Ambiente

Atmosfere e genti di Po. L'omaggio
di Gaetano Mistura al grande fiume

Mistura è un uomo a cui bisogna dire Grazie per la passione, l’amore e la sensibilità con cui si è sempre speso per le “sue” terre del Po, ma anche e soprattutto per quella geniale, puntigliosa, millimetrica attenzione per la storia che, nel tempo, lo ha portato a mettere insieme una minisera eccezionale di ricordi, fatti, aneddoti, legati al passato delle nostre terre

Si chiama “Atmosfere e genti del Po” ed è un omaggio al Grande fiume, e al suo popolo, scritto da Gaetano Mistura, per tre mandati sindaco di Zibello, da sempre studioso, cultore e appassionato di storia locale. Lo aveva scritto, Mistura, in occasione della mostra (e relativo convegno) dal titolo “Passaggi d’acqua – Navigazione e attività produttive dai canali di Parma al Grande fiume” che si erano tenuti al Teatro Pallavicino di Zibello nel 2018.

Un testo meraviglioso, di quelli che riescono a far vibrare le corde delle emozioni più profonde, un omaggio speciale al popolo del Po, al suo ambiente, al suo passato e al suo futuro.

Mistura è un uomo a cui bisogna dire Grazie per la passione, l’amore e la sensibilità con cui si è sempre speso per le “sue” terre del Po, ma anche e soprattutto per quella geniale, puntigliosa, millimetrica attenzione per la storia che, nel tempo, lo ha portato a mettere insieme una minisera eccezionale di ricordi, fatti, aneddoti, legati al passato delle nostre terre.

Chi scrive queste righe ha avuto il piacere e soprattutto l’onore di conoscere Gaetano Mistura fin dalla più tenera età. Lui era sindaco quando io ero bambino e lo facevo sempre arrabbiare: sì, proprio così. Arrabbiare perché con la mia famiglia abitavo in municipio (mio padre era il vigile del paese e il custode del municipio) e non avevo freni né limiti nello scorrazzare da un ufficio all’altro con il mio inseparabile triciclo, o con la mia macchina a pedali. Quello stesso municipio in cui, a forza di vedere carte e brogliacci, ho imparato a leggere ed a scrivere che avevo forse 4 anni. Fatto sta che quando ho messo i piedi per la prima volta a scuola, e ho visto che i miei coetanei, a 6 anni, non sapevano né leggere né scrivere, ero rimasto sconvolto e non avevo esitato a dire: “cosa ci vado a fare a scuola io per imparare cose che so già?”.

Di Mistura, man mano che crescevo, ho sempre avuto soggezione: mi sembrava un burbero, un severo, gli stessi dipendenti degli uffici mi mettevano in guardia quando sapevano che il sindaco stava per arrivare.

Il tempo, come sempre, è galantuomo e mette tutte le cose al loro posto. Così in Gaetano Mistura, in realtà, ho trovato un amico fidato (e non importa se ci dividono poco meno di quarant’anni), disponibile, sempre presente: un punto di riferimento. Uno che non avrebbe mai dovuto smettere di fare il sindaco: gli avrei dato il voto, e ancora oggi glielo darei, senza nemmeno bisogno di conoscere il suo programma elettorale, o il suo schieramento.

Quando è ora di tirar fuori ricordi legati al passato è sufficiente rivolgersi a lui perché di certo la risposta sarà puntuale, precisa, corretta, inconfutabile.

“Atmosfere e genti di Po” è un testo sempre attuale, che Gaetano Mistura ha deciso di mettere a disposizione di tutti i lettori di oglioponews. Non resta che dirgli Grazie e lasciar spazio alle sue parole.

