Traghetti sul Po: quella volta che la
regina Margherita attraversò il fiume
Per quanto riguarda il corso del Po, di fatto ogni paese, piccolo o grande che fosse, aveva il suo traghetto. Nella sua forma più semplice veniva costruito con una barca o una zattera manovrata a spinta o a remi, ma dove era necessario trasportare carri pesanti o del bestiame, si usava il “porto”, vale a dire il traghetto formato da due imbarcazioni affiancate su cui era steso un palancato
Chissà se un giorno i traghetti torneranno a solcare le acque del Grande fiume unendo le due rive. Di certo non potranno farlo con le caratteristiche e, soprattutto, con le motivazioni, di un tempo. Ma, nell’ambito della promozione turistica fluviale del medio Po, specie dopo il riconoscimento ottenuto dalle nostre terre di Riserva Mab Unesco Po Grande, riproporre servizi di navigazione in grado di congiungere, regolarmente, le due sponde (anche per accompagnare le persone, perché no, alle fiere, ai mercati settimanali ed agli eventi dell’una o dell’altra riva o per unire quell’interessante reticolo di piste ciclabili che si snodano tra Emilia e Lombardia) potrebbe essere una carta vincente o, comunque, una scommessa su cui puntare.
In attesa che qualcosa si muova è giusto e necessario tornare anche ad approfondire la storia dei traghetti. Del resto la presenza di questi mezzi di trasporto è documentata in tutta la Pianura Padana, anche in quei corsi d’acqua che non erano navigabili con continuità. Se si mette mano alla cartografia antica, questa spesso indica con precisione la posizione dei traghetti ma anche la toponomastica attuale ricorda tuttora, in molte località, l’antica attività di quel luogo.
Per quanto riguarda il corso del Po, di fatto ogni paese, piccolo o grande che fosse, aveva il suo traghetto. Nella sua forma più semplice veniva costruito con una barca o una zattera manovrata a spinta o a remi, ma dove era necessario trasportare carri pesanti o del bestiame, si usava il “porto”, vale a dire il traghetto formato da due imbarcazioni affiancate su cui era steso un palancato. Per i porti formati da due barche solitamente si usavano imbarcazioni superiori a otto metri di lunghezza, ad esempio barbòte, magàne o rascòne. Soltanto ad inizio Novecento si cominciarono ad utilizzare barche di ferro e, successivamente, chiatte in cemento armato. Queste imbarcazioni “doppie” hanno una storia lunga e importante, del resto si ha memoria che già in epoca medioevale si utilizzavano ponteselle con lo scopo di trasportare sia merci che truppe. Tra le figure che caratterizzavano la vita quotidiana sul Po una delle più note era senza dubbio quella del traghettatore, detto anche purtiner o passatore. Sul Po, fiume largo e dalla portata assai variabile, le traversate nei momenti di piena erano delle “piccole spedizioni” dai tempi spesso incerti. Nel corso dei mesi invernali, con giornate quasi sempre caratterizzate da fitte nebbie, si perdevano i riferimenti delle sponde così come dei campanili e delle altre imbarcazioni in transito: eco perché alcune cronache di viaggiatori del passato lo descrivono come un “viaggio infinito”.
Mitica figura di traghettatore è stata quella di Dante Spigaroli di Polesine Parmense, che faceva il tragitto tra Polesine e Stagno Lombardo. Sul suo traghetto un giorno salì anche la Regina Margherita di Savoia che sbarcò a Stagno Lombardo, con una storia in questo caso tutta particolare. Per parlare di Dante Spigaroli bisogna fare un passo indietro, a suo padre Luigi, da cui tutto ebbe inizio.
Luigi e Dante, per tutti semplicemente “Vigion”, erano rispettivamente il nonno e lo zio dei fratelli Massimo e Luciano Spigaroli che, da anni, con il ristorante “Al Cavallino Bianco”, il relais Antica Corte Pallavicina e l’azienda agricola Fratelli Spigaroli, sono protagonisti in prima linea nella promozione e nella valorizzazione dei loro territori. Massimo Spigaroli, chef stellato, da tre anni deve anche passare dai fornelli agli uffici, dal lavoro manuale ai fornelli a quello da amministratore locale: è infatti anche sindaco di Polesine Zibello.
