Cronaca

L'esperienza del Covid-19 e
la prospettiva della convivenza

Eh sì, è capitato anche a me. Come milioni di italiani, in questi giorni ho fatto esperienza diretta del Covid-19. Un pranzo in famiglia è stato occasione di contagio, lo scorso 26 dicembre. Il giorno successivo ho saputo che un partecipante al pranzo non si sentiva bene ed è risultato poi positivo. Dopo due giorni ecco anche per me i primi sintomi influenzali, finché il 31 dicembre un tampone ha certificato la positività al virus. Ora sto bene ed in attesa del tampone cosiddetto “di uscita”, che metta fine all’isolamento vissuto con mia moglie (anche lei positiva, con meno sintomi di me).

Questa vicenda mi ha permesso di vivere alcune esperienze, punti di partenza per un rinnovato pensiero sulla pandemia che viviamo ormai da due anni.

  • Ho sperimentato come sia vero che la stragrande maggioranza dei contagi avviene tra le mura domestiche: non al ristorante, non in chiesa, meno che meno al cinema, in teatro o viaggiando. Nel corso del 2021 sono stato quotidianamente al lavoro, sono andato a teatro, a messa, a cena fuori, ho viaggiato più volte senza mai contagiarmi. Ma al pranzo di Santo Stefano non sono scampato…
  • Ho sperimentato l’efficacia della vaccinazione: al pranzo in cui mi sono contagiato hanno partecipato persone con due dosi di vaccino (come me) ed altre che avevano già ricevuto la terza dose; le prime si sono ammalate, le seconde no, senza eccezioni
  • Ho sperimentato la confusione che regna a livello informativo: non si tratta certo di una colpa dei giornalisti (ne hanno altre, non questa), ma di una conseguenza del continuo cambiamento a livello normativo che mette in difficoltà anche i responsabili delle istituzioni sanitarie. In questi giorni ho interrogato soggetti diversi a proposito delle procedure relative alla quarantena o del tempo che deve trascorrere per ricevere la terza dose in seguito alla guarigione, ricevendo risposte differenti e a volte opposte
  • Ho sperimentato l’indebolimento del virus rispetto al ceppo originario: i sintomi che ho avuto, come la maggior parte delle persone infettate che ho sentito in queste ore, sono stati quelli di un’influenza, neppure troppo aggressiva

Queste esperienze, certamente singolari e senza pretesa di universalità, sono state comunque utili per alcune riflessioni, maturate nei giorni di quarantena e rafforzate da recenti interventi del mondo scientifico nazionale ed internazionale.

In primo luogo è evidente come, nei mesi scorsi, sia stato fatto un errore di comunicazione.

Il governo, infatti, ha fatto bene ad insistere sulla vaccinazione (solo chi non sa leggere i numeri e la proporzione tra contagi, ricoveri e morti può ancora sostenere che il vaccino non serve), ma il messaggio collegato alla somministrazione del siero non è stato corretto: troppe persone (più all’estero che in Italia, in verità) sono state portate a pensare che la vaccinazione fosse la fine di tutto. Invece il vaccino ha evitato la fine di tutto per molti, che sono stati protetti dalla forma più grave della pandemia. Ma non ha scritto l’ultima pagina della storia del Covid, né lo farà nel futuro, almeno prossimo.

Il vaccino è quindi uno strumento della lotta contro la pandemia, messo a punto in tempi record da un’alleanza tra scienza e politica che dobbiamo ringraziare perché ha permesso di salvare moltissime vite umane. Ed è per questo che diventa sempre più auspicabile un obbligo vaccinale generalizzato: non sarebbe una sconfitta della democrazia (esistono già vaccini obbligatori per partecipare alla vita sociale), ma il riconoscimento della necessità di uno strumento che funziona e che può salvare vite.

Ma il vaccino, come evidenziano proprio questi giorni segnati da continui record di contagi, non può essere l’unico strumento su cui puntare. È fondamentale mantenere alta la guardia, soprattutto con amici e famigliari: qualche tampone “fai da te” in più effettuato prima dei pranzi di Natale, pur con il margine di errore presente, avrebbe evitato certamente una parte di contagi. Di questo ho esperienza diretta (la persona che mi ha contagiato aveva fatto il tampone tre giorni prima) ed anche mediata: due cari amici hanno fermato sulla porta di una festa di Capodanno un ragazzo poi sottoposto a due tamponi rapidi di fila, entrambi positivi; con più leggerezza e meno rigore, tutti i partecipanti al party si sarebbero contagiati.

Un utilizzo attento e costante degli strumenti di protezione eviterà quindi altre infezioni sui luoghi di lavoro o di svago.

È importante inoltre investire nelle cure a posteriori: sono già arrivati farmaci che, proprio come fa il vaccino a priori (ossia prima di contagiarsi), impediscono lo sviluppo della forma più grave della malattia. Sono anch’essi strumenti fondamentali per fare in modo che il virus faccia meno paura.

In questo contesto e con queste frecce nella nostra faretra (il vaccino, la responsabilità individuale e collettiva, le cure sempre più efficaci per chi si ammala) dobbiamo prepararci ad una lunga convivenza con il virus. La comunità scientifica è ormai unanime: il Covid-19 non scomparirà nel nulla, così come non è scomparsa l’Hiv e così come sono con noi da secoli altri virus. Ma oggi possiamo pensare di vivere accettandone la presenza: non si tratta più di lottare per eliminarlo, come pensavamo nella prima fase della pandemia, perché questa battaglia rischia di non avere mai fine. Si tratta piuttosto di affinare sempre più gli strumenti per rendere il Covid meno offensivo possibile.

Ecco perché non ha senso parlare di ritorno alla normalità. Diviene più utile progettare un adattamento delle nostre attività e della nostra vita a questa mutata condizione. Ed ecco perché giustamente in Italia, nonostante il rigore che ci ha caratterizzato fin dall’inizio di questa triste storia e nonostante un incremento di nuovi casi che sembra non avere fine, non si parla di lockdown: questa strada, che si è rivelata essenziale nelle prime due ondate, oggi non è più percorribile.

La nostra vita deve proseguire: a scuola, perché giovani e ragazzi hanno già perso tantissimo in questi quasi due anni, sul lavoro, nei luoghi di cultura e di svago cui peraltro sono sempre collegate attività economiche, persone e famiglie.

Abbiamo gli strumenti per costruire questa difficile ma non impossibile convivenza: ciascuno di noi, ancora una volta, può fare la propria parte.

Guido Lombardi

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