Cronaca

Sei zaini, tre sogni, un
disegno e un quarto d'ora

Siamo sorpresi e toccati nell'osservare queste scene di dignitosissima disperazione con donne di tutte le età che tengono per mano i loro bambini alcuni piccolissimi. Nel freddo pungente siamo senza notizie da quando la batteria dello smartphone ha abbandonato la nostra Liza e Alex chiede informazioni all'autista del bus il quale sa solo che continuerà a fare avanti e indietro per portare i profughi in Polonia

Foto: lindro.it

Preparati, stanno arrivando da Milano.

Mentre faccio la doccia penso con gratitudine all’autofficina Perini che mi ha preparato l’auto con urgenza in previsione di una partenza immediata per il confine Polonia-Ucraina e ripasso il percorso Vicobellignano, Tarvisio, Austria, Cechia, Polonia fino alla città di Rzeszów, piazzale della stazione e accidenti sono 1500 Km, io ho sempre temuto la neve ed è la prima volta che guido questa Jeep ma è una 4 x 4 e poi siamo in tre con tre zaini per il necessario e so solo che dobbiamo fare presto.

Alex è Ucraino e sa che sua Figlia Yelyzaveta (Liza) è fuggita da Kiev sotto le bombe, riempiendo il suo zainetto, che prima riempiva di libri, ed è salita su un autobus diretto a Leopoli e poi al confine con la Polonia. Arriverà molto prima di noi e pensarla di notte in una città sconosciuta, al freddo e chissà poi in quali condizioni ci preoccupa non poco ma sappiamo che dopo la rottura di un pneumatico, l’autobus è ripartito e che sono bloccarti in una fila interminabile e finchè la batteria del suo telefonino avrà carica potremo confortarla.

Durante il viaggio centelliniamo i messaggi, ma siamo consapevoli che la speranza siamo noi e allora tra un pieno di gasolio e l’altro non posso non notare che la mia Europa è anche questa che sto attraversando, senza frontiere e pur tra mille problemi è in pace coi suoi campanilismi. Arrivato a Brno subito penso al circuito motociclistico che presto vedrò insieme a un’amico che qui viene con le sue potenti Kawasaky, ma il cartello Austerlitz ricorda che la battaglia di Napoleone e i tanti conflitti prima e dopo di lui ci hanno insegnato l’assurdità della guerra e mi chiedo come sia possibile ora che ve ne sia una così insensata.

Proseguendo ci rendiamo conto che arriveremo prima noi di lei all’appuntamento anche se ormai l’autobus è a ridosso del check point in prossimità del confine ma arrivare è l’obbiettivo e dopo 15 ore di viaggio, alle 6 del mattino siamo nel punto concordato. Fa un freddo cane e scopriamo che gli sfollati arrivano tutti qui quando da un primo bus ucraino vediamo scendere donne e bambini assistiti da volontari e dalla polizia che provvedono a dare informazioni, acqua, cibo e abiti a chi ne ha bisogno.

Siamo sorpresi e toccati nell’osservare queste scene di dignitosissima disperazione con donne di tutte le età che tengono per mano i loro bambini alcuni piccolissimi. Nel freddo pungente siamo senza notizie da quando la batteria dello smartphone ha abbandonato la nostra Liza e Alex chiede informazioni all’autista del bus il quale sa solo che continuerà a fare avanti e indietro per portare i profughi in Polonia e dice che nonostante i controlli siano molto blandi e la polizia di frontiera molto disponibile, la pressione umana è tale che le operazioni sono lentissime. Quell’uomo serio e risoluto aveva ragione perchè attenderemo 30 ore a scrutare tutti i bus in arrivo al centro di accoglienza. Ogni nuvola che ci passa sopra scarica un po’ di neve che sorprendentemente non si ferma al suolo e in una di queste mini bufere innocue conto l’andirivieni dei cittadini che entrano ed escono dalla stazione, studenti, lavoratori, insomma uomini e donne che prendono il treno, ma molti portano un dono che lasciano davanti alla tenda allestita e scopro che un giocattolo a volte è più utile di un panino quando una giovane mamma avvolta in ogni freddo possibile tiene per mano una bimba che felicissima cerca di coinvogerla col suo nuovo pelouche.

Un sorriso di un bimbo è sempre una speranza.

Davanti a una qualsiasi stazione vi è un coacervo di momenti individuali e di sentimenti che si manifestano in arrivi, partenze, abbracci, attese, commozioni, saluti, addii e poi sguardi e volti di un’umanità pulsante e qui anche solidale. Una grande e inaspettata solidarietà che non può che commuovere chi come noi, scambiati per profughi, siamo costretti, grazie al perfetto inglese di mia figlia, a spiegare che siamo Italiani, lì anche noi per dare un aiuto e allora è la muta stretta di mano in barba al covid che rompe ogni barriera e scalda regalando un sorriso.

