Cultura

Fiume Po: la siccità restituisce
le pietre di Polesine San Vito

La magra eccezionale del fiume di questi giorni le ha ampiamente scoperte, “restituendole” alla pubblica visione, regalando così a tutti la possibilità di poterle ammirare molto più del solito e come di rado era successo in passato

Bisogna avvicinarsi con cautela, rispetto e religioso silenzio a quell’angolo di fiume, e di golena, che sorge a Stagno Lombardo, in un’area dove la pace e la tranquillità regnano sovrane. Cautela, rispetto e religioso silenzio perché lungo la massicciata del fiume si conserva, ed è scritta la storia. Quella dell’antico abitato di Polesine di San Vito, uno di quei borghi “divorati” dal Po che oggi esistono solo nelle memorie e nei libri di storia locale. Al pari di Polesine di San Vito, sono scomparsi a causa dell’erosione del fiume, i vari Polesine dè Manfredi, Vacomare, Isola dè Bozardi, Caprariola, Gambina, Tolarolo, Arzenoldo o Rezinoldo, Tecledo, Brivisula e Caprariola (quest’ultima località non per erosione del Po) per quanto riguarda il Parmense; Barcello, Cella, Casale dè Ravanesi, Scurdo e Gurgo per quanto concerne il cremonese e le località piacentine di Castelletto, Olza Vecchia, Rottino e Tinazzo.

Polesine di San Vito, nel corso dei secoli, fu due volte spazzato via dalle acque del Po e poi ricostruito. L’attuale paese è, di fatto, il terzo ed è stato realizzato a maggiore distanza dal fiume e, quindi, in un luogo più sicuro. Il tutto grazie all’iniziativa del marchese Vito Modesto Pallavicino, ultimo signore di Polesine, sepolto sotto il presbiterio dell’attuale chiesa dei santi Vito e Modesto. Per entrare maggiormente nelle pieghe della storia va ricordato che agli inizi del XVI secolo il fiume spostò il suo letto più a sud, fino a lambire le fondamenta della rocca, che nel 1547 crollò e la stessa sorte toccò pochi anni dopo anche alla chiesa costruita da Giovan Manfredo nei pressi dello stesso maniero Successivamente il fiume riprese il suo corso e il borgo di Polesine rifiorì, con la costruzione di abitazioni e di due palazzi marchionali; la situazione precipitò ancora agli inizi del XVIII secolo, quando il Po deviò nuovamente verso sud e, straripando, distrusse nel 1720 la cinquecentesca chiesa di San Vito e, alcuni anni dopo, il palazzo delle Fosse, residenza di Vito Modesto Pallavicino. Quest’ultimo finanziò i lavori di costruzione di una nuova chiesa (l’attuale) in una posizione più distante dalla riva, fulcro dello sviluppo successivo del paese. Vito Modesto morì nel 1731, nominando erede universale il “ventre pregnante” della moglie, che tuttavia partorì una femmina, Dorotea e, quindi, il feudo fu assorbito dalla Camera ducale di Parma, che lo assegnò, unitamente a Borgo San Donnino, alla duchessa Enrichetta d’Este, vedova del duca di Parma e Piacenza Antonio Farnese.

Il legame tra Polesine e il fiume è sempre stato molto profondo, lo si intuisce fin dal nome stesso del paese, che potrebbe derivare dal latino “Laesus a Pado” , vale a dire “distrutto dal Po”. Scritta, questa, che era stata inserita anche nello stemma dell’ex comune di Polesine Parmense (fuso da alcuni anni con quello di Zibello). Stemma su cui comparivano anche il dio Eridano, personificazione del fiume Po, il castello a rappresentare il Palazzo delle Due Torri (l’odierna Antica Corte Pallavicina) considerato il simbolo del paese; l’aquila e lo scaccato simboli dei Pallavicino, signori del luogo fino al XVI secolo.

Quelle mura che oggi sorgono in sponda sinistra, all’altezza di Stagno Lombardo (ma in terreno appartenente all’Emilia Romagna e alla provincia di Parma) sono le ultime, valorose e inossidabili testimonianze del borgo scomparso di Polesine di San Vito. Ridotte oggi a macerie ma, tra quegli antichi mattoni, si celano secoli di storia, di gesta legate alla nobile famiglia dei Pallavicino. Mura (la cui presenza è sempre passata inosservata ai più) che, molto prima di noi, hanno costruito e fatto la storia, hanno assistito a fatti, più o meno importanti, che hanno interessato i nostri territori. Dagli anni Ottanta del Novecento, dopo che un palombaro venne inviato a fare esplodere gli ultimi ruderi di Polesine di San Vito onde evitare che le bettoline in transito potessero danneggiarsi, sono state piazzate sulla sponda del fiume, a sostenere la massicciata della riva sinistra. Una funzione che, di certo, non si addice a pezzi di storia tanto prestigiosi ma, ormai, il loro destino è quello. Meritano, comunque, di essere salvate, tutelare e valorizzate, per quello che rappresentano.

La magra eccezionale del fiume di questi giorni le ha ampiamente scoperte, “restituendole” alla pubblica visione, regalando così a tutti la possibilità di poterle ammirare molto più del solito e come di rado era successo in passato.

C’è da sperare che, in nessun modo, vadano perdute e chissà che, prima o poi, qualcuno, con un piccolo investimento, non decida di conservarle e di posizionare, nelle loro immediate vicinanze, un cartello in cui si descriva, brevemente, la loro storia. Loro, nel silenzio che le contraddistingue, continuano a vegliare, a modo loro, sulle genti del Po, dell’una e dell’altra riva, continuando a scrivere e a “raccontare” la storia. Che noi, nel tempo, dobbiamo saper conservare e divulgare perché, come diceva Cicerone: “la memoria è tesoro e custode di tutte le cose”.

Eremita del Po, Paolo Panni

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