Chiesa

Busseto, il Cristo portato dal
fiume e il teschio di Clemente I

Da evidenziare che, per la storica processione del Venerdì Santo, il maestro Giuseppe Verdi compose quattro Notturni: andati tutti persi. Dove si trovano? Sono andati persi per sempre o si trovano ancora celati in qualche angolo di Busseto e dintorni? Interrogativi che aumentano i misteri che accompagnano la storia di questo luogo

Torna ad essere portato in processione, e quindi al centro della pubblica venerazione, il “Cristo venuto dal Po”. Così si potrebbe chiamare il simulacro del Cristo morto che si conserva, da anni, a Busseto, terra di Verdi.

Da due anni, a causa naturalmente della pandemia, non usciva dal luogo in cui è gelosamente conservato, la chiesa di Santa Maria Annunziata. Venerdì sera, 15 aprile, alle 21, a Busseto, su iniziativa della parrocchia guidata da don Luigi Guglielmoni, tornerà a svolgersi la Via Crucis nel centro cittadino. Che avrà al centro proprio l’antico e venerato simulacro, venuto dal Grande fiume e conservato appunto nella chiesa di Santa Maria Annunziata, edificata nel 1472 per disposizione dei fratelli Gian Lodovico e Pallavicino Pallavicino, unitamente ad un ospedale di cui per due secoli fece parte e di cui oggi non rimane alcuna traccia. A margine va quindi evidenziato che la chiesa taglia quest’anno il traguardo dei 550 anni.

Fra alterne vicende fu completata nel 1518 e, in quel medesimo anno vi fu istituita una confraternita detta di S.Maria o dei Battuti o Disciplinati – più tardi del Confalone – pio sodalizio eretto da papa Leone X con breve 11 aprile 1518 e dotato da Sisto V nel 1596 e da Paolo V nel 1607, di indulgenze. Oltre alla divulgazione del culto mariano, la confraternita aveva il compito di amministrare i beni dell’ospedale, prendendosi cura del miglior funzionamento dell’Ente, di distribuire elemosine e di sostenere economicamente nubende povere.

La chiesa, nel XVII secolo smise di far parte dell’ospedale, che fu trasferito nella nuova sede, nel centro cittadino. Fu quindi ampliata nel 1595 per iniziativa e a spese del giureconsulto Pietro Pettorelli e ricostruita ex novo nel 1804 dalla confraternita che l’aveva in uso, su progetto del bussetano Giuseppe Cavalli che si occupò anche delle decorazioni a stucco.

Al suo interno conserva diverse opere d’arte, su tutte la pala dell’altare maggiore, l’Annunciazione del cremonese Vincenzo Campi. In questo dipinto tutta la scena si svolge all’aperto, presso una colonna in parte coperta da una tenda accanto alla quale si trova l’inginocchiatoio di Maria, su cui sono posati un libro e un vaso di fiori. La Vergine panneggiata in veste rosa e manto bianco, riceve l’annuncio da un angelo, che le sta di fronte genuflesso con un giglio in mano e l’indice teso verso l’alto. Inoltre, sul capo della Vergine stessa aleggia la Colomba, simbolo di pace, mentre più sopra appare l’Eterno benedicente tra una gloria di cherubini. Le figure compaiono immerse in una calma sovrumana in cui è tutta l’augusta solennità dell’avvenimento. L’opera reca sul fondo il nome dell’autore, Vincenzo Campi appunto, e la data 1581.

Nella chiesa, luogo in cui, il 31 gennaio 1805, si unirono in matrimonio Carlo Verdi e Luigia Uttini, i genitori del sommo musicista e compositore Giuseppe Verdi, si trovano anche opere pittoriche del bussetano Pietro Balestra.

Ma ad impressionare è, soprattutto, ai piedi dell’altare maggiore, il simulacro del Cristo Morto, quello che sarà portato in processione venerdì sera. Un Cristo in tutto e per tutto simile a una figura umana, anche al tatto, visto che il materiale con cui è realizzato, il cuoio, sulle prime può appunto far pensare ad un essere umano autentico. Quello che lo riguarda potrebbe essere definito un giallo storico. Una vicenda in cui, più che mai, storia e leggenda si fondono.

