I traghettatori del Po: la storia
dei passaggi tra le sponde
Una vera e propria epopea, quella dei traghettatori. Una storia importante e preziosa, con la possibilità che non tutto sia andato perduto ma possa tornare in auge, e osare non costa nulla, una attività che potrebbe portare nuovo lavoro, nuova linfa e nuova vitalità, sul fiume
Tra i numerosi mestieri che, un tempo, si svolgevano tra l’una e l’altra riva del Grande fiume, una menzione particolare la merita quella del traghettatore. Un lavoro che, per la sua finalità principale, che era quella di collegare le due sponde trasportando persone e merci, può essere considerato un simbolo, a pieno titolo, dell’unione fra l’una e l’altra riva dl Po. Una professione da tempo scomparsa come scomparsi, ormai, sono i vecchi traghetti. Chissà che, da qualche parte, non se ne possano ancora recuperare, almeno in piccola parte, i pezzi, oltre che le memorie e le immagini. E’ doveroso, anche in questo caso, farne memoria ma è anche doveroso credere nella possibilità che un simile mestiere possa tornare in auge, nell’ambito dei progetti di valorizzazione e promozione turistica e culturale del Grande fiume e di tutta quell’area ricompresa nella Riserva Po Grande Unesco. Tornare a collegare le due sponde via acqua, sviluppando sia i collegamenti di carattere mercantile e commerciale che potenziando i percorsi turistici e culturali tra le due sponde (dando quindi la possibilità di trasportare persone e biciclette) è una carta da giocare, e su cui scommettere, anche nell’immediato. Per il bene, presente e futuro, delle terre del medio Po.
Passando alla storia riguardante traghetti e traghettatori, c’è una chicca conservata nel Museo della civiltà contadina “Giuseppe Riccardi” di Zibello, che riaprirà i battenti al pubblico dal 3 aprile. Un museo che, unito a quello dei reperti bellici e al “Cinematografo” (museo del cinema), tutti ricavati all’interno dell’ex convento domenicano, meritano una visita primaverile o estiva, raggiungendo magari il paese in bicicletta, o in barca, spostandosi tra i silenzi e il verde delle golene e degli argini, tra profumi di culatello e atmosfere di pace. Proprio all’ingresso dell’importante realtà culturale spicca un manifesto, di quasi cento anni fa, datato primo aprile 1923, del Consorzio pel Servizio di traghetto sul Po fra Zibello e Pieve d’Olmi. In questo avviso pubblico, l’allora sindaco di Zibello informa che “in seguito alla sistemazione della strada portuaria in territorio di Pieve d’Olmi, nonché alla costruzione di un natante della portata di 5 cavalli e 5 carretti a 2 ruote, da oggi è stato ripreso il servizio di Traghetto sul Po fra questo Comune e quello di Pieve d’Olmi, da tempo rimasto inoperoso per difficoltà di comoda viabilità. Chiunque voglia usufruire di tale passaggio – si legge ancora – troverà il servizio pronto e inappuntabile”. Nell’avviso si annuncia quindi che il passaggio di pedoni e veicoli, dall’una all’altra sponda, si effettuerà ogni giorno con imbarchi da Zibello alle 5.30, 9.30, 14.30 e 17.30. Gli imbarchi da Pieve d’Olmi, invece, alle 7, 11, 14 e 19. Nel manifesto sono qui riportare tutta una serie di tariffe. Si va dai 60 centesimi per un pedone senza carico alle 20 lire per macchine trebbiatrici a vapore per frumento, melica ed altri prodotti agricoli; motori a scoppio per aratura e segatura camions e conduttore.
Zibello è stata terra di mitici traghettatori, come il leggendario “Ciufana” (“al secolo” Giuseppe Cavalli) e Roberto Arduini.
