Il buon Natale schietto
dell'Eremita del Po
Quando viene sera e la gente di campagna si ritira nelle proprie case, il silenzio del fiume si dipana anche nei viottoli e nelle piazze dei piccoli borghi, dell’una come dell’altra riva. Le luci dietro alla finestre si accendono, i comignoli iniziano a fumare e la bruma copre campi e campanili, cascine e argini. All’improvviso sembrano sorgere tante piccole Betlemme, tanti magici presepi che illuminano la piana
La poiana, regina della golena, scruta tutto e tutti, dall’alto del suo pioppo rinsecchito mentre il fiume, lentamente, continua il suo inesorabile viaggio verso il mare. Il vecchio tronco è sempre lì, ad attendermi, come ogni giorno, per un nuovo istante di pace e di libertà: anche per Natale. Si dice che in questa occasione si debba essere tutti più buoni. Premesso che, buoni, lo si dovrebbe essere ogni giorno e non solo nelle feste comandate, trovo che tutto ciò che è ipocrisia vada rigettato ed evitato con cura. Sono convinto che si debba essere sinceri, schietti e spontanei, sempre e comunque: nel bene e anche nel male. Il fiume e la nebbia, l’afa e il gelo e la nuda terra non lasciano scampo a chi sbaglia, a chi non li conosce, a chi agisce con leggerezza e superficialità, a chi non conosce la prudenza e non usa la saggezza.
Quando viene sera e la gente di campagna si ritira nelle proprie case, il silenzio del fiume si dipana anche nei viottoli e nelle piazze dei piccoli borghi, dell’una come dell’altra riva. Le luci dietro alla finestre si accendono, i comignoli iniziano a fumare e la bruma copre campi e campanili, cascine e argini. All’improvviso sembrano sorgere tante piccole Betlemme, tanti magici presepi che illuminano la piana.
Lo sguardo cade proprio sul presepio, sulla Natività, e non posso non fare uso di quei valori che si chiamano sincerità, spontaneità, schiettezza.
Allora ecco il mio augurio. Che lo sterco dell’asino e del bue possa lordare i mocassini di quegli incravattati dal deretano piatto e pelato (benpensanti e moralisti leggano sempre “politici”) che da due anni, fanno la gara delle frottole. Hanno iniziato, tra fine 2019 e inizio 2020 e, di fronte ai primi allarmi ed a chi diceva di stare in guardia rispondevano che in questo Paese non si correvano rischi, non sarebbe arrivato nulla, si era al sicuro e invitavano a non fare terrorismo e, pavoneggiandosi, ripetevano che avevano altro, e di meglio, a cui pensare. Vadano, oggi, a ripetere quelle parole in faccia a chi ha perso genitori, nonni, figli, amici e non sa più nemmeno che cosa sia un Natale gioioso e spensierato. In due anni mai uno che abbia avuto la dignità, la decenza e l’onestà (queste sconosciute) di dire, pubblicamente: “scusate, ci siamo rimasti dentro”.
Lo stesso sterco possa continuare a lordare i mocassini e gli abiti tirati a lucido di chi, solo pochi mesi fa, allo spuntare della primavera, diceva che si era ormai all’ultimo miglio, che si vedeva la luce in fondo al tunnel. Oggi, alla faccia di quello stucchevole e sciocco “Andrà tutto bene” che campeggiava su balconi, cancelli e finestre, regnano il buio, nuove paure, restrizioni, incertezze e si brancola nel vuoto. E’ giusto fare dei nomi, allora uno su tutti è quello di tal Roberto Speranza, indegno del ruolo che da troppo tempo ricopre. Quando, come nel suo caso, i fatti smentiscono parole e previsioni, la dignità e l’onestà impongono il farsi da parte, l’uscire di scena, il dare le dimissioni. Restare ancora lì, sul velluto dorato, come se nulla fosse, ritenendosi depositario del verbo e del giusto, denota solo superficialità e incapacità. Non farò mai politica, ma non esito a dire che se fossi a capo di un Governo, lui sarebbe già stato silurato da molto tempo, senza nemmeno bisogno di parlarne o di confrontarsi (sarebbe tempo perso).
Il freddo e il gelo in cui è nato Gesù possano penetrare nelle viscere e nelle ossa dei tanti, troppi tuttologi che, in questi mesi, da una parte e dall’altra, sono sbocciati come i funghi. Se mai verrà un giorno in cui ognuno starà al proprio posto, farà ciò che è capace di fare e parlerà di ciò che conosce, forse un po’ di luce nell’interminabile tunnel, la vedremo.
Il sorriso del figlio di Dio e la tenerezza di Maria e Giuseppe possano sempre, ogni giorno, dare forza e conforto, rifugio e speranza, a chi soffre e a chi è solo, a chi è dimenticato, agli ultimi e a chi paga il prezzo di cose che non ha commesso.
L’asino e il bue infondano in tutti, specie in chi ha ruoli di responsabilità e di comando, quei valori di umiltà e semplicità, che sono essenziali e necessari nell’agire di tutti. Insieme ai pastori possano sostenere la forza e l’impegno di chi lavora, infondendo in tutti un rinnovato impegno per la custodia del Creato.
La stella, da lassù, guidi e illumini sempre il cammino di tutti. Sul nostro fiume in silenzio possa dare una nuova luce, che sia alba di rinnovamento e di rinascita, per i nostri borghi che muoiono e, a gran voce, chiedono invece di vivere.
Paolo Panni, Eremita del Po