Il latte sempre più al centro
di una strategia di filiera
Una riflessione in seguito alla firma dell'accordo per la definizione del prezzo alla stalla ed al "Dairy summit" di Verona
La settimana scorsa il latte è stato al centro dell’attenzione del panorama agroindustriale con due eventi: da un lato il “Dairy summit” che si è tenuto a Verona e dall’altro la sottoscrizione dell’accordo per la remunerazione del latte alla stalla. Cominciando da quest’ultimo si deve precisare che si tratta di un protocollo di intesa tra i componenti della filiera, che contiene indicazioni di carattere economico per raggiungere un accordo sul prezzo alla stalla. Il principio ispiratore è la redistribuzione del valore del latte lungo la filiera. Lo stesso ministro delle Politiche agricole, Stefano Patanuelli, che ha coordinato le trattative, lo ha definito “un passo fondamentale, perché tutela le nostre eccellenze del settore, messe sotto pressione da margini sempre più esigui dovuti alla crescita dei costi delle materie prime; una filiera, quella lattiero-casearia, che deve essere ringraziata non solo per questo importante risultato, ma anche perché ha retto l’impatto della pandemia garantendo al Paese il sostentamento anche in una delle fasi più difficili della nostra storia”. La filiera del latte italiana vale circa 16 miliardi di euro.
I firmatari del protocollo sono stati: Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri, ACI – Settore Agroalimentare, Assolatte, Federdistribuzione, ANCD Conad, ANCC Coop, UECOOP Assalzoo, Agrocepi e UCI. Il protocollo precisa che si tratta di una “salvaguardia emergenza stalle”, riguarda la Lombardia e l’impegno assunto è di fare in modo che gli allevatori percepiscano 41 centesimi al litro fino alla fine di marzo 2022. Come? Con una integrazione da parte della grande distribuzione di quanto percepito attualmente dagli allevatori lombardi grazie al contratto vigente, sottoscritto con la principale società di trasformazione del latte, e basato su di una indicizzazione a suo tempo concordata tra le parti. Integrazione che prevede la corresponsione fino a tre centesimi al litro per consentire di raggiungimento dei 41 centesimi. L’industria di trasformazione dovrebbe “girare” i tre centesimi della Gdo, che li ricaverà dall’aumento del prezzo di vendita, e contribuire con un massimo di un centesimo, agli allevatori, per consentire di arrivare al tetto previsto. La base di partenza è di 36-37 centesimi, attualmente percepita in media dagli allevatori.
Occorre aggiungere che, contestualmente alla firma del protocollo di intesa, il ministro Patuanelli ha firmato anche un decreto con il quale istituisce e rende permanente al ministero il tavolo latte che a questo punto non riguarderà più solo il latte lombardo, ma assurgerà a livello nazionale. Ma di fatto già è così visto che in Lombardia si produce oltre il 40% del latte italiano. E forse questo secondo aspetto dell’accordo è quello più significativo perché consente di istituzionalizzare una prassi, un protocollo appunto, che dovrebbe dettare le condizioni per arrivare periodicamente e in accordo con la filiera a determinare le condizioni per fissare il prezzo del latte alla stalla. In altre parole, potrebbe essere la base per la costruzione dell’interprofessione nel comparto lattiero caseario italiano.
Se ci si sofferma a valutare solo la prima parte dell’accordo vi si possono individuare alcune criticità. Le principali sembrano essere le seguenti. Non tutta la Gdo era rappresentata dai firmatari. Il testo sottoscritto è relativo ad un momento contingente di “emergenza stalle”. E cosa potrebbe succedere se dovessero cambiare repentinamente le condizioni di mercato generali? Poi, fin dal 30 settembre, in uno dei primi incontri al ministero, il presidente di Assolatte, Paolo Zanetti, ha ricordato che l’emergenza, causata dal notevole incremento dei costi di produzione, esiste anche per l’industria di trasformazione. Infine, l’accordo riguarda solo i prodotti freschi: latte alimentare incluso UHT, yogurt, formaggi freschi e a media stagionatura tutti provenienti al 100% da latte italiano. Tutti elementi che dovranno essere sciolti dal tavolo tecnico, già convocato a breve. Tavolo che necessariamente dovrà confrontarsi anche sul contratto latte esistente basato sulla indicizzazione attualmente in essere e che presumibilmente dovrà essere rivista oltre che integrata. Insomma, non propriamente una passeggiata, ma questo passaggio potrebbe diventare l’inizio di un vero rapporto interprofessionale tra le parti. Ma, ad onor del vero, va anche detto che non è la prima volta che ci si prova.
E qui veniamo al “Dairy summit” di Verona. In cui Fabio Del Bravo, direttore di Ismea, ha presentato i risultati di uno studio commissionato da Alleanza delle cooperative agroalimentari per capire come si svilupperà il comparto lattiero caseario italiano nei prossimi cinque anni, con una proiezione al 2030. Secondo Del Bravo, la produzione di latte aumenterà del 10-15% con un incremento medio del 2-3% l’anno, dunque arriveremo all’autosufficienza o quasi. Il che non è un male, anzi, ma occorrerà prestare la massima attenzione al mercato e ai prezzi che questi sarà in grado di liquidare. Per contro Ismea stima che, sempre nell’arco dei prossimi 5 anni, le esportazioni del nostro paese dovrebbero aumentare di circa il 25%. Scenario commentato così da Giovanni Guarneri, coordinatore del settore lattiero caseario dell’Alleanza delle cooperative: “A fronte dell’aumento delle consegne di latte (+13% nell’ultimo quinquennio), il prezzo alla stalla del latte nazionale è mediamente aumentato del 3% tra il 2015 e il 2020. Affinché il significativo aumento della produzione di latte a livello nazionale sia sostenibile da un punto di vista economico, la filiera dovrà affidarsi ad una strategia che punti, da un lato, a sviluppare nuovi canali commerciali aumentando l’export dei prodotti caseari (anche in considerazione delle prospettive di crescita della domanda mondiale) e, dall’altro, ad individuare e implementare nuovi segmenti di mercato con destinazioni alternative della materia prima latte”. Scenario tipico di una interprofessione. Sarà la volta buona?
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