Cultura

Cella, il borgo tra cremonese
e parmense divorato dal fiume

Dell’esistenza di Cella restano, come preziosa testimonianza, alcune carte oltre ai registri parrocchiali (conservati a Colorno) che terminano con un battesimo datato 1764 effettuato in una abitazione privata dove era stato trasferito tutto il necessario per somministrare i sacramenti, visto che ormai buona parte di Cella era già stata distrutta dal Po

Prosegue il periodo di magra invernale del Grande fiume e, lungo gli spiaggioni, dell’una e dell’altra riva, emergono lentamente i pochi e poveri resti di remoti edifici che un tempo si trovavano laddove oggi scorrono le acque del Po. Come già ampiamente descritto in un reportage dei giorni scorsi, nel corso dei secoli diversi borghi sono stati “divorati” a causa delle erosioni causate dal Grande fiume. Tra questi spicca l’abitato di Cella, anticamente situato sulla sponda sinistra del Po, a due passi da Casalmaggiore; successivamente passato sulla riva destra a causa dei mutamenti del corso del Po, per poi essere del tutto “spazzato via” dal maggiore dei corsi d’acqua italiani. Dell’esistenza di Cella restano, come preziosa testimonianza, alcune carte oltre ai registri parrocchiali (conservati a Colorno) che terminano con un battesimo datato 1764 effettuato in una abitazione privata dove era stato trasferito tutto il necessario per somministrare i sacramenti, visto che ormai buona parte di Cella era già stata distrutta dal Po. Tra le carte spica una preziosa mappa delle ville del Parmense facenti parte del Marchesato di Colorno, disegnata nel 1780 da Paolo Gozzi, geografo del Duca di Parma. Nella mappa, riportata anche sull’Enciclopedia Diocesana Fidentina di Dario Soresina e conservata nell’Archivio della Diocesi di Fidenza, spicca l’ubicazione della scomparsa di Cella di Colorno in alto a sinistra, in mezzo al Grande fiume. La parrocchia era dedicata a San Pietro Apostolo, esisteva già in tempi molto remoti ed apparteneva alla diocesi di Cremona dalla quale passò nel 1601 a quella emiliana di Borgo San Donnino (l’attuale Fidenza), come tutte le parrocchie situate nell’Oltrepò cremonese (sia piacentino che parmense) comprese fino ad allora nella giurisdizione spirituale cremonese. Era, in pratica, una parrocchia della diocesi di Cremona che, in seguito ai mutamenti del corso del Po, passò in sponda destra finendo nel marchesato di Colorno. Nel 1767, dopo una secolare erosione, le acque del Po strariparono sommergendo il territorio della parrocchia di Cella, la cui estensione, per altro, si era già molto ridotta. Pure la chiesa di San Pietro crollò sotto la spinta delle acque che si riversarono sul paese provenendo dai due corsi del fiume che si erano incrociati alle Giare di Coltaro. Nella cartina geografica del Gozzi, datata 1780, la rettoria di Cella è indicata come scomparsa nel mezzo del Po. Una postilla inserita sopra la curvatura del fiume nel territorio dello Stato Cremonese avverte che la giara (terreno ghiaioso) di Cella, di proprietà marchionale, fu rovinata tra il 1760 e il 1778. In quest’ultimo anno la parrocchia era ormai quasi interamente scomparsa, ma ancora restava un appezzamento di terreno a sua volta sottoposto alle erosioni praticate dal Po. Nel 1836 il vescovo monsignor Luigi Sanvitale ne decise l’alienazione a Giuseppe Ferrari di Colorno e, con provvedimento dell’11 luglio dello stesso anno, destinò il ricavato alla sagrestia della chiesa cittadina di San Pietro Apostolo. La parrocchia di Cella era compresa nel vicariato foraneo di Pieveottoville ed il primo parroco di cui si conosce il nome è don Angelo Tei, il quale rimase in carica fino al 1634. Non è noto se in quell’anno don Tei morì o, semplicemente, rinunciò al mandato pastorale. Fatto sta che gli succedette don Bartolomeo Mambriani, rettore dall’11 agosto 1634 al 15 aprile 1637, anno in cui rinunciò. Dal 16 aprile 1637 al 10 ottobre 1656 fu rettore don Francesco Antonio Aloni, che a sua volta rinunciò e, dall’11 ottobre 1656 al 1692 a guidare la parrocchia, fino alla morte, fu don Francesco Bodria. Rettore dal 30 ottobre 1692 al 1730 (anno della morte) fu quindi don Pierangelo Ferrarini. Ultimo parroco fu don Fabrizio Vallara, rettore dall’8 febbraio 1730 al 1767 quando rinunciò.

Paolo Panni, Eremita del Po

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