Cronaca

Valter Rosa: "No alla scuola a Palazzo
Martinelli, sì al terzo polo museale"

"Poter aggiungere una terza realtà museale, adeguatamente promossa e magari fruibile su prenotazione, renderebbe più interessante l’offerta turistica tenendo conto della sua unicità nel panorama lombardo. Infatti vi si documentano, attraverso oggetti e immagini, la storia della scuola di disegno con le sue suppellettili (pochissime in Italia le hanno conservate), la cultura scientifica ottocentesca, l’arte tipografica e della legatoria, l’industria del vetro e della ceramica, l’industria dei laterizi, l’arte dell’intaglio". GUARDA LA FOTOGALLERY E IL SERVIZIO TG DI CREMONA 1

Interviene nel dibattito relativo a Palazzo Martinelli il Professor Valter Rosa. Bocciando l’idea di Annamaria Piccinelli che si trasformi la struttura in una sorta di scuola per giovani artigiani e rilanciando l’idea – visti i materiali contenuti – che un giorno proprio il palazzo di via Cairoli possa divenire il terzo polo museale della città.

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Ciclicamente – spiega il professor Rosa – il cinquecentesco Palazzo Martinelli di Casalmaggiore, sede della storica Scuola di Disegno “Giuseppe Bottoli”, passa agli onori della cronoca come un contenitore vuoto da occupare utilmente come sede per associazioni, uffici o qualche aula didattica. A chi coltiva questi progetti voglio segnalare pubblicamente che tale palazzetto, ricchissimo di storia e bellezza, tra i più pregevoli (e fragili) della città di Casalmaggiore, è tutt’altro che vuoto: può considerarsi a tutti gli effetti il terzo polo museale, in quanto custodisce in ogni sua stanza un patrimonio ricchissimo costituito non solo dai materiali didattici, ma da numerose raccolte legate a fortunosi recuperi e a generose donazioni, collezioni volte a documentare soprattutto le industrie artistiche e le manifatture locali, come una sorta di conservatorio delle arti e dei mestieri. Ma come si fa a sapere tutto questo se il Palazzo Martinelli non viene mai aperto, se non in rarissime occasioni? Bisognerebbe crearne altre, ma sappiamo molto bene che, in una piccola realtà come la nostra, l’apertura dei soli due musei riconosciuti non può attuarsi pienamente se non col concorso del volontariato. Tuttavia poter aggiungere una terza realtà museale, adeguatamente promossa e magari fruibile su prenotazione, renderebbe più interessante l’offerta turistica tenendo conto della sua unicità nel panorama lombardo. Infatti vi si documentano, attraverso oggetti e immagini, la storia della scuola di disegno con le sue suppellettili (pochissime in Italia le hanno conservate), la cultura scientifica ottocentesca, l’arte tipografica e della legatoria, l’industria del vetro e della ceramica, l’industria dei laterizi, l’arte dell’intaglio, e, non ultima, la curiosa vicenda di un’impresa mai decollata ma il cui progetto è raccontabile attraverso un singolare campionario di manici di ombrelli in galalite. E se la Scuola di disegno è stata in un certo senso il laboratorio della città, nel suo aspetto fisico, e delle sue principali attività manifatturiere, la ricognizione del suo patrimonio e la sua sistemazione museale sono state in questi trent’anni (ho iniziato ad occuparmene nel 1993) un inesauribile crogiolo di idee e progetti, di cui il principale si è concretizzato con l’apertura nel 2007 del Museo Diotti.

A tutto ciò si è giunti per gradi, prima inventariando e mettendo in sicurezza il patrimonio ancora esistente (lavoro promosso e fattivamente seguito, con me, dagli allora assessori Ferruccio Martelli e Luigi Lena), poi liberando quei due terzi di spazio di cui la scuola non aveva mai potuto disporre perché occupati da associazioni e dalla sede di un partito politico, spazi che sono stati destinati a corsi serali volti a promuovere attività artigianali, grazie ai quali cornici e mobili antichi (di proprietà comunale) hanno potuto essere salvati e restaurati. La successiva fase, già in un’ottica museale, finalizzata a preservare i materiali creando condizioni di sicurezza e visibilità, ha potuto avvalersi del fondamentale lavoro svolto da volontari e in primis dal gruppo degli Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani, appassionati cultori d’arte guidati da Marina Travagliati, cui si devono, tra l’altro, le numerose belle mostre d’arte contemporanea che precedono e accompagnano l’apertura del Museo Diotti. Col loro aiuto ho così potuto dare una prima forma alla ricostruzione storica dell’aula di disegno con la sua gipsoteca, a quella della stampa e dello spazio poi destinato al gabinetto di fisica (recupero promosso dall’assessore Francesco Sanfilippo). La tappa finale di questo percorso, attuata grazie all’allora assessore Ettore Gialdi, seguita da me e soprattutto da Roberta Ronda ed inaugurata nel 2014, è quella che ha meglio delineato funzionalmente i vari ambienti riservando un’ampia sala attrezzata al corso di falegnameria e intaglio – corso condotto dai bravissimi Schiroli, ma sospeso purtroppo negli ultimi anni. L’intervento di ristrutturazione attuato sull’edificio (col contributo della Fondazione Cariplo) aveva centrato l’obiettivo di restaurare e valorizzare il prezioso cortiletto, meno quello di rendere effettivamente fruibili gli spazi interni sia a causa di vincoli architettonici abbastanza insormontabili sia perché è forse mancata una vera discussione sul progetto. Detto questo, pensare di intervenirvi di nuovo per recuperare o rendere maggiormente fruibili tali spazi, come per esempio la soffitta (che è uno dei più ampi), sarebbe come entrare con un carro armato in una casetta di legno e carta. E cosa si penserebbe di fare di tutta la ricchezza e varietà di raccolte che vi sono custodite (del resto già poste sotto gli organi di tutela), ovvero della “storia materiale” di Casalmaggiore: mandarla in discarica o sulle bancarelle dei mercatini? E chi lo spiega poi a chi ha donato tali materiali, a chi li ha raccolti, a tutti quei volontari che ci hanno lavorato? Proprio quei soli spazi relativamente liberi (ma pure già utilizzati per esporre disegni e pannelli) che non possono essere raggiunti dal pubblico se non attraverso ripidissime scale o un problematico montacarichi, divengono ora una imprescindibile valvola di sfogo per il già ipersaturo Museo Diotti, nell’ottica di farne, come in parte è già nei fatti, una sua succursale, sia come spazio di deposito che come archivio, con la possibilità di attrezzarvi un laboratorio per interventi manutentivi e di piccolo restauro, servizio indispensabile per un museo ma per il quale non vi è spazio al Diotti“.

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