A “Ciufana” (uno che, se lo chiamavi Giuseppe, non avrebbe nemmeno immaginato che ti rivolgevi a lui, perché per tutti era e resta “Ciufana”) il “Corriere Emiliano” (denominazione con cui uscì la Gazzetta di Parma tra il 1928 e il 1940, mantenendo comunque, come sottotestata, il nome originario) dedicò un interessante articolo. “Era Ciufana anche il nonno – ricorda l’ex sindaco e grande storico locale Gaetano Mistura – tutta gente del Po. Ciufana padre – aggiunge Mistura – era un gigante che sembrava dominare il fiume. Quando con la sua barca a remi si staccava dalla riva per raggiungere l’altra sponda si poteva pensare che stesse sbagliando direzione, che avesse preso male la mira, ma per lui la corrente, il vento, la deriva non avevano segreti, sbarcava al punto di approdo senza sbagliare di un centimetro, anche nella notte più fonda. Se lo aveste chiamato con un fischio (perché così si chiamavano i barcaioli) per farvi traghettare sull’altra sponda, ve lo sareste visto arrivare, sudato ed esausto, in mezzo alla nebbia, ma pronto per portarvi sull’altra riva. Ciufana, mitico abitatore del fiume che, come una creatura mitologica metà uomo e metà pesce, poteva vivere sulla terra e nell’acqua, indifferentemente”.
Non solo Ciufana, ma anche Roberto Arduini è stato, per molti anni, un importante e stimato traghettatore locale. A lui, il compianto giornalista e scrittore Elio Grossi, per tanti anni prezioso collaboratore della Gazzetta di Parma, nel suo libro “Uomini e mestieri di ieri e di oggi” aveva dedicato tutto un capitolo in cui lo stesso Arduini ricordava gli anni trascorsi a Casalmaggiore con gli spostamenti tra Cremona, Monticelli d’Ongina, Casalmaggiore, Pizzighettone (con trasferte, quindi, anche lungo l’Adda), Boretto e Guastalla. Quindi, il rientro a Zibello nel 1946 (dopo gli anni da prigioniero di guerra in Sud Africa) e l’ingresso come socio nella Cooperativa Trasporti Fluviali con cui si organizzavano le prime gite, di una sola giornata, da Zibello a Cremona (specie per la fiera di San Pietro). Tre anni dopo, quindi, dopo l’acquisto di un residuato bellico, il ritorno in proprio, come traghettatore, con collegamenti tra Zibello e la storica Tenuta “Della Zoppa” (sulla riva cremonese).
In quel periodo, Arduini, trasportava quello che gli capitava, in particolare gruppi di giovani che, verso sera, si recavano a ballare di là dal Po. “Spesso – ricordava Arduini a Elio Grossi – si doveva trasportare anche l’orchestra ‘Perini’ di Pieveottoville. Poi si ritornava a notte fonda. A volte anch’io andavo a ballare con loro, ma il più delle volte ne approfittavo per andare a pescare, mia grande passione”. Conoscevo anche i posti ‘proibiti’. I guardiapesca erano a ballare anche loro. Guadagnavo più con un bello storione, che con una settimana di trasporti. Poi ogni giovedì a Zibello c’era il mercato. Al mattino presto mi portavo sull’altra sponda dove mi aspettavano, come al solito, frotte di massaie cremonesi con ceste di pulcini, anatroccoli e uova. Poi è arrivata l’alluvione (quella del 1951, ndr) che rompendo gli argini guastò tutta la mia ‘ragnatela’ privata. Poi i fuori-borgo, gli entro-bordo…tutte cose che mi hanno prima spazzato via, poi anche spiazzato…”. Tutto perduto? Chi scrive queste righe è convinto di no. Sicuro del fatto che, nell’ambito di una promozione turistica del fiume, che sia rispettosa del suo ambiente e delle sue eccellenze, possa tornare attuale l’idea di promuovere servizi stabili, e quotidiani, di traghetto, che possano ad esempio portare le persone a frequentare di nuovo le fiere ed i mercati settimanali dell’una e dell’altra riva. Magari anche dando vita a nuovi mercati agricoli, legati alla terra e al Po.
Restando in tema di traghetti e traghettatori, molto attiva è sempre stata la “linea” tra Stagno Lombardo e Polesine Parmense. La storia stessa conferma che uno degli ultimi porti rimasto in attività è stato quello che collegava appunto le due località.
