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Il Fiume – di Giampietro Lazzari

Il fiume – di Giampietro Lazzari

Mi trovai, un giorno di settembre, a risalire la corrente un poco oltre il percorso che ero solito fare. Decisi di fermarmi su una piccola spiaggia mai notata prima, e per la sua conformazione probabilmente creata dalle correnti dell’ultima piena. Il Grande Fiume plasma senza sosta la materia nella quale scorre dando vita a forme nuove ed a volte, come scultore dall’animo impetuoso a cui non piace la sua opera, la distrugge.
Scesi dalla barca, infilai un remo nella sabbia e vi legai la cima per trattenerla dalla corrente. Sotto un cielo che dall’azzurro stava diventando grigio mi sedetti sulla sabbia proprio a ridosso dell’acqua, come tante e tante altre volte, a contemplare la pace.
Con un piccolo bastone, nel silenzio, disegnavo arabeschi che nella rena umida subito squagliavano. Alcuni uccelli volavano basso, segno che a breve il tempo sarebbe cambiato. Intorno a me la natura si mostrava ferma in attesa di un mutamento mentre quel sentore di umidità fluviale che ben conoscevo avvolgeva il tutto.
Amavo il fiume in tutte le sue forme. Come tutti rimanevo abbagliato dalle sue albe rosse e dai tramonti infuocati dietro la grande curva. Ma sentivo appartenermi di più i pomeriggi estivi, quelli stagnanti di umidità dove acqua e cielo sembrano confondersi; ed ancora il suo lambire le sponde; e i tronchi in balia delle correnti; e le sue creature che sai bene ti circondano, che senti ma non vedi. Ma ciò che in verità mi attirava maggiormente era la sua acqua con quel suono sommesso e inconfondibile, le sue correnti, i suoi gorghi, le sue profondità mai scrutabili, la sua istantanea e mutevole natura. L’osservarla era una momentanea perdita di coscienza, una caduta in una volontaria trance che ti costringeva a non distogliere lo sguardo. La corrente, come sciamano, faceva da tramite ed attraverso di lei ti conduceva a riflessioni che solo lì trovavano la loro giusta dimensione ed in altro luogo sarebbero apparse aliene. Non ero solo in queste esperienze. Come Ulisse e i suoi marinai alle prese con la sirena, noi tutti che frequentavamo il grande fiume eravamo felici prigionieri del suo muoversi.

