Cronaca

Uomo del mio tempo. Quelle
strane affissioni a Casalmaggiore

La poesia, scelta come linguaggio per esprimere un concetto, è comparsa da qualche tempo a Casalmaggiore. Subito dopo una pandemia, e nel pieno di una guerra che forse ha influito nella mente di chi l'ha affissa

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi».

La prima parte di Uomo del mio tempo, di Salvatore Quasimodo. Quella più negativa, più disperata, e senza alcuna luce. Perché è nelle righe finali, quelle probabilmente volutamente eliminate dall’anonimo che le ha fatte affiggere negli spazi di affissione del comune di Casalmaggiore, l’unico barlume di speranza. Nessun figlio dunque dimentico dei padri per un cammino di redenzione, nessun cammino se non la cupa, e disperata constatazione che tra Caino e Abele e l’uomo del nostro tempo, quello delle armi e delle guerre, quello della scienza e della tecnologia applicata alla morte, quello degli uccelli d’acciaio (le ali maligne, insieme metafora e sineddoche del poeta) che scaricano bombe non ci sia nessuna differenza.

La poesia, scelta come linguaggio per esprimere un concetto, è comparsa da qualche tempo a Casalmaggiore. Subito dopo una pandemia, e nel pieno di una guerra che forse ha influito nella mente di chi l’ha affissa. Tronca di quella seconda parte che qui vi riportiamo proprio per riannodare quel filo di speranza spezzato.

E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

E’ qui che Quasimodo concede l’unica via di una possibile redenzione, all’uomo del suo tempo, ai giovani figli del suo tempo affinché inizino a camminare discostandosi da quello che hanno fatto le generazioni precedenti. Da quello che hanno fatto i padri. Non ne era così convinto l’anonimo che ha affisso la poesia – peraltro listata a lutto – che alcuni lettori ci hanno segnalato. Noi la speranza la segnaliamo, e ve la segnaliamo lo stesso. Come se vi fosse, e fosse nel vento a procedere al di là di ciò che resta fissato al muro.

N.C.

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