Eremita del Po, Paolo Panni














 

Atmosfere e genti di Po

Ogni ambiente naturale forgia la gente che lo abita. La montagna i montanari, la valle i valligiani, il mare, quanti abitano le sue coste. Anche il Po, io credo, plasmi caratteri antropologici del tutto peculiari. Credo che il Po contribuisca a connotare le genti che hanno origine lungo le sue sponde, ma allo stesso tempo che le genti nate lunghesso avvertano forte il senso di appartenenza. Vi è un rapporto ancestrale tra il fiume e la sua gente. Già da quando questi luoghi impaludati fin dove ora corre la via Emilia cominciarono ad essere dissodati e strappati al corso disordinato del fiume, con canali, con arginature e con altre opere di difesa. Già da quando l’uomo cominciò a trarre dal fiume elementi utili per la sua sopravvivenza: la pesca, ma anche la vegetazione e i sedimenti con i quali costruire i luoghi in cui vivere. E’ stato un continuo dare e avere tra il Po e chi vi abitava: il fiume un po’ dava e un po’ si riprendeva e la gente un po’ si prendeva e un po’ si adattava alle nuove regole imposte dall’acqua. Per l’uomo di qui è stato un continuo prosciugare, disboscare, dissodare, coltivare, fino a quando l’imprevedibilità del fiume non vanificava tutto quanto, e l’uomo, in condizioni mutate e del tutto impreviste, doveva ricominciare a bonificare, incanalare e difendersi. Si è creata così una simbiosi che, con l’andare del tempo, ha dato origine ad insediamenti, ad attività umane, ha determinato stili di vita, ha prodotto culture, tradizioni, costumi, economie. Oggi il contesto del Po non è più come lo videro i nostri nonni e bisnonni, ciò nondimeno per chi è nato su queste sponde continua ad avere una forte suggestione, che per molti condiziona financo lo stile di vita. Perpetuandosi nel tempo, lo vediamo ancora questo gigante scorrere, ora calmo e tranquillo, ora tormentato ed irruento. Ma la vita sulle sue acque, lungo le sue sponde – rimasta immutata per secoli – oggi è profondamente cambiata. Non vediamo più uomini e animali, a trascinare barconi controcorrente. Non vediamo più i mulini che senza sosta macinavano i grani per la farina e da qui il pane per il sostentamento degli umani e così, non si vedono più pescatori, traghettatori, cavatori di sabbia e ghiaia. Un tempo attorno al fiume girava un mondo, un mondo a sé. Vi si conduceva una vita che si svolgeva in parallelo con quella della terraferma. Teatro di scontri e battaglie a non finire, il fiume per millenni è stato però anche una inesauribile fonte di vita. L’alveo, le sponde, gli argini, la golena, i boschi, erano teatro di una autonoma vicenda umana. Persino i bambini in colonia venivano nel periodo estivo a popolare queste rive per corroborare il corpo e lo spirito. Un microcosmo ambientale e sociale, che obbediva a schemi e a stili di vita suoi propri, diversi da quelli che si vivevano di là, oltre l’argine. Un microcosmo che ha generato una umanità capace di imprimere al proprio tempo persino svolte epocali. Ad esempio i mugnai dei mulini sul Po, vessatori e vittime al tempo stesso dell’odiosa tassa sul macinato. Essi, insieme agli scariolanti, impegnati nella faticosa, estenuante costruzione delle arginature, furono i protagonisti di dure lotte politico-sindacali per la conquista di migliori condizioni di lavoro e di rappresentanza sociale. Per secoli la via d’acqua ha rappresentato un’autostrada ante litteram per le nostre genti. Una via di comunicazione insostituibile, sulla quale si potevano trasportare persone, oltre che carichi rilevanti di merci, in un tempo nel quale i traffici terrestri si svolgevano con estrema lentezza su strade talvolta al limite della praticabilità che si percorrevano, a piedi o, al più, con cavalli e buoi”.