Venendo quindi alla storia di Luigi e Dante Spigaroli, bisogna partire dal inizio Novecento, quando la famiglia Spigaroli era affittuaria del podere Brolo di Polesine Parmense. Luigi, uomo d’affari, stanco di attraversare il Po in barca per andare a lavorare i terreni sull’isola fluviale della vecchia rocca (in sponda sinistra a due passi da Brancere e da Stagno Lombardo), si ingegnò a costruire “il port”, un traghetto formato da due barconi uniti da un asse in rovere, che permetteva ai carri di salire con gli animali. Data anche l’assenza di ponti nelle vicinanze, il traghetto divenne importante anche per trasportare persone e merci tra le due sponde, sfruttando il transito molto frequentato per Cremona. Luigi, che fu l’iniziatore, si occupò sempre più degli affari in inverno e, con gli altri figli, della macellazione dei maiali. Nel 1904 il podere fu acquistato dall’imprenditore bussetano Giuseppe Muggia (1877-1944), ebreo, proprietario delle tranvie a vapore della provincia di Parma (i cui binari arrivavano fino a Polesine e al Po) e di una grande flotta fluviale costituita da draghe e battelli per il trasporto merci. Muggia, nato a Busseto il 25 aprile 1877, era figlio di Emilio Muggia e di Cesira Basola ed era coniugato con Ester Anna Levi. Fu arrestato a Venezia, dai nazisti, il 5 dicembre 1943 e, dopo essere finito nel campo di concentramento di Fossoli, fu deportato ad Auschwitz, dove fu assassinato il 26 febbraio 1944. Il palazzo (l’attuale Antica Corte Pallavicina) era divenuto, all’epoca, il deposito per entrambe le attività di Giuseppe Muggia e le scorte di carbone si accumularono nei vari saloni. Intanto il fiume continuava a spostarsi verso sud e una piena disastrosa distrusse gli edifici rustici che circondavano una delle due corti del Palazzo: una grande perdita per gli affittuari, costretti a ritirarsi nei pochi ambienti rimasti. Gli Spigaroli alla corte si trovavano bene: in estate curavano il podere, mungevano le mucche, piantavano i pioppi, facevano fascine e coltivavano cocomeri, grano, medica e ortaggi; allevavano polli, anatre, tacchini, bachi da seta e numerosi maiali che macellavano in inverno producendo salumi che poi venivano venduti, interi, anche ai passeggeri del traghetto della linea Polesine-Stagno Lombardo. Una volta l’anno, poi, Luigi invitava politici, commercianti, artisti e possidenti di Parma e Cremona per una merenda sul traghetto in mezzo al fiume. Fra le personalità che frequentavano queste merende c’era anche l’artista Renato Brozzi (1885/1963) di Traversetolo (Parma) che si riforniva di culatelli da Luigi Spigaroli per poi portarli in dono al Vate Gabriele D’Annunzio al Vittoriale. Visto che per passare il Po era tra l’altro necessario parecchio tempo, la moglie Ginevra ebbe l’idea di allestire per le persone in attesa del traghetto due piccole baracche in legno sulle due sponde offrendo ai viaggiatori, con l’aiuto delle figlie, i loro salumi affettati assieme ad ottimo pane fatto in casa e al vino frizzante della Bassa Parmense. Attorno furono piantati pioppi e gelsi le cui ombre, in estate, procuravano refrigerio. Fu un vero successo con gente che non arrivava solo per passare il Po ma anche per incontrarsi nelle due baracche-osteria che venivano chiamate “Lido”. Si cominciarono così a friggere anguille, carpe, tinche, ambolina, ad affettare culatello, salumi ed a produrre i primi gelati della zona. Venne poi costruita una pista da ballo in cemento e d’estate arrivavano le orchestrine di campagna ad allietare le serate. Così, in poco tempo, la fama del Lidi arrivò nelle città vicine con gente che arrivava da Parma col treno a vapore, da Fidenza in bici o in calesse, da Cremona col traghetto. Nel 1940 scoppiò la guerra e la famiglia Spigaroli dovette abbandonare il podere. Nel 1943 le baracche furono occupate dai tedeschi per fare la guardia al fiume, gli uomini di casa Spigaroli finirono al fronte e il traghetto fu affondato. Tutto sembrava perduto ma così non fu perché, con la forza di volontà e l’amore per il fiume e per il territorio, sono poi nate le attività di famiglia.
Tornando alla figura dello storico traghettatore Dante Spigaroli, questi aveva come suo prezioso collaboratore “Marass”, al quale è legata una storia davvero “gustosa”. Un giorno si presentò infatti, sul traghetto, un’auto di lusso che doveva essere trasportata a Stagno Lombardo. All’arrivo, quando l’autista scese per dare la mancia a “Marass”, questi nel vedere che a bordo dell’auto si trovava una
bella donna chiese chi fosse. “Chi ela cla bela siura le?” chiese in rigoroso vernacolo (tradotto: “chi è quella bella signora lì?”) all’autista che subito gli rispose che si trattava della regina Margherita di Savoia. “Marass” a quel punto disse: “Cla’ scusa siura regina. Sa sava ch’l’era li a’m saress mess almeno li mudandi” (traduzione per chi non mastica il vernacolo: “Scusi signora regina, se sapevo che era lei mi sarei messo almeno le mutande”). Marass, come tutti i barcaioli, portava una camicia lunga, una cinturetta di corda in vita, senza braghe e senza mutande, perché quelle lunghe dell’epoca gli avrebbero impedito la libertà dei movimenti, e la libertà, si sa, è condizione irrinunciabile per gli indigeni di qui e anche se il vento faceva svolazzare la camicia, nessuno ci badava. Nel ricordare, anche di recente, questa storia, l’ex sindaco di Zibello Gaetano Mistura ha detto: “Non conosciamo la reazione della regina, ma la storia è vera. Una storia padana che l’acqua fece rimbalzare di bocca in bocca, di casa in casa, di paese in paese, una storia delle tante che rivelano lo spirito terragno e anarcoide, geniale e pazzoide della gente di Po”.
“Marass” è sempre stato un collaboratore irrinunciabile per Dante Spigaroli, un dei sei figli di Luigi. Quest’ultimo aveva, tra i suoi amici, Lelio Guidotti e Angelo Balestrieri. Il primo lavorava al Magistrato per il Po; il secondo fu segretario comunale prima e sindaco poi di Polesine Parmense. Grazie anche a queste amicizie si riuscì a dar vita a Porto Polesine, di là dal fiume. Lo stesso Luigi acquistò inoltre il rimorchiatore Titina a Boretto e fu sempre un importante mediatore e uomo d’affari.
Per concludere, dopo la guerra il servizio di traghetto riprese a funzionare con la Cooperativa Lelio Guidotti ed uno degli ultimi traghettatori fu Franco Tedeschi.
Storie di vita e di lavoro su un fiume, sempre protagonista delle vicende delle nostre terre.
Eremita del Po, Paolo Panni