Stefano Superchi ricorda
Virginio Vareschi. Oggi il funerale
"Spero, e lo dico da lavoratore dell’ospedale, che qualcuno della nostra azienda ospedaliera non si dimentichi che è stato soprattutto grazie ai fondi raccolti attraverso le tue feste, alla tua fatica, di tua moglie Rina e di tutti i volontari che ti hanno affiancato, che questo ospedale ha avuto nel 2006 la risonanza magnetica nucleare"
E’ un bellissimo ricordo, intimo e personale, quello che Stefano Superchi dedica al compianto Virginio Vareschi. Una conoscenza, quella di Stefano, di tanti anni ed una mancanza che si farà sentire.
“Oggi ti ho salutato per l’ultima volta, Virginio, e al tuo fianco come sempre c’era la Rina, incrollabile.
Ogni tanto mi capitava di incontrarla in giro con la sua vecchia Punto azzurra, inconfondibile, e ultimamente erano sempre notizie meno buone, i ricoveri, l’ossigeno, la caduta, ma nonostante i mille acciacchi che avevi addosso da tanti anni, ce l’avevi sempre fatta. Poche sere fa, all’ingresso del reparto di Medicina mi aveva confessato commossa che le avevano detto di prepararsi, questa volta sarebbe stata dura, ma in fondo speravamo tutti che anche stavolta avresti tenuto duro.
E invece stamattina, quando ho visto la Punto parcheggiata in un posto diverso dal solito, ho immaginato che purtroppo c’erano brutte novità. Eri un campione della solidarietà, lo stanno dicendo tutti, un esempio per tutti gli organizzatori di feste del circondario, il capostipite assoluto.
Io ti voglio ricordare per la tua simpatia, per la tua estrema ospitalità. A casa tua c’era sempre un posto a tavola, quante merende abbiamo fatto con i ragazzi, bastava un colpo di telefono e si organizzava in cinque minuti, la tavolata con i salumi e le bottiglie erano sempre pronti.
Ricordo quando mi chiamavi per prenotare qualche visita o qualche esame di quelli con tanto tempo di attesa, “guarda sa ta gla cavi a famal fà an pò püsè a la svelta, ma sensa pasà davanti ansòn né”. E quando venivo a casa a portarti la prenotazione mi aspettavi a tavola con qualche fetta di salame già tagliato, due bicchieri e la bottiglia di bianco, e anche se ero di corsa non mi lasciavi andare via senza aver bevuto un goccio insieme.
E tutti gli anni, fino a prima della pandemia, sotto le feste di Natale, arrivava la telefonata: “pàsa dad chè, ca gò da fàt lègiar na càrta”, la solita scusa a cui facevo finta di credere, e quando arrivavo tiravi fuori un piccolo pacco natalizio con il panettone e la bottiglia, un anno volevi addirittura che portassi a casa una mezza gallina.
Alle tue feste passavano in tanti, la gente comune, le forze dell’ordine, financo gli onorevoli, magari ad orari improbabili, ma a qualsiasi ora, anche se eri stanco, ti rimettevi sotto per non lasciare nessuno senza mangiare.
Spero tanto che il “capitale umano” che lasci in eredità a questo territorio non sia dimenticato e che, aldilà delle parole doverose di oggi e domani, rimanga qualcosa del tuo grande esempio. Soprattutto spero, e lo dico da lavoratore dell’ospedale, che qualcuno della nostra azienda ospedaliera non si dimentichi che è stato soprattutto grazie ai fondi raccolti attraverso le tue feste, alla tua fatica, di tua moglie Rina e di tutti i volontari che ti hanno affiancato, che questo ospedale ha avuto nel 2006 la risonanza magnetica nucleare. Mi mancherà la tua mano che mi versa da bere, un po’ tremante, ma il bicchiere lo centravi sempre! Ciao Virginio“.
Oggi, alle 16, presso la parrocchiale di Quattrocase verrà celebrato il funerale.
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