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Vittorio Storaro, lezione di vita
al Teatro all'Antica per il Toson d'Oro

"Per quanto ci sforziamo di migliorare sempre e di mettere pezzi della nostra esperienza nelle produzioni, nei film e nelle opere che verranno, che sono così figlie di quelle che già ci sono state, il miglior film è proprio la nostra esistenza" ha detto il tre volte premio Oscar per la Fotografia.

Si è presentato con un cappello elegante e molto singolare, quasi una conferma della grande personalità, Vittorio Storaro, insignito sabato al Teatro all’Antica di Sabbioneta del Toson d’Oro Vespasiano Gonzaga 2021. Un premio ideato nel 2014 dal Rotary Casalmaggiore Viadana Sabbioneta, che conferma il solco del passato e viene assegnato a personaggi che, in vari campi, hanno fatto grande l’Italia nel mondo. Era accaduto con Umberto Veronesi, Philippe Daverio, Ennio Morricone, Massimo Bottura, Carla Fracci, Santo Versace, ma non c’era stata alcun assegnazione nel 2020 a causa della pandemia. Un segnale di ripresa, dunque, anche in questo senso.

Storaro è maestro della fotografia cinematografica e in questa particolare arte, che è talmente importante da assegnare un Oscar specifico a Hollywood e non solo, ha vinto ben tre statuette: per Apocalypse Now, Reds e L’ultimo imperatore, tre pellicole mitiche per altrettanti grandi registi. Con loro, e tanti altri altri, Storaro ha lavorato.

Ottantuno anni, Storaro ha poi specificato il suo legame con Sabbioneta e, in generale, con la nostra terra: lavorando con Bernardo Bertolucci, Storaro ha infatti ricordato che proprio a Sabbioneta nel 1969 aveva di fatto aiutato il regista parmigiano a completare uno dei suoi primi film importanti, “La strategia del ragno”, per il quale Storaro aveva diretto la fotografia. Un sodalizio partito da lì, che qualche anno dopo portò all’Oscar per L’ultimo imperatore.

Marlon Brando, Woody Allen, Francis Ford Coppola, Dario Argento, Warren Beatty solo per citare alcuni nomi che Storaro ha avuto modo di osservare sui vari set della sua carriera. Registi illustri e attori che hanno segnato la storia della settima arte, con una lezione che va oltre gli aneddoti: “Da tutti ho cercato di rubare segreti, per poterli a mia volta insegnare a chi vuole fare il mio mestiere – ha detto Storaro, intervistato dalla giornalista Francesca Strozzi di Tv Parma (il legame sta nel fatto che anche la città ducale ha di recente premiato il maestro della fotografia cinematografica) -. Ho sempre cercato di essere un buon allievo, prima di diventare maestro, perché così deve essere. E in fin dei conti la scuola italiana è sempre stata ammirata nel cinema in tutto il mondo, per quello che ha saputo trasmettere. E così insegna la vita: a proposito, per quanto ci sforziamo di migliorare sempre e di mettere pezzi della nostra esperienza nelle produzioni, nei film e nelle opere che verranno, che sono così figlie di quelle che già ci sono state, il miglior film è proprio la nostra esistenza”.

51 lungometraggi in carriera, l’ultimo nel 2020 è Rifkin’s Festival di Woody Allen. E tra i film non premiati con l’Oscar c’è anche “Ultimo tango a Parigi”, opera che ha consentito a Storaro di conoscere Brando. “Tutti dicevano che era ingestibile, invece fu molto disponibile all’ascolto e diede il suo contributo alla sceneggiatura, dato che la pellicola veniva aggiornata di giorno in giorno e nascevano idee sempre nuove”.

Storaro è stato premiato con il collare del Toson d’Oro da Vincenzo Corbisiero, presidente del Rotary Casalmaggiore Viadana Sabbioneta che, dopo l’intervista di Strozzi a Storaro, ha letto la pergamena spiegando che grazie a figure come quella di Storaro il cinema italiano è riconosciuto nel mondo come uno dei più affascinanti, da sempre. A proposito di cinema, una curiosità quasi statistica svelata dallo stesso Storaro: la settima edizione del Toson d’Oro non poteva che essere dedicata alla settima arte…

G.G.

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