Opinioni

Pandemia, distanziamento,
sanificazione: alcune riflessioni

C’è ancora qualcuno che s’illude che i politici, saldamente attaccati alle loro poltrone, possano perseguire scelte veramente finalizzate a contenere il virus, se, proprio grazie alla sua diffusione, hanno ottenuto quella disgregazione sociale che garantisce la stabilità del loro potere, impedendo di fatto ogni aggregata forma di protesta?

Questa estate mi sono ammalato di Covid. Ancora non mi capacito di come sia potuto accadere dopo tre vaccinazioni, un uso costante della mascherina FFP2 nelle situazioni potenzialmente a rischio, di quella normale in tante altre situazioni e l’igienizzazione delle mani ogni volta che sono entrato in contatto con oggetti toccati da altre persone. Né mi consola sapere che, in questi mesi, altri scrupolosi come me si siano infettati. Si sa che, contro ogni previsione, nonostante le minimizzazioni da parte della Sanità e dei mass media al fine di non porre ostacoli ai flussi turistici, ai concerti e alle manifestazioni sportive, il virus sta imperversando come mai era accaduto d’estate, come possiamo rilevare anche dai dati del Casalasco.

Colpa delle varianti! Ma la mia era una variante? Chi lo ha stabilito? Nessuno in ogni caso me lo ha comunicato. Chi tiene il conto dei test fatti in casa, nelle farmacie, negli ambulatori privati, negli ospedali, comparando gli esiti e le sintomatologie? Chi, facendo le analisi, è in grado o ha gli strumenti, ovvero il laboratorio adatto per stabilire di quale variante si tratti? È inutile cercare una risposta, inutile interrogare virologi ed epidemiologici che in questi due anni hanno saputo dare solo spettacolo con chiacchiere che raramente andavano oltre il semplice buon senso, salvo smentirle disinvoltamente il giorno dopo. Si sa solo che nessuno ne sa nulla. E si capisce perché ora la nuova campagna pubblicitaria delle vaccinazioni non sia più affidata a loro, che hanno perso ogni credibilità, ma a un premio Nobel.

Come mai, mi chiedo ancora, il mio organismo ha resistitito a momenti di maggiore esposizione e pericolo, cedendo miseramente in questa tranquilla estate? Virus meno letale, ma più contagioso? Va bene, ma vorrei capire meglio, non solo per me, ma anche per tutelare persone più anziane o a rischio, quali siano le situazioni che ne favoriscono la diffusione. Potrei forse azzardare una mezza risposta se solo fosse chiaro come avviene veramente la trasmissione del virus (contatto diretto, vicinanza, alito, tosse, …).

Potrei anche pensare, come molti no-vax, che i miei anticorpi si siano drasticamente ridotti proprio a causa dei vaccini – e non è poi una teoria così strampalata! Qualche virologo accreditato nella tv nazionale aveva pure avanzato la raccomandazione che era inutile, se non nocivo, vaccinarsi se si avevano molti anticorpi. Forte del parere dell’esimio medico, prima del terzo vaccino volli verificare in ospedale i miei anticorpi, scoprendo di averne un numero elevato, ma, quando lo feci presente, mi fu risposto che la cosa era irrilevante e che il vaccino avrei dovuto farlo ugualmente.

Il risultato è che mi sono ammalato, ma – dicono sempre i medici – la mia malattia sarebbe stata più perniciosa se non mi fossi vaccinato. E in effetti, nel mio caso, mi sono negativizzato nel giro di una settimana, a parte gli effetti collaterali (spossatezza, perdita totale di gusto e olfatto) che sono durati più a lungo. Però conosco altri casi in cui, nonostante il terzo vaccino, il virus ha avuto conseguenze più pesanti e durature. «Si vede che avevano altre patologie»: ma non è sempre vero! E se invece proprio l’accanimento delle vaccinazioni, ripetute sempre più a distanza ravvicinata, non fosse la causa di nuove complicanze?

Mi viene in mente che ora, come strombazza uno spot pubblicitario, ci si può (si deve?) vaccinare anche per il fuoco di Sant’Antonio che evidentemente, nel frattempo, deve essere diventata una malattia socialmente diffusa, una malattia nei confronti della quale la medicina tradizionale si era sempre arenata (a parte la prescrizione generalmente efficace della B12) lasciando libero il campo alla medicina popolare o addirittura alla “stregoneria”. E già si parla di una campagna di vaccinazioni contro il virus delle scimmie. Ma di tutto questo incrocio e cocktail di vaccini cosa si deve pensare? E se l’una vanificasse l’altra o innescasse effetti non desiderati? Non parlo a vanvera, registro solo i dubbi di chi si è già trovato in situazioni critiche. E vorremmo tutti qualche risposta di “scienza”che non sia solo dettata da inutile senso comune.

Ciò che è sotto gli occhi di tutti è il fatto che, più delle vaccinazioni, è stato il distanziamento ad aver funzionato nel contenere la pandemia (almeno nella sua prima ondata, quando ancora le vaccinazioni erano di là da venire), dunque, ragion vuole che il suo contrario, ovvero l’assembramento (e tanti ve ne sono stati sciaguratamente questa estate!) sia il principale agente del contagio.