Alex è in continuo contatto da giorni con i suoi parenti a Sumy e con i suoi amici a Kiev e ha sconcertanti notizie in diretta trasalendo ogni volta che l’impensabile accade e riceve da Nikolay architetto e disegnatore una immagine su whatsapp. E’ un disegno vergato nel rifugio sotterraneo del palazzo sotto bombardamento, una caricatura tremenda e efficace, lucida analisi disperata di un un uomo che insieme alla moglie pure lei architetto ha fatto della bellezza costruttiva la ragione del suo impegno in antitesi alle scoordinate macerie che vede intorno a sè. Ho conosciuto Nikolay, uomo mite e pacato, la moglie Oxana che va matta per il gorgonzola e la figlia Margot una bellissima bambina che si è sentita nel sogno una principessa sulla splendida carrozza custodita nel palazzo comunale di Cremona e li ho osservati travolti dalla bellezza della città e dei suoi violini con l’immancabile foto in piazza Duomo e accanto al monumento a Stradivari e poi ancora a Mantova, sorpresi e stupiti.

Chiediamo il permesso di divulgare il disegno e ci dice che si possiamo farlo. Vediamo di non deluderlo.

Nell’ennesima piccola tormenta di neve Galiziana, dal finestrino noto un giovane ragazzo che si prepara in magllietta mezze maniche con pantaloni e abbigliamento militare. Fa un bel freddo, ha il suo zaino aperto e nella vestizione appaiono i simbioli. E’ un medico militare, canadese appena arrivato in stazione che si prepara per la sua missione e penso e spero sia l’inizio di una cooperazione internazionale.

Dopo interminabili ore chiusi in macchina arriva un messaggio da Liza, hanno finalmente attraversato la frontiera.

Passeranno 3 ore trasalendo ad ogni bus in arrivo e decidiamo di cercare informazioni all’interno della stazione nella sala riservata ai profughi.

Qui i volti straziati e stanchi delle madri con accanto i loro bambini delegavano ai loro occhi silenziosi di parlare per loro non avendo risposte da offrirci finchè alzandosi, una signora dai modi gentili e delicati ci dice quel che già sappiamo e salutandoci si rimette tristemente a sedere.

Pensai che forse era una musicista o un’insegnate ma un nuovo messaggio dal telefonino di una compagna di viaggio di Liza ci comunica che il bus si è guastato ed è fermo in autostrada. I giovani fanno miracoli con la tecnologia e ci inviano le coordinate per il navigatore quindi partiamo immediatamente con i battiti in aumento.

Individuato il bus accostiamo e vi lascio immaginare perchè io non ho visto, non reggo queste emozioni che sono come il sangue che sgorga da un ferito anche se ho intravisto le lacrime di mia figlia dagli occhi arrossati, tuttavia bisogna farsi coraggio perchè tornare a Casalmaggiore è lunga. Liza e riuscita a scappare lasciando a Kiev il suo personale sogno di ragazzina e mi abbraccia poi va a cercare la sua nuova amica e mi chiedono se possiamo aiutarla a raggiungere una sua conoscente polacca che la ospiterà. Detto e fatto, prendo il suo zainetto e partiamo. Si chiama Valeria, sì Valeria come una mia carissima amica, Valeria scritto come si scrive in italiano, misteri delle lingue ed è fuggita anche lei dalle bombe da una città dal nome che non so riferire, arrivata anche lei su quell’autobus spezzando a 20 anni il suo sogno. Il navigatore mi dice che la nuova destinazione, Wrozlaw ( Breslavia), è a 420 Km vicina ai confini della Germania e della Cechia.

So che è una città bellissima ma arriveremo a tarda sera e non vedrò nulla ma so anche che le due ragazze sono stanchissime, senza parole e vorrebbero un caffè, ma due giorni a cavallo di treni e autobus impongono ben altro, per cui meglio provvedere a una doccia e a un cambio che fortunatamente mia figlia ha previsto prenotando un albergo e acquistando il necessario. Rimandiamo il caffè a Cracovia dove ci fermiamo a mangiare per poi proseguire senza soste fino ad affidare in mani sicure la nostra amica che parla un’ottimo inglese e confida a mia figlia che il conforto del nostro aiuto gli ha riaperto la sua personale prospettiva del futuro ferma al quarto d’ora.

Anche qui vi lascio immaginare l’intensità dei momenti negli abbracci sinceri.

Si riparte e il resto è solo stanchezza e devono averlo capito anche i tre cervi che attraversando la Slesia abbiamo incrociato nel buio sulle colline innevate che hanno deciso all’ultimio istante di non attraversare la strada pensando di lasciarci passare senza creare problemi … come profughi.

Mozzi Claudio – Disegno di Mykola Havrylovskyi (Nikolay) https://www.pinterest.it/Havrylovski/

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