Casalmaggiore e Polesine Zibello:
quell'unione nel nome del patrono
In attesa di tempi migliori, non può che essere utile mettere a conoscenza le persone, dell’una e dell’altra sponda del Po, di aspetti storici, culturali, tradizionali, ai più poco conosciuti
Per un giorno, quello del 4 novembre, a Polesine Zibello e Casalmaggiore unite nella celebrazione del patrono, San Carlo Borromeo. Chissà se un giorno, nell’eterno auspicio che prima o poi le due sponde del fiume inizino a “dialogare” proficuamente, e con i fatti, per una complessiva promozione dei territori, a beneficio di entrambi, creando magari, attorno alla figura del comune patrono, eventi, iniziative e celebrazioni unitarie. Non sarebbe difficile, basterebbe davvero poco, ma come spesso accade si è bravi a complicare le cose semplici ed a restare, ognuno, sotto al proprio campanile, o nel proprio orticello, senza compiere quel piccolo passo in più che potrebbe portare benefici a tutti. Il fiume unisce, non divide e non deve dividere. Il sottoscritto lo sostiene, lo scrive e lo dice da sempre, sempre più consapevole di “predicare nel deserto”.
In attesa di tempi migliori, non può che essere utile mettere a conoscenza le persone, dell’una e dell’altra sponda del Po, di aspetti storici, culturali, tradizionali, ai più poco conosciuti.
Polesine Zibello, nuovo comune sorto appena pochi anni fa da una discutibile ed irreversibile fusione tra i due ex piccoli Comuni di Polesine e di Zibello (per formare una “metropoli” di tremila anime), ancora oggi privo di un proprio stemma è riuscito, almeno, a individuare la figura del patrono, quella appunto di San Carlo Borromeo, che era, in precedenza, patrono dell’ex Comune di Zibello. Una scelta che, fin da subito, è stata motivata dal fatto che il santo, durante la sua vita terrena, è stato in visita nel borgo rivierasco.
Una menzione particolare la merita, senz’altro, una reliquia conservata a Zibello, fra i “tesori” della monumentale chiesa parrocchiale dei santi Gervasio e Protasio, uno dei più insigni monumenti della diocesi di Fidenza, dove giovedì 4 novembre, alle 17, sarà celebrata la messa solenne. Si tratta di un lembo della veste di San Carlo Borromeo. Non ha certo bisogno di presentazioni il Borromeo, di cui va ricordata la visita apostolica condotta a Cremona nel 1575. Nato nel 1538 e morto appena 46 anni più tardi, fu creato cardinale a 22 anni e resse la vastissima Arcidiocesi di Milano. Difese sempre i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti (che all’epoca, come noto, spadroneggiavano) e riportò l’ordine e la disciplina nei conventi. Fu direttamente impegnato, in prima persona, durante una epidemia di peste, nell’assistenza agli ammalati e la sua attività apparve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici al punto che Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Per quanto robusto, era sottoposto a una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare e senza dormire, pregando e insegnando. Fino all’ultimo, continuò a seguire personalmente tutte le sue fondazioni, contrassegnate dal suo semplice ma chiarissimo motto: Humilitas. Morì i 3 novembre 1584 e il 7 novembre successivo, fu l’allora vescovo di Cremona, Nicolò Sfondrati (poi salito al soglio pontificio col nome di Gregorio XIV) a celebrare la prima messa in suffragio del defunto arcivescovo Borromeo. Secondo la tradizione il Borromeo fece “tappa” anche a Zibello, in qualità di visitatore apostolico, durante il periodo delle grandi riforme operate nella sua diocesi milanese che, all’epoca, si estendeva anche sui territori di Veneto, Liguria e Svizzera. Del resto lo stesso Borromeo è considerato uno dei massimi riformatori della Chiesa del XVI secolo insieme a Sant’Ignazio di Loyola ed a San Filippo Neri. Va evidenziato che, sempre in quel periodo, Zibello era parte integrante della diocesi di Cremona e quindi, a livello ecclesiastico, dipendeva dalla Lombardia.
La comunità di Zibello ha sempre avuto, nei suoi confronti, una particolare venerazione, al punto da dichiararlo patrono del comune. In chiesa parrocchiale esiste inoltre uno splendido altare laterale, recentemente sistemato, dedicato proprio al santo. In occasione delle celebrazioni centenarie del 1910, l’allora parroco don Emilio Balestra chiese all’arcivescovo di Milano, il cardinale parmense Andrea Carlo Ferrari, una reliquia di san Carlo, da esporre alla venerazione dei fedeli nel giorno della sua festività, a ricordo anche, quindi, di quel particolare legame che il borgo rivierasco ha sempre avuto nei confronti del Borromeo stesso. La richiesta di don Balestra rimase tutt’altro che inascoltata. Infatti il cardinale Ferrari, da tempo Beato, inviò un prezioso reliquiario contenente un vistoso lembo che il suo illustre predecessore indossava il giorno in cui subì un vile attentato, dal quale uscì miracolosamente illeso. Attentato effettuato da tal Donato Girolamo, ex umiliato, che riuscì a penetrare nella cappella privata del cardinale nel momento in cui questi si raccoglieva in preghiera assieme a tutti i curiali. Il silenzioso e profondo momento meditativo, d’improvviso fu interrotto da una forte detonazione causata da un’arma da fuoco, nello sbigottimento generale. L’unico a rimanere impassibile fu proprio il cardinale Borromeo che, anzi, con tranquillità si alzò dall’inginocchiatoio, guardò attorno, e vide ai suoi piedi un proiettile d’archibugio, che a lui era stato diretto. La sua veste color porpora si presentava bruciacchiata e perforata dal proiettile stesso. Ma il corpo rimase incredibilmente e miracolosamente illeso. Un fatto prodigioso in seguito al quale il cardinale tornò semplicemente alla preghiera, invitando tutti i presenti a fare la stessa cosa. L’attentatore fu poi acciuffato e svelò anche i mandanti che, messi alle strette, ammisero le loro colpe. Il Borromeo tentò di attenuare le responsabilità di Donato Girolamo, col solo obiettivo di salvargli la vita. Ma ogni tentativo fu vano e, oltretutto, la congregazione degli Umiliati, cui l’attentatore apparteneva, fu soppressa con bolla pontificia nel 1571.
Come informa sempre la storia, il cardinale Borromeo conservò, con gratitudine e profonda fede, quella veste che gli ricordava, chiaramente, il fatto prodigioso di cui era stato al centro quel giorno. Il cardinale Ferrari, ben a conoscenza del legame fra Zibello e il santo, decise quindi di fare dono alla comunità di rivierasca questa preziosa reliquia, testimonianza di un fatto prodigioso e misterioso, gelosamente custodita in un luogo sicuro. Alla pubblica venerazione viene esposta solo il 4 novembre di ogni anno, per la ricorrenza di san Carlo Borromeo. La teca contenente la preziosa reliquia riporta diverse diciture in latino, tra cui quella in cui si legge “Benedictio Dei Omnipotentis, Patris, et Filii, et Spiritus Sancti et per intercessionem Sancti Caroli Protectoris Nostri defendat Nos Deus, a rosione Padi, et ab omni malo….R.Amen”. E’ evidente (nella dicitura “arosione Padi”) la richiesta di intercessione e protezione al santo contro le esondazioni del Po e contro ogni male (ab omni malo).
Paolo Panni, Eremita del Po