Opinioni

Luigi Briselli in mostra al Diotti.
La tenebra ed un pallido sole

Non è il bosco di Henry David Thoreau, non è una natura nella quale esiste un equilibrio e se esiste, non saremo comunque noi a trovarlo. E' solo uno spazio, solo un tempo, solo una dimensione in cui cercare di non restare soffocati

Non è il bosco di Henry David Thoreau quello fermato da Luigi Briselli. Non è elemento in cui trovare un equilibrio tra natura e uomo artefice del proprio destino e di quello del mondo. E’ un bosco tetro, di infinita tenebra più che di luce, che taglia il respiro, lo ferma portandolo verso qui minimi accenni di luce che si aprono, al di là e dentro l’oscurità e poi lo ricaccia indietro, in gola e allo stomaco nell’istantanea successiva. Non è un bosco nel quale nutrire speranza, è più legato ad una visione tragica, lugubre, scenario – se proprio dobbiamo trovare qualcosa che in letteratura si può avvicinare – a un racconto di Edgar Allan Poe e, in certi tratti, al nichilismo estremo di Emil Cioran. Più presagio di morte che anelito di vita. Non lasciano mai indifferenti le foto di luigi Briselli e questa ancor meno di altre. Nel Fosco del Bosco, mostra visibile al Museo Diotti di Casalmaggiore è un percorso metaforico, una sorta di viaggio nell’esistenza stessa. Un cammino impervio su piccole strade appena tracciate, quando ci sono, con tronchi che sembrano mostri disegnati da un’abile mano, con rami che tolgono il cielo e lo lasciano filtrare, oscurità dentro all’oscurità. Con cieli oscuri, spesso talmente oscuri da non lasciare spazio a niente altro che alla constatazione che non esiste niente al di fuori del visibile, della notte e dei tagli lievi illuminati. C’è, a un certo punto del percorso, un trittico di tronchi. In cui lo spazio più chiaro è una lacerazione, una ferita profonda. Essenza e metafora della vita stessa. E c’è, al termine, una figura in movimento, più anima errante che vita piena, più fantasma che presenza. E, nell’ultima istantanea, un piccolo sole. Non rischiara niente, neppure la speranza. E’ solo un piccolo sole in un cielo cupo. La vita insomma, quella abilmente fermata dal più tradizionale – e al contempo ricco di contenuti metafisici – dei fotografi d’altra generazione. Poco inclini alla sperimentazione, poco inclini alle spiegazioni, intensamente più interessati a lasciare qualcosa che chi guarda possa scorgere. Non è il bosco di Henry David Thoreau, non è una natura nella quale esiste un equilibrio e se esiste, non saremo comunque noi a trovarlo. E’ solo uno spazio, solo un tempo, solo una dimensione in cui cercare di non restare soffocati. Un infinito buio anche dove c’è luce in lontananza, anche dove la luce c’è, un nero carico che spiazza e ti resta aggrappato e non si quieta, nonostante l’ultimo sole. Nonostante l’ultimo fantasma che corre via.

N.C. (Foto: Alessandro Osti)

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