Zibello, al Barcon ad Baldo e
la storia degli uomini di fiume
Il fiume, in passato più di oggi, era ed è stato per tante famiglie una straordinaria fonte di vita. Tanti i mestieri, molti dei quali oggi scomparsi, che si svolgevano intorno al Po. C’erano i saccaroli e i mugnai, i barcaioli ed i pontieri, i passatori ed i pescatori, i manovali ed i cavatori di sabbia, gli scariolanti, i carrettieri ed i boscaioli
Il Grande fiume in magra è un giacimento di sorprese e di tesori nascosti. Sulla riva emiliana, il Po, dopo avere restituito parte delle antiche mura di Polesine San Vito, località scomparsa da secoli (per erosione del fiume) che era posta nei pressi dell’odierna Polesine Parmense, ha messo in risalto, a Zibello, ciò che resta di un vecchio barcone in legno. Almeno localmente la sua presenza è nota a tutti gli appassionati del fiume, ma il periodo di magra lo ha evidenziato maggiormente, ed è ora più visibile. Per i più sbadati, o i meno attenti, potrebbe passare inosservato. Invece quella prua che emerge dalla sponda, in località via Lunga, con parte di ciò che resta dello scafo, è un monumento di storia fluviale, quella storia laboriosa, “scritta” da uomini e donne che sul Po hanno trascorso e sudato per intere giornate, per larga parte della loro esistenza. Perché il fiume, nei decenni passati, è stato, per molti, fonte di vita: molto di più rispetto ad oggi. Quello in questione è il barcone che veniva un tempo utilizzato da Ubaldo Morenghi (infatti, localmente, in dialetto tutti lo conoscono come il “Barcon ad Baldo”) ed era destinato al trasporto di ghiaia e sabbia, con “tappe” che arrivavano anche fino a Venezia, con rapporti continui, e quotidiani, con il cremonese ed il casalasco.
L’imbarcazione, in legno, era lunga 25 metri e larga 5, funzionava a motore ed aveva rimpiazzato quella precedente che era trainata dal cavallo (stando sulla via Alzaia). Il relitto è insabbiato da mezzo secolo in località “Via Lunga” e, purtroppo, col tempo, si sta sempre più sgretolando. In passato, il compianto dottor Giuseppe Riccardi, fondatore del locale museo della civiltà contadina, ne aveva anche proposto il recupero ma, purtroppo, l’iniziativa non era andata in porto e il barcone è ancora lì, come un vessillo che, seppur ferito, continua tenacemente ad essere testimone della laboriosa storia del Po. Tra l’altro, nel museo della civiltà contadina di Zibello è possibile ammirare una immagine del barcone quando era in funzione. In quello stesso museo si possono osservare, conoscere e toccare con meno tanti ricordi della vita e del lavoro sul Po. Lavoro che, un tempo, univa quotidianamente e costantemente le due rive, quella emiliana e quella lombarda.
Il fiume, in passato più di oggi, era ed è stato per tante famiglie una straordinaria fonte di vita. Tanti i mestieri, molti dei quali oggi scomparsi, che si svolgevano intorno al Po. C’erano i saccaroli e i mugnai, i barcaioli ed i pontieri, i passatori ed i pescatori, i manovali ed i cavatori di sabbia, gli scariolanti, i carrettieri ed i boscaioli. Basti pensare, come testimonia anche una carta conservata nell’Archivio di Stato di Parma, che sul Po, di fronte a Zibello, nella prima metà del 1800 si trovavano 12 mulini.
Il Po, del resto, è sempre stato, fin dal tempo della dominazione romana, una importante via di comunicazione con l’Adriatico e con la parte occidentale della Pianura Padana. Una interessante testimonianza, locale, del Po come fiume navigabile, è data da Francesco Luigi Campari che, in quello straordinario libro che è “Un castello del Parmigiano attraverso i secoli” ricorda che nel 1722 (trecento anni fa, ma gli anniversari spesso e volentieri finiscono nel dimenticatoio, soprattutto di coloro che, invece, dovrebbero farne memoria) un battello ducale, il “bucintoro”, aveva solcato le acque del fiume e, durante un furioso temporale, venne spinto contro la riva inabissandosi a Zibello. Il primo battello a vapore che discese il fiume fu invece l’ “Eridano”, nel 1919. La rivoluzione industriale determinò un sensibile aumento dei traffici fluviali, pur ostacolati dai confini dei vari Stati che su di esso si affacciavano, fino a che nel 1888 fu firmata una convenzione internazionale per la navigazione del Po, limitata soprattutto al trasporto di metalli, legname, carbone, ghiaia, materiale da costruzione, cereali, vino e sale. Poi, con l’arrivo delle ferrovie, il fiume perse nuovamente la sua importanza.
A Zibello, fino agli anni Cinquanta del Novecento, rimase in funzione il porto da cui ci si poteva imbarcare per raggiungere l’altra sponda. Porto che, anche in passato, aveva rappresentato una infrastruttura economica di rilievo nella vita del paese. Il borgo della Bassa Parmense, celebre per il suo prodotto tipico, il culatello, è stato patria, negli anni, anche di straordinari uomini del Po, lavoratori instancabili che, sul fiume, hanno trascorso tutta la loro esistenza e che, con il loro lavoro, hanno ricoperto un ruolo determinante nella vita e nello sviluppo del paese.