Qui erano attivi, soprattutto, Luigi e Dante Spigaroli, padre e figlio, per tutti semplicemente “Vigion”. Perché i soprannomi sono sempre stati in voga, in ogni tempo e, specie in passato, arrivavano talvolta ad avere più importanza, o comunque più notorietà, del nome ufficiale. Così, se a Zibello c’era Ciufana, a Polesine era attivo Vigion. Luigi Spigaroli era il nonno di Massimo Spigaroli, celebre chef stellato e,da qualche anno, anche sindaco di Polesine Zibello: uno che sulla promozione del turismo fluviale, e della cucina gastrofluviale, ha fatto una vera e propria ragione di vita. Evidentemente l’eredità del nonno Luigi e dello zio Dante (quest’ultimo il traghettatore lo faceva di professione) si è incuneata profondamente (ed è bene che sia stato così) nelle vene e nella testa di Massimo e Luciano Spigaroli, che da anni portano avanti i saperi ereditari dai genitori, dai nonni, dagli zii: tutti legati, intimamente, al fiume.
Dante, in particolare, nella sua professione si avvaleva della collaborazione, più che preziosa, di Marass: altro vero e proprio nome d’arte, al punto che praticamente nessuno ricorda come facesse di nome, ed è giusto così. A questa ulteriore mitica figura di fiume è legato un aneddoto ricordato, ancora, dall’ex sindaco di Zibello Gaetano Mistura, meritevole di essere riportata per esteso: “Cla’ scusa siura regina. Sa sava ch’l’era li a’m saress mess almeno li mudandi” (traduzione per chi non mastica il vernacolo: “Scusi signora regina, se sapevo che era lei mi sarei messo almeno le mutande”): “Cosi – ricorda Mistura – un barcaiolo del porto di Polesine Parmense, chiamato Marass, in una giornata torrida degli anni Venti, rivolgeva le sue scuse alla regina Margherita di Savoia, che doveva traghettare dall’altra parte. Marass, come tutti i barcaioli, portava una camicia lunga, una cinturetta di corda in vita, senza braghe e senza mutande, perché quelle lunghe dell’epoca gli avrebbero impedito la libertà dei movimenti, e la libertà, si sa, è condizione irrinunciabile per gli indigeni di qui. Anche se il vento faceva svolazzare la camicia, nessuno ci badava. Non conosciamo la reazione della regina, ma la storia è vera. Una storia padana che l’acqua fece rimbalzare di bocca
in bocca, di casa in casa, di paese in paese, una storia delle tante che rivelano lo spirito terragno e anarcoide, geniale e pazzoide della gente di Po”.
Uno degli ultimi serviti di traghetto rimasto in funzione è stato quello che collegava San Daniele Po a Roccabianca, attività di cui si è occupato, per molti anni, l’indimenticato Natale Bia di San Daniele Po. Attività poi proseguita, negli ultimi tempi, da Gino Barbarini fino alla soppressione del servizio, nel 1980, con l’apertura del ponte sul Po “Giuseppe Verdi”. Quello che collegava appunto San Daniele Po e Roccabianca era un traghetto composto da due barconi in cemento coperti da un’ampia superficie in legno e, alla gestione, partecipavano le Province di Cremona e Parma oltre ai Comuni di San Daniele Po e di Roccabianca.
Tra le figure di traghettatori passate alla storia non si può dimenticare il leggendario Pasquino Soriani, mantovano, da tutti ricordato come Pacale che, durante la sua esistenza, traghettò migliaia di persone e, soprattutto, durante l’alluvione del 1951, salvò una sessantina di persone che stavano per annegare.
A Cremona è passato alla storia Teuta e qui si va agli anni Venti del Novecento quando, in estate, venivano traghettati i bagnanti nei pressi delle Colonie Padane, mentre a Crotta d’Adda, fino agli anni Settanta, è rimasto attivo, col suo traghetto, Orlando Grilli.
Infine, andando ancora più indietro nel tempo, altra storica figura è stata quella di Pietro Pecchioni (Sarmato 1828, Parma 1908), garibaldino e barcaiolo, costruttore di barche e traghettatore del Po.
Una vera e propria epopea, quella dei traghettatori. Una storia importante e preziosa, con la possibilità che non tutto sia andato perduto ma possa tornare in auge, e osare non costa nulla, una attività che potrebbe portare nuovo lavoro, nuova linfa e nuova vitalità, sul fiume.
Eremita del Po, Paolo Panni