Agricoltura

La carne del futuro sarà "sintetica"?
I rischi per il mondo dell'allevamento

Agnese Codignola, farmacologa ed informatrice scientifica, nel corso di un incontro pubblico dal titolo eloquente (“Saremo sintetici: la carne del futuro si produrrà in laboratorio?”) ha affrontato questo tema dai molti risvolti

Agnese Codignola, farmacologa ed informatrice scientifica, nel corso di un incontro pubblico dal titolo eloquente “Saremo sintetici: la carne del futuro si produrrà in laboratorio?” ha affrontato questo tema dai molti risvolti, alcuni dei quali inquietanti. Ma che, visti i tempi e le prospettive dell’alimentazione mondiale, devono essere presi per tempo nella massima considerazione. Gli aspetti che vengono toccati sono anche di ordine economico, sociale e morale, oltre a quelli più facilmente intuibili della nutrizione e della sostenibilità ambientale.

Se questo comparato ha visto ingenti investimenti da parte di multinazionali e di diversi “paperoni” che hanno annusato odore di forti business, contro lo stesso è già scoppiata una guerra tra favorevoli e contrari che ha molto di ideologico e che richiama per certi versi situazioni già viste, ad esempio, nella vicenda Covid e vaccini, oppure nei pro e contro Ogm, magari con distinzioni non così nette e con qualche contaminazione tra le diverse fazioni.

E’ evidente che vi è una elevata correlazione tra livello di benessere sociale e consumo di carne, ma intanto Codignola ha affermato che oggi il consumo di carne è troppo elevato, negli Usa si superano i 100 kg per persona e per anno, con conseguenze negative per salute e ambiente. Ma anche che la scienza afferma che la “carne sintetica” non ha dimostrato di essere dannosa, o più dannosa, per l’uomo, ma anche di essere meno impattante per l’ambiente.

Sul tema emergono alcune questioni di fondo: intanto, è giusto chiamare “carne” un prodotto che viene costruito o “coltivato” in laboratorio sia pure partendo da cellule animali; e poi che genere di processo produttivo subisce il prodotto finale che il consumatore di trova nel piatto?

Sulla prima questione i dubbi sono molti, soprattutto se si prende per analogia, quanto verificatosi per il latte in relazione alle bevande vegetali. Se per legge si può chiamare latte solo “il prodotto secreto dalla ghiandola mammaria dei mammiferi”, si potrà usare lo stesso metro per distinguere la carne tradizionale da quella “alternativa” o succedanea come quella prodotta in laboratorio?

Una prima e più facile distinzione è già possibile e riguarda gli alimenti “plant based” cioè di origine vegetale ma con aspirazioni di sostituzione delle proteine animali. Per semplificare gli hamburger vegetali. Ma di chi è la competenza? Del ministero delle Politiche agricole o di quello della Salute? E circa il nome, carne sintetica, carne in vitro, carne coltivata? E questo è un aspetto che ha importanti risvolti commerciali al punto che sono state avanzate delle proposte di chiamare la “carne” prodotta in laboratorio “biologica” con un evidente tentativo di condizionare o orientare i consumatori.

Per quanto riguarda poi il processo produttivo, si parla di alimenti “super processati”, nel senso che subiscono lavorazioni piuttosto elaborate, con aggiunte di additivi, conservanti o integratori vari, spesso coperte da segreto industriale, e le cui conseguenze su qualità e ambiente dovranno essere valutate più a fondo. Almeno nelle nostre aree geografiche. Di certo sembra che si tratti di prodotti ai quali i giovani guardano con un certo interesse o quanto meno senza alcun tipo di pregiudizio.

I processi produttivi sono migliorati molto e hanno consentito di raggiungere standard elevati, con caratteristiche fisiche e organolettiche importanti come aspetto, consistenza e sapori interessanti e con prezzi sempre più abbordabili. Ci stanno investendo molto paesi come Olanda, Israele e Giappone. A Singapore si trova già in commercio la “carne di pollo coltivata in laboratorio” e l’Europa, secondo Codignola, è quasi pronta a compiere il passo.

Da segnalare che un processo analogo si sta verificando anche nel comparto lattiero caseario, con la produzione o riproduzione “sintetica” delle proteine del latte. Per cui sembra proprio che ci troviamo di fronte ad una rivoluzione alimentare e della produzione del cibo. Vi è da chiedersi come evolverà o come potrebbe cambiare o se esisterà ancora il mestiere dell’agricoltore-allevatore?

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