Cronaca

Andrea Bianchi, 28 anni dopo. Il
tempo che passa e lo ieri che resta

Sono passati 28 anni da quel 10 luglio, da quell'ultimo sole di Andrea Bianchi, il Barone di Motta San Fermo. Ci sono voluti 3 giorni per scrivere qualcosa di sensato in memoria. E forse neppure questo ricordo lo è. Sono passati 28 anni e - dentro - è ancora ieri per tanti di noi

Sono passati 28 anni. Ne avevamo 24 in quell’ultimo sole, in quell’ultimo giorno di giovinezza. Erano stati anni difficili, ci avevi salutato tutti già da tempo. Eravamo bambini quando, sull’aia della tua cascina, rincorrevamo gli uccelli, entravamo in stalla, prendevamo col mestolo il latte appena munto e ancora caldo e ci sembrava di bere per la prima volta qualcosa di speciale. Noi eravamo bimbi di città, figli del grattacielo e dell’asfalto, e il verde che conoscevamo era quello del parco del romani o dell’argine. Poi le trasferte con il Maffei, la tua capacità di farti voler bene dappertutto, da tutti gli avversari. Perché anche la vita, e lo sport, li vivevi così. Con una bottiglia di grappa da portare in panchina, o un bicchier di vino dal quale ripartire, sempre e comunque, con la stessa forza, lo stesso coraggio, lo stesso malinconico sorriso. Il tuo Milan, la tua cremonese, la casalese.

Sono passati 28 anni da quell’ultima estate spensierata, da tutte le cazzate, dalle donne, dai dolori, dalle notti in piazza passate a parlare di politica, dagli infrangibili silenzi degli ultimi anni, da quella domenica, l’ultima prima della morte quando, in un incontro casuale uscendo da Santo Stefano, ci hai sorriso, ti sei fermato per un istante facendoci pensare che qualcosa di migliore fosse agli inizi. Eravamo ingenui, o solo stupidi, o solo sprovveduti: era quello il tuo ultimo saluto. Il tuo modo per dirci che avevi già deciso, che eri già partito. Che nulla avremmo potuto dire, o fare, o essere per fermare quel tuo viaggio nell’altrove.

Siamo rimasti per anni col dubbio, per anni fermi nel pensiero di cosa avremmo potuto, dovuto fare per arrestare quel tuo viaggio verso quel mondo parallelo. Per anni a cercare di capire se in quel passaggio qualcosa di diverso avremmo potuto essere. Nulla fu più uguale da allora. La tua bara barcollante, portata in spalla dalla Fontana sino al cimitero, la tua ultima casa e quel libro di ricordi che non scrivemmo mai, il pensiero che in quelle vecchie Fiat 128 si era seduta per sempre anche una parte di noi. Per non rialzarsi più.

Sono passati 28 anni da quel 10 luglio, da quell’ultimo sole di Andrea Bianchi, il Barone di Motta San Fermo. Ci sono voluti 3 giorni per scrivere qualcosa di sensato. E forse neppure questo ricordo lo è. Sono passati 28 anni e – dentro – è ancora ieri ogni volta.

N.C.

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