il ciclo chiederebbe di provare a chiudere il cerchio. Amandoti, come posso pensare di far quadrare il mio cuore. Per Tita. Per Marina“.

Ieri mattina lo abbiamo incontrato al Centrale. Qualche parola al volo, la sua solita ironia e la promessa che ci avrebbe mandato uno scritto, anzi più d’uno. Parlava di locali e gestori, i suoi punti di ritrovo. Non ci saremmo aspettati una criptica e folle dichiarazione d’amore. Ma la vita e spesso il suo tempo ci insegna a non aspettarci niente che poi, quello che arriva qualche volta è molto di più di quello che potresti attenderti. Non abbiamo neppure la foto del Monti, ma poco importa. Monti è in ogni anima – saggia e maledetta, sporca e limpida, semplice e incomprensibile – che ci cammina accanto. Anche nella nostra, e nella vostra.

N.C.

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