Si è spento Romano Amici,
vero uomo del fiume
Del fiume, Romano conosceva tutto: i segreti e le peculiarità, i rischi e gli angoli più nascosti, il bello e il brutto. Con la sua barca, per anni ed anni lo ha solcato in lungo e in largo. Non lo ha mai visto come un confine ma, anzi, come un elemento unificatore, in grado di mettere insieme, e non di dividere, le terre bagnate dalle sue acque

Il fiume ha perso, in questi giorni, uno dei suoi eremiti. Se ne è andato, in silenzio e in punta di piedi, a 86 primavere compiute, Romano Amici. Era nato a Pieveottoville e da decenni viveva a Zibello, ma lui era soprattutto un uomo del Po e, per la gente del fiume, è di poco rilievo il luogo in cui si mettono le radici. Perché le radici sono tra le acque, le golene e gli argini del fiume.
“La mia vita è il Po”: questa frase la aveva scritta lui stesso, di suo pugno, su una foto che lo ritraeva. Poche parole, senza fronzoli, chiare e schiette, così come era lui. Uno dei primi, forse il primo, a credere nella possibilità di unire e promuovere i territori facendo rete, e sistema, attraverso le realtà culturali che impreziosiscono l’una e l’altra riva. A Zibello, dove in passato era anche stato consigliere comunale, aveva partecipato direttamente, alla realizzazione dei musei della civiltà contadina e dei reperti bellici voluti e fondati dall’indimenticato medico dottor Giuseppe Riccardi al piano terra dell’ex convento domenicano.
Ci aveva messo la testa, il cuore e le mani, occupandosi in prima persona di tutto l’allestimento, dedicando a questa opera un numero incalcolabile di ore e di giornate. Trasformandosi poi in guida, accogliendo e accompagnando i visitatori, rivolgendosi a loro sempre in dialetto, com’era giusto che fosse, presentando e cullando ogni pezzo come se avesse avuto tra le mani un prezioso diadema. Perché ogni oggetto, anche il più semplice ed il più piccolo, era ed è parte di quella composizione che va a formare quell’universo agreste della civiltà contadina. Quella civiltà che è la nostra, di qua e di là dal Po.
Del fiume, Romano conosceva tutto: i segreti e le peculiarità, i rischi e gli angoli più nascosti, il bello e il brutto. Con la sua barca, per anni ed anni lo ha solcato in lungo e in largo. Non lo ha mai visto come un confine ma, anzi, come un elemento unificatore, in grado di mettere insieme, e non di dividere, le terre bagnate dalle sue acque. Il fiume lo aveva portato a trovare nuovi amici, a conoscere persone, fatti e luoghi. Così era diventato anche un collaboratore prezioso, ma soprattutto un amico, del Museo Paleoantropologico del Po di San Daniele Po e del sindaco della stessa San Daniele Po, Davide Persico. E’ stato lo stesso Persico a descriverne, alla perfezione, la figura, con queste parole: “Davide! sun Romano…. a to catat la barca. L’è a Rocabianca. Fam mia dli dumandi. L’è bela, vea a tola. To sù Paolo, Andrea, Diego e la Maura, ma vea a tola. Tan catet pù de barchi cusè”.
Romano era così, genuino e schietto, un uomo di fiume di quelli di cui ti potevi solo fidare. Risolutivo, cinico nel realizzare, capace, temprato dalla Bassa e col fiume che gli scorreva nelle vene.
Bastava uno sguardo per intenderci, superfluo perfino un gesto.
“Pasa, ca go vergot per te…” e immancabile c’era un reperto nuovo per una vetrina del Museo. “…che i nostri musei devono collaborare. Che se lo facciamo, noi le due rive le uniamo. Quando i turisti visitano il Museo della civiltà contadina di Zibello, io, alla fine della visita, dico sempre che per saperne di più di Fiume, sul passato del Fiume, bisogna solo attraversare il ponte, che di là ci sono tutte le risposte.
La gente deve fidarsi. E quando gli dai cose fatte bene non solo poi si fida, ma ritorna contenta. E lo facevano le persone, si fidavano di Romano Amici, perchè aveva occhi incapaci di mentire, sinceri, con rughe che garantivano autenticità. Occhi bruschi eh? faceva il duro, ma aveva un cuore premuroso, gentile.
Ricordo di lui mani forti, con le vene in rilievo che scorrevano a meandri. “Quando d’estate scendi in barca da Zibello alla Ca’ Granda, costeggia la riva alta della spiaggia, ti salteranno i pesci in barca..”
Ma dai, Romano, non scherzare… “Te fal, sat ciapet nianca an cefalo at vegnet a dimel e ga credi mia”.
L’ho portata la barca a costeggiare la riva alta della spiaggia di Zibello, arrivando a Isola Pescaroli con ventisei cefali argentati, senza muovere un solo dito, incantato e inebriato dall’assurda semplicità di un gesto tanto scontato quanto fecondo.
C’era solo da fidarsi di Romano Amici, perché su tutto si può scherzare ma sul Fiume no. Il Fiume è una cosa seria e per viverlo si deve condividere e ci si deve fidare.
Un caro saluto Romano, ci rivedremo per sempre sul Fiume, ogni giorno, all’alba”.
Perché ogni giorno un’alba nuova sorge sul fiume, e chi va avanti passa solo sull’altra riva, ma resta una consapevolezza scritta indelebilmente da Romano, su una foto e lungo la sua esistenza: “La mia vita è il Po”.
Paolo Panni, Eremita del Po