Uomini e donne a cui bisognerebbe dedicare un monumento, che riporti i loro nomi, in riva al fiume, magari accanto a quella speciale “ammiraglia” del Po che è la chiesetta di San Luigi Gonzaga. Ad oggi mai nessuno ci ha pensato, perché evidentemente il fare memoria, con i fatti, è dote di pochi. Il conservare la gratitudine verso quelle persone che hanno costruito e fatto vivere il paese è dote ancora più rara. Zibello, e chi scrive sa di provocare qualche dolore di pancia a qualcuno (un po’ di sano Malox toglierà come sempre tutti i bruciori di pancia e di deretano), non è solo culatello. Zibello è terra di fiume e patria di straordinari lavoratori che hanno scritto pagine memorabili di storia del Po. Uno di questi era appunto Ubaldo Morenghi che, con i suoi barconi, ha solcato il fiume, per anni e anni, in lungo e in largo. Il suo ultimo barcone è ancora lì, a parlare e a narrare di lui. Nessuno lo recupererà, perché è più facile dire che sarebbe troppo costoso e che “non ne vale la pena”. Questione, invece, di semplice volontà: questa sconosciuta.
Tra gli altri uomini del Po, almeno per quanto riguarda gli ultimi decenni, non si può non ricordare Roberto Arduini, una vita da traghettatore e barcaiolo col suo possente barcone da 400 quintali. Arduini, ultimo di cinque fratelli (uno di loro, Luigi, destinato forse a sua volta a lavorare sul fiume, non tornò mai dalla guerra e il suo nome campeggia sul monumento ai caduti di Zibello), già nel lontano 1922, con la famiglia, abitò per alcuni anni a Casalmaggiore. Trasportava sabbia (che ricavava soprattutto nelle anse di Cremona e di Monticelli d’Ongina) ma anche legname, spingendosi anche (come ricordava in una intervista rilasciata ormai molti anni fa al compianto Elio Grossi per la Gazzetta di Parma) lungo l’affluente Adda fino alle località di Castione e di Pizzighettone, per poi spostarsi a Casalmaggiore, Boretto e Guastalla. Per quanto riguarda i legnami, invece, i principali pioppeti, per Arduini, erano quelli di Gussola e Casalmaggiore. Lui era tra i principali fornitori delle grosse cartiere di Guastalla, Brescello, Viadana e di Verona (dove il legname veniva portato da carrettieri che prelevavano i tronchi a Casalmaggiore. Nel 1935, Roberto Arduini tornò nella sua Zibello limitando il suo “raggio d’azione” da traghettatore a Zibello, Cremona e Monticelli d’Ongina. Svolse il servizio militare nel Genio Pontieri, partecipò al secondo conflitto bellico trascorrendo cinque anni, da prigioniero, in Sud Africa e, al ritorno di nuovo a Zibello , entrò come socio nella costituenda Cooperativa Trasporti Fluviali, organizzando anche le prime gite (anche di una sola giornata) per comitive tra Zibello e Cremona (gite che potrebbero essere riprese anche oggi, riportando i traghetti a solcare il fiume, ma a quanto pare, anche in questo senso, manca la volontà). Tre anni dopo, però, decise di rimettersi in proprio, acquistando una barca (residuato bellico) capace di portare fino a 20 persone e riprendendo così a fare il traghettatore, fissando i suoi attracchi a Zibello e alla Tenuta “Della Zoppa” sulla sponda cremonese, trasportando tutto quello che gli capitava.
Anche Darico Arduini (fratello di Roberto) ha solcato le acque del fiume, da monte a valle e viceversa, per anni, trasportando sabbia e ghiaia e bordo del suo barcone, tipo “magàn”, denominato “Para-guai” e costruito nel 1929 nel Cantiere di Cremona. Era uno di quei barconi che, dalla via Alzaia, venivano trainati dai cavalli per risalire il fiume. Ma Darico Arduini era anche pescatore professionista; in particolare vendeva il pescato a una signora del paese che lo andava poi a rivendere a domicilio.
Altro uomo di fiume, scomparso da appena pochi anni, fu Delmo Barella, che in giovane età fu dipendente dell’impresa Valli di Cremona impegnato nella costruzione dei pennelli. Poi fu barcaiolo, su barconi lunghi anche più di 20 metri e capaci di portare anche 350 quintali di sabbia e ghiaia. Anche lui faceva la spola tra Monticelli d’Ongina e Casalmaggiore.
Nel “plotone” dei barcaioli ci sono anche Aurelio Allinovi, Alcide Pasini, Ersilio Mari (inizialmente lavorava con Ubaldo Morenghi) e Ario Grimaldi: tutta gente che del fiume sapeva tutto e che del Po ha scritto pagine importanti di vita laboriosa.
Zibello era anche la patria di uno degli ultimi maestri d’ascia del Parmense, quel Walter Berzioli, per tutti semplicemente “Barnòn” che, per decenni, ha costruito decine e decine di imbarcazioni in legno, di tutte le dimensioni. La sua “fabbrica” era un rudimentale capannone in lamiera e legno sistemato all’ombra della chiesetta di San Luigi Gonzaga, purtroppo tolto alcuni anni fa perché pericolante.
Senza dimenticare, infine, i grandi pescatori (non professionisti ma grandi esperti di pesca, che hanno praticato finchè le forze glielo hanno permesso), come Sincero Cavalli, Gino ed Ennio Aiolfi ed Emilio Stecconi, tutta gente che del fiume conosceva ogni segreto, aneddoti e tanto altro. L’elenco sarebbe ancora lungo e la dimenticanza è dietro l’angolo. Ma con una più approfondita ed articolata ricerca i lavoratori del Po, almeno dell’ultimo secolo, si possono “ripercorrere” e ritrovare tutti (o quasi) ed è tutta gente che meriterebbe un ricordo perenne, su quel fiume che hanno amato, custodito e difeso per tutta la vita.
Eremita del Po, Paolo Panni