Sulla locandina che annunciava l’incontro era stata rappresentata una piccola porzione di una bella mappa del Po sulla cui riva destra erano disegnati cinque mulini e, appena sotto, era scritto “Molini di Zibello”. “Anche da noi – scrive quindi di nuovo Gaetano Mistura – dunque operavano diversi mulini. Questa porzione di mappa fa parte di una cartina più e qui vorrei far notare alcuni particolari. Innanzitutto l’imbarcazione: Il disegno è fatto molto bene e ci rappresenta una tipologia di imbarcazione che solcava il nostro fiume e che noi certamente non abbiamo mai avuto modo di vedere. Questa è un’altra tipologia di barca. Qui la struttura è più complessa: vi è un albero che sorregge quattro funi per rendere più solido lo scafo e renderlo idoneo ad una corrente magari più tumultuosa. Qui i rematori sono due uno a prua e uno a poppa. Al centro una sorta di capanna, forse per il ricovero di merci e attrezzature. Infine cinque mulini. Si vede benissimo la loro conformazione: un solo scafo con la ruota sul fianco per far ruotare le macine. In una successiva rappresentazione vediamo mulini ancorati davanti a S. Croce a doppio scafo, la ruota in questo caso era posta in posizione centrale, come in questo che si presenta con una stazza enorme. Per dirigere e posizionare questi giganti d’acqua, come si può ben comprendere erano richiesti sforzi inauditi. I mulini erano una componente economica di grande rilevanza, proprio per le ragioni che qui si produceva la farina per fare il pane, per di più i mulini funzionavano con una energia inesauribile, pulita e a costo zero, la stessa che anche oggi andiamo continuamente vagheggiando, ma per ora senza risultati apprezzabili. Attorno ai mulini vi era vita, un andarivieni di saccaroli che, a spalla o con asini, muli e barrocci di varia foggia scaricavano grano e caricavano farina. Per il molinaro e la sua famiglia il mulino era il mondo. “… il Po è fiume infido e terribile”, scriveva Francesco Luigi Campari nel libro “Un castello del parmigiano nei secoli” nel quale descrive lo scorrere capriccioso del fiume, ora calmo e tranquillo, ora furibondo e devastante. L’autore parla anche di diverse esondazioni susseguitesi nel corso dei secoli. Vorrei ricordarne una, quella del 14 novembre del 1801. Una esondazione devastante che sormontato l’argine maestro a Ragazzola, produsse un’ampia falla e un buco profondo, ancora oggi visibile benché nascosto dalla vegetazione. Dieci case atterrate, dieci persone morte e 27 salvate a stento. L’acqua lambì l’abitato di Pieveottoville, ma oltre Ragazzola, invase Roccabianca, Fossa e giunse a Fontanelle. Per qualche tempo il Po ci lasciò poi tranquilli, ma dopo un secolo e mezzo, nel 1951, lo stesso giorno 14 novembre una nuova piena fece vivere alla gente dei nostri paesi, altri giorni di terrore. L’argine maestro resse e non vi furono morti, ma nel Polesine si contarono 100 vittime e 180.000 senzatetto. Altre alluvioni si susseguirono poi con maggior frequenza nel 1977, nel 1994, nel 2000, ma fortunatamente “il Maestro” resse. Nelle zone allagate – però – ogni volta, si presentarono le scene di uno stesso dramma, con le stesse paure, le stesse devastazioni. Così si vivono da queste parti le sfuriate del fiume, sempre consolandoci tuttavia, se non succedono accadimenti peggiori. «Cla’ scusa siura regina. Sa sava ch’l’era li a’m saress mess almeno li mudandi», cosi un barcaiolo del porto di Polesine Parmense, chiamato Marass, in una giornata torrida degli anni Venti, rivolgeva le sue scuse alla regina Margherita di Savoia, che doveva traghettare dall’altra parte. Marass, come tutti i barcaioli, portava una camicia lunga, una cinturetta di corda in vita, senza braghe e senza mutande, perché quelle lunghe dell’epoca gli avrebbero impedito la libertà dei movimenti, e la libertà, si sa, è condizione irrinunciabile per gli indigeni di qui. Anche se