Si dice che a farlo arrivare sulla sponda emiliana fu, nel XV secolo, una piena del Po. Il fiume impetuoso, stando sempre alle narrazioni che da tempo vengono tenute vive dalla memoria popolare, distrusse una chiesa cremonese (non è dato sapere quale), portandosi via, quindi, anche questa statua del Cristo Morto. La corsa sulle acque finì a Vidalenzo di Polesine (oggi Polesine Zibello), sulle rive del fiume naturalmente. Immediatamente la gente locale lo scambiò per un cadavere autentico. Una volta avvicinato ecco che la verità si materializzò: quello che era davanti a tutti era un simulacro, integro, del Salvatore rappresentato dopo la crocifissione.

Subito divampò una diatriba, tra le opposte rive del Po, circa il luogo in cui il misterioso Cristo doveva essere portato. A dirimerla, stando sempre ai racconti che si tramandano, sarebbe stato un frate che consigliò di adagiare la statua su un carro trainato dai buoi. Dove questi si sarebbero fermati si sarebbe quindi dovuto costruire un luogo di culto. Se ciò fosse vero significherebbe, quindi, che i buoi, dopo aver compiuto una manciata di chilometri,si fermarono a Busseto, dove ora sorge la chiesa di Santa Maria Annunziata.

Impressionanti sono anche i capelli e la barba del Cristo. Si tratta infatti di autentica capigliatura umana: quella che una donna donò, per grazia ricevuta, al Cristo stesso. La statua, alla quale i fedeli di Busseto sono estremamente legati e devoti, viene portata in processione, ogni anno, la sera del Venerdì Santo ed è anche al centro di un’altra storia ricca di fascino e mistero. Si dice infatti che, ormai molti anni fa, proprio dopo una processione del Venerdì Santo, fu lasciata in chiesa collegiata, la principale chiesa cittadina, senza essere riportata nella sua collocazione originaria. Il mattino seguente, l’incredibile sorpresa: il Cristo, infatti, non si trovava più in collegiata. Subito si pensò ad un furto e invece, poco dopo, fu ritrovato, di nuovo in Santa Maria Annunziata. Come ci arrivò se entrambe le chiese (collegiata e S.Maria) erano chiuse e non presentavano alcun segno di effrazione? In tanti, da allora, ritengono che, prodigiosamente si sia spostato, nel bel mezzo della notte, da una chiesa all’altra e che quindi voglia rimanere nell’edificio in cui da secoli è posto.

Da evidenziare che, per la storica processione del Venerdì Santo, il maestro Giuseppe Verdi compose quattro Notturni: andati tutti persi. Dove si trovano? Sono andati persi per sempre o si trovano ancora celati in qualche angolo di Busseto e dintorni? Interrogativi che aumentano i misteri che accompagnano la storia di questo luogo.

Nello stesso edificio colpisce inoltre un altro particolare, vale a dire la presenza, in una delle cappelle laterali, di un reliquiario al cui interno si trova un teschio. E’ quello di Papa Clemente I: il quarto sommo pontefice della Chiesa cattolica (dopo Pietro, Lino e Anacleto), il primo di cui si hanno notizie certe e anche il primo dei Padri Apostolici.

Fu Pontefice dall’88 al 97 ed è venerato, sia dalla chiesa cattolica che da quella ortodossa, come santo. Delle sue opere si conoscono uno scritto autentico, la Lettera alla Chiesa di Corinto e parecchi scritti, di dubbia attribuzione. La lettera da lui indirizzata ai Corinzi per ristabilire la concordia degli animi è considerata come uno dei più antichi documenti dell’esercizio del primato. Lo scritto testimonia il Canone dei libri ispirati e dà preziose notizie sulla liturgia e sulla gerarchia ecclesiastica. Accenna anche alla gloriosa morte degli apostoli Pietro e Paolo e dei protomartiri romani nella persecuzione di Nerone. E’ patrono della città di Velletri e compatrono della diocesi di Velletri-Segni, insieme a San Bruno Vescovo.

