L'Oglio Po di Stefano Superchi:
la storia scritta in bella maniera
Ha deciso di scrivere una storia. Una di quelle storie che riguardano tutti. Lo ha fatto in bello stile, usando un modello arcaico con la personificazione del soggetto che è l’ospedale Oglio Po. Autore della storia è Stefano Superchi, abile nell’uso della satira ma anche – ed è questo il caso – quando la storia si fa seria di narrarla con garbo e decisione. Il soggetto, come detto, è l’ospedale di Vicomoscano ed anche la bellissima foto a corredo è sua.
“Narra la leggenda d’una terra nebbiosa, l’historia d’un giovinetto chiamato Øgliopò, nome bizzarro, bizzarra la sua genesi. Nacque da una madre, tal Viadâna, e da due padri, Casalmajôre e Bôzzolo, d’un lungo parto colmo di traversìe. Dispute di confini e di appezzamenti, dispute di borgomastri e di tribuni, ch’alla fine rinunziaron all’orgoglio del campanile per il bene comune. Era trent’anni fa, e il giovine azzurrino cresceva vigoroso quando, ancor fanciullo, perse i genitori per man della Riforma, che lo affidò lesto al cugino cittadino. Intorno ai quindic’anni, l’implume giovinetto, ebbe l’ardire di aprire il proprio cuore, sedotto e conquistato da un baldo americano, JointCommisso si faceva chiamare, lo coprì di attenzioni e di elogi, fino ad assegnargli una medaglia d’oro, pegno d’amore, mostrata con orgoglio sull’azzurra livrea. Ma, ahimè, l’amor finì, come tutte le cose e il giovane Øgliopò si avviò a capo chino, incontro al suo destino. Passano i mesi, gli anni e le stagioni, le lusinghe prendono il sapor di umiliazioni; dammi i tuoi bèi reparti, disse Regiòn Madrina, in cambio te ne darò di ugual splendore, ma più il tempo passava più Øgliopò capiva ch’era arrivato il tempo del tramonto. Scolora l’azzurra derma, arrugginita, mesti abbandoni si susseguono, (re)parti del suo corpo ad uno ad uno, non rispondono più agli impulsi. Hai solo trent’anni, povero Øgliopò, di chè sei ammalato? Di oblìo“.
N.C.