il vento faceva svolazzare la camicia, nessuno ci badava. Non conosciamo la reazione della regina, ma la storia è vera. Una storia padana che l’acqua fece rimbalzare di bocca in bocca, di casa in casa, di paese in paese, una storia delle tante che rivelano lo spirito terragno e anarcoide, geniale e pazzoide della gente di Po. Ciufana era un traghettatore di Zibello. No, non sto parlando di Goliardo Cavalli scomparso alcuni anni fa, sto parlando di suo padre Giuseppe, ma era Ciufana anche il nonno, tutta gente del Po. Ciufana padre era un gigante che sembrava dominare il fiume. Quando con la sua barca a remi si staccava dalla riva per raggiungere l’altra sponda si poteva pensare che stesse sbagliando direzione, che avesse preso male la mira, ma per lui la corrente, il vento, la deriva non avevano segreti, sbarcava al punto di approdo senza sbagliare di un centimetro, anche nella notte più fonda. Se lo aveste chiamato con un fischio (perché così si chiamavano i barcaioli) per farvi traghettare sull’altra sponda, ve lo sareste visto arrivare, sudato ed esausto, in mezzo alla nebbia, ma pronto per portarvi sull’altra riva. Ciufana, mitico abitatore del fiume che, come una creatura mitologica metà uomo e metà pesce, poteva vivere sulla terra e nell’acqua, indifferentemente. Oggi il Po è malato. Le sue acque languono sopraffatte dall’inquinamento e dall’uso irrazionale che ne viene fatto , è malato a causa di escavazioni non compatibili, è malata la sua fauna ittica che non riesce più a riprodursi, di questo occorrerebbe prendere coscienza. In compenso esso sa ancora offrirci scenari irripetibili. Profondi silenzi, l’odore strano e penetrante dell’acqua, il lento scorrere della corrente, una piarda, una macchia di bosco, la via alzaia, (e Paolo Panni aggiungerebbe un bosco incantato) tramonti mozzafiato dipingono lo scenario di un ambiente unico ed incomparabile che si offre, senza pagamento di biglietto, all’ammirazione del visitatore che su queste rive voglia ritrovare la pace e il bello della natura. In cambio il Po chiede solo un po’ di rispetto e di attenzioni. In vari momenti del Po ho raccolto le atmosfere, del Po ho raccolto le voci, ho raccolto i sussulti, i fremiti, ma sul Po ho udito anche i lamenti di famiglie orbate di qualcuno scomparso tra i suoi flutti infidi. A quanti venuti in queste acque e che non han più fatto ritorno alle loro case rivolgiamo un pensiero riverente. Tutte le morti in Po sono inspiegabili, ma questa continua ad essere più inspiegabile di tutte le altre. Ed ancora permettetemi di ricordare qui anche il geometra Giuseppe Manganelli, già tecnico del Magistrato per il Po. Nei momenti drammatici delle più recenti alluvioni sappiamo quanto siano stati decisivi e rassicuranti i suoi interventi. Anche questa è gente di Po. In ultimo non so resistere alla tentazione di richiamare Giovannino Guareschi che, come è stato ricordato, su questa riva veniva a masticare un filo d’erba e di far rivivere una scena tratta da uno dei suoi film della serie di Don Camillo. Quella che ripropone l’alluvione e verosimilmente l’alluvione del 1951 con la voce di don Camillo che, nella chiesa allagata e lui stesso immerso nell’acqua, l’altoparlante piazzato sulla torre, ammonisce i parrocchiani sfollati sull’argine: “Non è la prima volta che il fiume invade le nostre case; un giorno però le acque si ritireranno ed il sole ritornerà a splendere. Allora ci ricorderemo della fratellanza che ci ha unito in queste ore terribili, e con la tenacia che Dio ci ha dato, ricominceremo a lottare: perché il sole sia più splendente, perché i fiori siano più belli, e perché la miseria sparisca dalle nostre città e dai nostri villaggi. E – io aggiungerei – perché questo fiume continui ad accompagnare anche chi verrà dopo di noi fino alla fine del tempo”.

Gaetano Mistura

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