Secondo Tertulliano, che scriveva intorno al 199, la Chiesa romana sosteneva che Clemente fosse stato ordinato da San Pietro (De Praescriptione, XXXII), mentre San Girolamo affermava che alla sua epoca la maggior parte dei latini era certa che questo Papa fosse l’immediato successore dell’Apostolo Pietro (De viris illustri bus, XV). Lo stesso San Girolamo sostenne questa tesi anche in molte altre opere e gli antichi documenti mostrano comunque profonda incertezza nella sua collocazione temporale. Della vita e morte di Clemente non si conosce nulla. Gli Atti, apocrifi in lingua greca, del suo martirio furono stampati nel Patres Apostolici del 1724, basato sugli studi di Jean Baptiste Cotelier. Questi, ricchi di narrazioni ampiamente leggendarie, riferiscono di come convertì Teodora, moglie di Sisinnio, un cortigiano di Nerva e (dopo alcuni presunti “miracoli”) Sisinnio stesso e altre 423 persone di un certo rango. Traiano bandì il papa in Crimea dove, secondo la leggenda miracolistica, avrebbe dissetato 2000 persone. Molte persone di quel paese si convertirono ed edificarono 75 chiese. Traiano, per tutta risposta, ordinò che Clemente fosse gettato in mare con un’ancora di ferro al collo. Dopo questi avvenimenti, ogni anno, il mare recedeva di due miglia, fino a rivelare un sacrario costruito miracolosamente che conteneva le ossa del martire e permetteva ai fedeli di recarvisi. Questa leggenda non è antecedente al  IV secolo ed era sicuramente conosciuta da Gregorio di Tours nel VI.

Intorno all’868 san Cirillo, che si trovava in Crimea per evangelizzare i popoli slavi, rinvenne in un tumulo (non in una tomba subacquea) delle ossa ed un’ancora. Immediatamente si credette che queste fossero le reliquie di Clemente. Trasportate a Roma da Cirillo, furono deposte da papa Adriano II, insieme a quelle di Ignazio di Antiochia, sotto l’altare maggiore della basilica inferiore di San Clemente. La storia di questa traslazione è piuttosto verosimile, ma non sembrano esserci tradizioni riguardo al tumulo, che fu trovato semplicemente perché poteva essere un probabile luogo di sepoltura. L’ancora sembra essere l’unica prova della sua identità, ma non si è in grado di stabilire se veramente era insieme a quelle ossa.

Clemente venne menzionato per la prima volta come martire da Tirannio Rufino (circa 400). Papa Zosimo, in una lettera del 417 ai vescovi africani, riferiva del processo e della parziale assoluzione dell’eretico Celestio svoltisi nella basilica di San Clemente; il papa scelse questa chiesa perché Clemente aveva appreso la fede da Pietro in persona, ed aveva dato la vita per lui. Venne annoverato tra i martiri anche dallo scrittore noto come Praedestinatus (circa 430) e dal Sinodo di Vaison del 442. Critici moderni ritengono possibile che il suo martirio fosse stato suggerito da una confusione con il suo omonimo, il console martirizzato. Comunque, non essendoci tradizioni di una sua sepoltura a Roma, si suppone che sia morto in esilio per cause naturali.

Ignote le cause per cui il teschio di Papa Clemente I si trova a Busseto. Tuttavia è noto che, in passato, vi fu una vera e propria compravendita”di reliquie fra chiese, conventi e confraternite. Il che lascia supporre che, nell’ambito di quel movimento di oggetti sacri e resti di santi, quella reliquia finì nella terra di Verdi dove è tuttora gelosamente conservata. Tornando al Cristo venuto dal Po c’è anche un altro fatto particolarmente singolare, sconosciuto ai più, emerso pochi anni fa grazie ad una testimonianza lasciata da un amico della zona a chi scrive queste righe, in cui mistero e ironia, per una volta, si fondono.