Di lì a poco dall’approdo su quel lido, accompagnato da un lieve rumore di frasche smosse, scorsi una figura che dall’interno della vegetazione veniva verso la spiaggia. Con la miopia che mi caratterizzava, strinsi gli occhi per distinguerla meglio. Si trattava di un uomo piuttosto anziano dai capelli canuti, scalzo, che indossava un’ampia camicia bianca chiusa sul petto da un solo bottone, e che camminando sulla sabbia mi si avvicinava.
• Buongiorno, disse accennando una specie di inchino col capo, una volta che fu a poca distanza.
• Buongiorno a lei, risposi standomene seduto torcendomi ed alzando gli occhi verso quella figura.
• Mi scusi, è questo il grande fiume?…Stavo percorrendo una specie di strada che sembrava un muro di cinta rialzato quando ho visto un cartello con l’indicazione fiume, sono disceso e dopo un tratto di bosco sono arrivato fin qui, su questa spiaggia.
• Si, è questo il fiume – risposi – probabilmente lei è sceso dall’argine maestro non molto lontano da qui. Mi permetta, ma lei evidentemente non è di queste zone. Sbaglio?
• Vengo da lontano, da un posto di mare, si limitò a dire.
Il signore anziano si sedette sulla sabbia accanto a me e cominciò ad osservare l’acqua e la sua corrente. Abituato alle mie solitudini nel deserto delle sponde, mi faceva specie avere qualcuno seduto a fianco, per altro perfetto sconosciuto.
L’uomo appariva interessato alla realtà del luogo. Del resto – pensai – se non lo fosse stato non avrebbe scavallato l’argine, percorso un tratto di pioppeto ed approdato su quel lido.
Dopo qualche minuto di silenzio l’uomo prese a farmi domande. Sull’acqua, sulla corrente, sulla profondità e man mano che chiedeva pareva si accrescesse la sua curiosità che invece di spegnersi con le risposte trovava alimento in nuove domande.
Risposi sempre con dovizia di particolari alle richieste di quell’uomo, dapprima un poco disturbato da quella stravagante intromissione nella mia sfera contemplativa, poi incuriosito dall’acume delle sue domande e, alla fine, stupito dalla natura misteriosa di quell’individuo seduto nella sabbia accanto a me.
Le molte domande vennero esaudite e, dopo poco, cedettero spazio ad un dialogo che travalicava le originarie richieste e che aveva come trama sottesa la materia che in quel momento riempiva la nostra vista: l’acqua. Quella del fiume, che avevamo davanti e nella quale per pochi centimetri avevamo immersi i piedi, e l’acqua del mare dalla quale quell’uomo aveva detto di venire.
Ognuno ha la sua acqua pensai.
Con l’evolversi del dialogo, per una sorta di gioco delle parti a mezzo tra e il serio e il faceto, entrambi sostenevamo le ragioni delle nostre rispettive acque natali, e con queste i fondamenti delle nostre esistenze.
• È magnifico questo fiume – disse l’uomo – è molto ampio e indecifrabile e pacifico.
• Ha ragione – risposi – ma non solo. È anche pieno di vita e di cose da conoscere per poterlo vivere e per poterlo navigare.
• Io però sono avvezzo al mare – disse l’uomo – che è tanto grande e – mi permetta – il solcare le sue onde per apprezzarne la bellezza, necessita di perizia e pure di un po’di coraggio. Inoltre questo orizzonte delimitato dalle sponde, in qualche modo, ha per me qualcosa di strano, di inusuale.
• Sicuramente lei ha una parte di ragione – risposi – Tuttavia non volga lo sguardo solo alle sponde. Osservi la corrente. La segua nel suo percorso; ne rimarrà ammaliato. Inoltre anche il fiume hai suoi pericoli e le sue incognite. Ed esse vanno conosciute come i marinai conoscono le rotte, le secche e gli scogli affioranti.
• L’uomo mi si rivolse stupito: Pericoli nel fiume? Quali pericoli può contenere un’acqua cui basta seguire la corrente e senza onde?
• Certo che ci sono pericoli! – ribattei – Valuti, Signore, che un poco di coraggio ci necessita per solcare nel buio le sue rive spesso infestate dai predoni come le isole delle Molucche.
• Non lo metto in dubbio – disse l’uomo – pure il mare ha da sempre i suoi pirati. La storia lo insegna.
• Sappia signore, – continuai il ragionamento – che non è tutto qui. In mare le è mai capitato di essere assalito da pesci volanti?
• Pesci volanti? – Disse l’uomo volgendosi a me e spalancando gli occhi – Che novità è questa?
• Certo, signore, pesci volanti. Anzi, banchi interi di pesci volanti. Nelle notti di luna piena, nessuno sa il perché, saltano imbizzarriti fuori dal pelo d’acqua ed investono lo sfortunato nocchiero ed i suoi passeggeri. Mi creda, è accaduto; più volte, e con conseguenze spesso poco piacevoli. E le anguille? Simili a serpenti, rapidi e sfuggenti, ti avvolgono le gambe con le loro spire e ti fanno sentire il freddo dell’inferno. E i siluri? Bestie che possono ingoiare cani e si dice anche piccoli uomini. Signore, mi creda, son cose che possono muovere al vero terrore.
• Davvero? – disse l’uomo – pensavo che solo alcuni pesci marini fossero pericolosi. Conosco la tracina e la manta, ne ho incontrati più volte da giovane; mi ci sono imbattuto nelle mie immersioni. E ho frequentato i fondali con la loro oscurità profonda. Il mare è luogo pieno di misteri e a volte la sua immensità travalica le nostre limitate percezioni e ci fa perdere l’orientamento.
• Le credo – dissi – il mare ed il suo senso di immensità hanno da sempre provocato spaventi. I racconti delle bestie degli abissi riempiono le leggende fin dai tempi più antichi. Ma sappia che anche il fiume vive di misteri. Navigandolo capita che si perda il lume della ragione quando la luna piena gioca scherzi con le ombre dei pioppi e ti fa vedere acqua dove invece c’è sabbia.
• Perbacco! – trasalì l’uomo con un sussulto- Non conoscevo tutto questo ma, a ben pensarci non me ne stupisco. L’acqua, come l’aria è mutevole; e mentre quest’ultima si limita a percorrere invisibile lo spazio, l’acqua prende via via nuove forme e quindi in essa convivono molteplici nature, rendendola sostanza complessa, spesso indecifrabile e densa di significati.
• Sappia che a volte – proseguii – si ha l’impressione di imbattersi nei fantasmi degli annegati che ti chiamano dalle profondità e di altre entità sconosciute le cui ombre emergono dal pelo dell’acqua. Del resto, non ne dubito, le sarà capitato nelle sue scorrerie marine di incontrare strane creature, vero?
• Certo – rispose l’uomo – spesso è accaduto e credo che molti degli esseri che popolano il mare siano realmente ancora sconosciuti a noi abitanti della terra.
• Veda, caro signore, qui ci troviamo concordi – dissi. Anche nel fiume capita di incontrare entità che non sai bene se appartengano al presente o ad un tempo passato. Accade ad esempio di incocciare in legni levigati dal tempo e dall’acqua che hanno forme di viventi e che forse, in un’epoca passata, lo sono veramente stati; e l’acqua li ha trasmutati. Se ci sarà ancora un tempo dove lei, più assiduamente, si farà accarezzare dall’acqua dolce e fredda del fiume, ne potrà meglio capire la natura e il suo significato recondito.
• Sono felice che lei mi racconti queste cose – disse l’uomo con un sorriso – poiché mi dà modo di considerare che esistano molteplici dimensioni d’acqua ed esistano diverse possibilità di fare la loro conoscenza. Tuttavia mi viene da dirle, in tutta sincerità, che questa è pur sempre un’acqua che sfocia nel mare. Il fiume, grande o piccolo, terminerà sempre nel grande mare. Il mare – dunque – è come l’infinito. Il mare è l’abbraccio del tutto e del sempre e da esso nessuna acqua torna indietro.
• Vero – dissi un poco piccato – il mare c’è sempre stato e da esso, come un ultimo porto, non si torna. La invito tuttavia ad osservare che l’acqua del grande fiume nasce ogni giorno e, a mio personale sentire, il divenire risulta preferibile all’essere sempre stato. L’arrivare nel luogo del tutto vuol dire giungere anche nel luogo del nulla, poiché tutte le acque si mischiano per l’eternità e nessuno ne riconosce più alcun tratto.
• Si – rispose l’uomo – ma l’esser sempre stato è appunto l’interminabile, è l’immanenza della natura e dell’universo. Come può non rimanere affascinato da questo concetto che travalica il tempo e lo spazio?
• Certo che mi affascina – risposi – come smentirla? Ma l’infinito stanca se mischia le singolarità con il tutto e poi rimane immutabile. È il divenire ciò che movimenta le nostre esistenze e che ci rende felici.
• Ma il divenire, come la corrente del fiume, porta con sé le incognite – rispose l’uomo – L’infinito no! Con l’infinito sappiamo che, comunque sia, ci sarà sempre un luogo ed un tempo e questo rassicura le nostre esistenze, almeno per chi crede.
• Non è privo di fondamento questo suo pensiero – ribattei – Ma vogliamo stare sempre con una natura, con un Dio, con un qualcosa che non terminerà nei secoli dei secoli? L’infinito mi affascina come concetto, ma io non lo vorrei, anche se ora rischio di passare per un demonio.
• Ma nell’infinito c’è il tutto – sottolineò ancora una volta l’uomo – anche quello che lei non immagina poiché non conosce o non ha vissuto. Non lo trova un concetto supremo?
• Forse Lei ha ragione – dissi – Nemmeno io sono così convinto di ciò che dico. Tuttavia vedo il fiume come il paradigma del divenire e per questo pieno di meraviglie poiché portatore di ciò che non ci aspettiamo. Il mare è un punto di arrivo, grandioso nella sua dimensione infinita, ma una volta approdatovi credo rimpiangerei la corrente che lì mi ha condotto. Il divenire è l’essenza della nostra esistenza. l’infinito lo vedo disperato, poiché in esso non trova spazio ciò che potrebbe essere. Vi trova spazio ciò che è stato, ciò che è, ciò che sarà. Ciò che potrebbe, no. Ma può essere che la mia – continuai – sia solo una visione distorta dal mio vivere su queste sponde. Non me ne faccia una colpa, la prego.
• In verità la sua – disse l’uomo – mi sembra comunque la descrizione di un credente; anche se non ho ben compreso in cosa. Non importa che il suo mondo finisca dove o quando; non è l’infinito che le conferisce certezze che la spinge a vivere ed a cercare.
• Chissà – conclusi – Forse noi due viviamo rappresentandoci due aspetti della medesima realtà, osservata però da due sponde diverse. Un po’ come un mondo capovolto o mostrataci volutamente da un dio che si prende gioco di noi.