Aggrappato a questa unica certezza, sottratti i giorni di incubazione, scopro che in questa situazione mi sono trovato mio malgrado 5-6 giorni prima dell’accertamento della mia positività: mi ero recato in stazione a Milano per tornare a casa, ma il mio treno era stato inspiegabilmente cancellato, fatto quanto mai frequente nella gestione dei trasporti Trenord. A un certo punto una voce dall’altoparlante, captata per caso fra un rumore assordante e non più ripetuta, annunciava che i viaggiatori del Cremona-Mantova avrebbero potuto recuperare il loro treno a Rogoredo salendo sul treno per Alessandria. Dunque, seppur per un breve tratto, ma per non meno di 40 minuti (fra attesa e viaggio effettivo), mi sono trovato su un treno stipatissimo, io armato della mia FFP2, ma fra tanti passeggeri che non l’avevano e le cui braccia sudate premevano contro le mie.

Questo recente episodio mi ha fatto andare con la memoria a quanto è accaduto a Codogno due anni fa. A quella terribile e inaugurale epidemia si sono cercate le motivazioni più diverse, fra cui la più battuta fu quella di un “untore” cinese, poi in realtà rivelatasi sbagliata. Sempre che il virus diffuso in Italia sia effettivamente arrivato dalla Cina, ricordo che proprio allora io ero nel pieno della sessione invernale degli esami e che ero stato costretto ad esaminare decine di studenti cinesi, alcuni appena rientrati da diverse regioni della Cina. In quei primi tempi, in assenza di indicazioni di protezione sanitaria, ho svolto quegli esami senza particolari precauzioni se non la più banale, ovvero quella di far firmare il verbale con una penna diversa da quella che usavo, mentre quegli studenti mi parlavano in faccia a meno di un metro di distanza! Perché non poteva essere dunque Milano (e la mia scuola) il luogo del contagio, invece di Codogno?

Ricordo che, poco prima che la cosa scoppiasse, capitò a Codogno un incidente ferroviario e qualche buontempone scrisse poi, dopo la pandemia, che su quel treno viaggiava un “vaso di Pandora” (leggi: provette contenenti il virus dirette a un laboratorio) che si sarebbe rotto nell’urto diffondendo il contenuto pestifero. Ma vi può essere una spiegazione molto più semplice e credibile. Dopo l’incidente, Trenord si preoccupò di ridurre il materiale rotante, quindi noi pendolari del treno Mantova-Milano per diversi giorni fummo costretti a scendere a Codogno e a salire (unendoci al foltissimo gruppo dei pendolari codognesi) sui treni provenienti dall’Emilia e diretti a Milano. Il risultato fu che, proprio nei giorni dell’incubazione del Covid e proprio a Codogno, su quei treni vi fu un assembramento incredibile ai limiti della sopportazione, come ho potuto verificare di persona. Che si sia sviluppato lì il primo contagio? Chi può saperlo!

Fra i buoni propositi scaturiti nella prima fase della pandemia, distanziamento e sanificazione furono le parole d’ordine, assieme a tante dichiarazioni bipartisan sulla necessità di potenziare i servizi sanitari, di migliorare l’edilizia scolastica, di pensare a rendere sicuri e sanificati i trasporti.

Se sanità e scuola sono stati al contrario e continuano ad essere i settori più penalizzati nelle scelte del governo centrale e regionale, come possiamo toccare con mano proprio noi abitanti dell’Oglio-Po, per quanto riguarda i trasporti, dopo un inutile spreco di adesivi dissuadenti (applicati quando i treni non li prendeva nessuno) possiamo dire ora che la situazione sia tornata come prima, anzi peggio di prima. Carrozze indicibilmente sporche, di una sporcizia d’accumulo di vecchia data, e, se mi capita di trovare pure ragnatele e ragni dietro il mio poggiatesta, che cosa devo pensare della sanificazione che ufficialmente (nei bilanci di spesa) dovrebbe essere avvenuta? E devo credere che si provveda a cambiare o pulire i filtri dell’aria e dell’impianto di condizionamento che sono – non lo dico io – i principali veicoli nella trasmissione di malattie respiratorie?

Quello della salubrità dell’aria (negli ospedali, nelle prigioni, nei luoghi di coabitazione forzata) è un tema che stava più a cuore agli illuministi e a i riformatori lombardi del XVIII secolo piuttosto che agli amministratori e ai politici di oggi. Ma – mi chiedo – si vuole veramente uscire dalla pandemia? Se penso a quanti hanno speculato su questa – a Milano c’erano delle farmacie che vendevano le mascherine più semplici a 15-25 euro, quando le stesse, qualche settimana prima, si compravano nei negozi di ferramenta a 50 centesimi! – la risposta è decisamente NO! C’è qualche motivo, che non stia nella logica perversa del mercato, per cui una multinazionale del farmaco debba ridurre i suoi stratosferici guadagni realizzati in questi due anni?

C’è ancora qualcuno che s’illude che i politici, saldamente attaccati alle loro poltrone, possano perseguire scelte veramente finalizzate a contenere il virus, se, proprio grazie alla sua diffusione, hanno ottenuto quella disgregazione sociale che garantisce la stabilità del loro potere, impedendo di fatto ogni aggregata forma di protesta?

Valter Rosa

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