L’amico in questione, non c’è più e per questo, a maggior ragione, è giusto lasciare spazio, integralmente, alla sua testimonianza scritta. “Caro Paolo – mi scrisse appunto questo amico – negli anni 60 c’è mancato poco che il simulacro del Cristo morto aggiungesse un ulteriore mistero alla sua tribolata storia. Il simulacro viene appunto portato in processione la sera del Venerdì Santo, ma qualche ora prima viene aperta la chiesa di santa Maria ed il simulacro viene messo su una lettiga ed esposto alla venerazione dei fedeli che si alternano in un viavai incessante. 
La traslazione del simulacro veniva compiuta di solito dal sacrestano con l’aiuto di alcuni coristi della Schola Cantorun della collegiata e qualche fedele, e in uno dei primi anni 60 partecipai anch’io. Aperta l’urna che lo contiene, il simulacro venne sollevato e portato verso la lettiga, ma al momento di posarlo il Cristo emise un prolungato, forte, chiaro e inconfondibile sospiro…. Fu un attimo di ghiaccio: i brividi correvano per la schiena e i volti sbiancavano… poi fu chiaro a tutti che essendo il simulacro di cuoio, schiacciandolo da qualche parte espelleva l’aria e la cosa sembrò finire lì. Purtroppo un paio di coristi di scorta alla lettiga ebbero l’idea un po’ blasfema di scherzare con quelle che di solito sono le più severe fedeli, normalmente identificate come le perpetue: quando qualcuna si chinava sul simulacro, i cantori prontamente schiacciavano un braccio e un soffio d’aria l’investiva e più d’una si allontanava frastornata. Poi una interpretò la cosa come un miracolo e si precipitò in Chiesa Grande strepitando. Immediatamente Monsignore venne in Santa Maria e capì subito come stavano le cose,in preda ad una delle sue ire bibliche incenerì con lo sguardo i cantori e spiegò poi alla piccola folla che già si era adunata sentendo del miracolo come stavano le cose ovviamente senza svelare la bravata dei coristi. La processione poi si svolse regolarmente senza intoppi”.

A proposito, infine, del Cristo, Busseto vanta un altro simulacro di notevole importanza, conservato invece in chiesa collegiata, nella prima cappella a sinistra, da secoli ritenuto miracoloso e molto caro ai bussetani. E’ esattamente a quel Crocifisso che il regista Duvivier si ispirò per la creazione del celebre “Crocifisso parlante” utilizzato sul set della celebre saga dedicata a Don Camillo e Peppone (e proprio quest’anno è il settantesimo dell’uscita della prima pellicola).

Duvivier lo giudicò perfetto per il film, per il fatto che Gesù ha la testa lievemente girata sul lato destro, proprio come se stesse interloquendo con don Camillo, e un corpo longilineo e dalle braccia lunghe e sottili, quasi a voler abbracciare tutti. Ne fu talmente colpito da farne scolpire uno identico, da utilizzare appunto per la pellicola. Se ne è parlato anche pochi giorni fa durante la trasmissione di Raiuno Oggi è un altro giorno di Serena Bortone che, a Roma, direttamente negli studi Rai ha intervistato il parroco di Busseto don Luigi Guglielmoni. Il programma concordato prevedeva anche un collegamento con la collegiata di Busseto e con Alberto Guareschi. Questi, dalla sede del Club dei 23 di Roncole Verdi, ha ricordato che da ragazzo era stato coinvolto nelle riprese del film Don Camillo, ma si era ben presto annoiato, abbandonando la scena. Non si è invece tenuto il collegamento con la collegiata e con i fedeli già allertati che si erano sistemati davanti allo splendido crocifisso quattrocentesco al quale il regista Duvivier si era ispirato chiedendo appunto la realizzazione di una copia molto simile da utilizzare sul set.

All’ultimo momento, infatti, l’inviato da Busseto è stato dirottato a Brescello, privilegiando così la copia del Crocifisso, portato in processione da don Camillo, interpretato dall’attore Fernandel. L’originale, va ribadito, è di fatto quello, molto più bello e di inestimabile valore, che si trova a Busseto. Serena Bortone ha chiesto a don Guglielmoni se parla col Crocifisso e il sacerdote, sorridente, sicuro ed efficace ha detto: “Sì, parlo spesso col Cristo in croce, forse persino lo stanco. Ma Lui ascolta sempre, mentre oggi è tanto difficile trovare qualcuno disposto ad ascoltare”. Quando poi la conduttrice ha chiesto “cosa dice il Crocifisso?”, don Luigi ha risposto che “Egli guarda sempre con amore e comunica anche il suo silenzio che educa a interrogarsi, a pazientare e a capire l’essenziale”. Infine, all’ultima domanda circa gli insegnamenti dell’esperienza di Don Camillo e Peppone il parroco ha affermato: “Ci sollecita ad essere più umani e a vivere una fede capace di relazione”. In sala tutti hanno mostrato viva attenzione alle parole di don Luigi: segno che le sue parole hanno raggiunto il cuore dei presenti, pur in una trasmissione di intrattenimento.

Eremita del Po, Paolo Panni

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