Dopo poco io e quell’uomo concordammo che sia i fiumi sia i mari avevano sponde e che le stesse, in ogni luogo del mondo li delimitavano, grandi o piccoli che fossero, e questo pensiero riconciliò i nostri spiriti.
Rimanemmo in silenzio, entrambi e guardare quell’acqua che in quel momento era fiume e domani sarebbe stata mare. Ognuno riflettendo nel proprio profondo. Il Grande Fiume come un saggio padre che cammina sempre al nostro fianco e che via via ci parla e ci insegna dell’esistenza, senza clamori, ci aveva fatto l’ennesimo regalo. Ci aveva condotto alla meditazione ed al confronto.

Poi il vecchio signore si congedò da me. Si alzò con un po’ di fatica sulle ginocchia scricchiolanti. Pensai volesse trovare un poco di frescura ed infatti lo vidi immergersi timidamente nelle acque grigie. Lo osservai entrare nel fiume. Dapprima fino alle ginocchia, poi fino al ventre, poi al petto. Infine lo vidi allontanarsi nuotando piano ormai quasi a metà delle due sponde, finché i suoi movimenti si fermarono ed era la sola corrente a trascinarlo. Bastò poco tempo perché si distaccasse dalla mia vista non prima di aver scorto i tratti del suo viso che sembravano sereni.
Poi scomparve.
Non rividi più quel vecchio uomo, né di lui seppi il nome e la sua precisa provenienza, a parte quei brevi cenni al suo mare. Né tantomeno nei giorni successivi ebbi notizia di persone annegate o disperse.
Non conobbi mai se quell’uomo si immerse per provare il viaggio del divenire del fiume o per congiungersi con l’infinito del suo mare. Ma, forse, erano entrambe le cose.

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