Studio Cattolica: solo metà degli
italiani ha fiducia nel Green pass
Green pass: Italia spaccata in due, solo per poco più della metà degli italiani il certificato verde è una misura efficace contro i contagi. È il risultato di una indagine targata EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell’Università Cattolica, con sede a Cremona nel Campus di Santa Monica.
Solo poco più della metà degli italiani, il 56%, ritiene che il Green pass sia una misura efficace a ridurre il rischio di contagi e dunque utile nella lotta alla pandemia da Covid-19. E soltanto il 52% pensa che sia giusto vietare l’accesso ai luoghi di lavoro a chi non sia in possesso del certificato verde. Un poco più ampia (60%) è la quota dei cittadini che vede nel Green pass introdotto dal Governo Draghi uno strumento di responsabilità sociale.
Sono alcuni dei dati emersi dalla recentissima rilevazione dell’EngageMinds HUB, Centro di ricerca dell’Università Cattolica, che già a fine febbraio 2020 sin dall’inizio della pandemia, ha attivato un monitor continuativo su atteggiamenti e comportamenti della popolazione italiana su molti aspetti di questa lunga e complessa fase di crisi.
La ricerca di EngageMinds HUB è stata condotta su un campione di oltre 6000 italiani, rappresentativo della popolazione per sesso, età, appartenenza geografica e occupazione.
“Dalla nostra ultima rilevazione emerge che il Green Pass, approvato da poco più del 50% degli italiani, non raggiunga la base per un pieno consenso sociale” sottolinea Graffigna, Ordinario di psicologia della salute e dei consumi e direttore dell’EngageMinds HUB.
Dai dati emergono poi sacche cospicue di popolazione che restano incerte, rispetto all’utilità del certificato verde e all’obbligo del suo utilizzo – continua l’esperta; potremmo definirli gli “esitanti del Green pass”. Persone – prosegue Graffigna – che, dunque, mostrano segnali di fatica, frustrazione e sfiducia verso il sistema, un atteggiamento che nel lungo termine può diventare problematico.
Gradimento maggiore dai senior – Gli over-60 rappresentano la fascia di età che più si discosta dal ritenere il Green pass una violazione della libertà personale e un modo del governo di controllare i cittadini; inoltre, i senior si sentono più sicuri a seguito dell’introduzione del certificato verde. Queste percezioni non si riscontrano per gli individui tra i 35 anni e i 59 anni. E gli under 34, al contrario, percepiscono il Green pass come uno strumento di violazione della privacy. D’altro canto – come appare sempre dalle analisi dell’EngageMinds HUB – rispetto alle altre fasce di età, gli over 60 sono quelli più concordi nel ritenere il Green pass uno strumento efficace nel ridurre i contagi e necessario per accedere ai luoghi di aggregazione sociale; di converso, circa la metà degli under 34 appare essere in disaccordo con l’utilizzo del Green pass.
Quanto pesano il reddito e la differenza tra Nord, Centro e Sud – Ma importanti informazioni emergono da altri incroci dei dati. Dallo studio del Centro di ricerca della Cattolica appare infatti che la frazione di coloro che ritengono efficace il Green pass nel contenimento dei contagi aumenti molto tra chi ha un reddito relativamente elevato, arrivando al 65% (rispetto al 56% della media nazionale); per contro, tra coloro che denunciano un reddito basso, questa stessa percentuale scende al 51%. Andamento analogo si riscontra per la questione dell’uso del Green pass nei luoghi di lavoro: il 63% tra i più benestanti pensa sia giusto renderlo obbligatorio, mentre tra i meno abbienti questa frazione si ferma di nuovo al 51%.
E sempre sull’atteggiamento verso il certificato verde nei luoghi di lavoro pesa anche la collocazione geografica dei cittadini, perché contro una media nazionale del 55%, i favorevoli scendono al 49% nel Nord Ovest del Paese, e salgono al 61% nel Sud e nelle Isole.
«Un elemento da evidenziare, così come esce dalla nostra analisi – spiega la professoressa Graffigna – è che il titolo di studio degli intervistati non influisce sul giudizio sul Green pass, a dispetto di quanto si pensa solitamente che sia anche una questione di alfabetizzazione e di istruzione».
Green pass e psicologia A livello di percezione dei singoli, anche una norma di ordine pubblico quale il Green pass non sfugge alle dinamiche della psicologia della persona. La ricerca dell’EngageMinds HUB mostra che chi emotivamente appare aver subito maggiormente l’impatto di Covid-19, insomma chi è psicologicamente più “affaticato”, vede il Green pass come una misura poco utile a ridurre la diffusione dei contagi (51% contro il 56% medio nazionale). Non solo: gli individui che riportano maggiore senso di frustrazione e fatica sono maggiormente in accordo nel percepire il Green pass come uno strumento che viola la propria libertà e la propria privacy. D’altro canto, maggiore è la preoccupazione per il rischio di contagio e il senso di vulnerabilità percepito, e maggiormente le persone ritengono che il Green pass sia uno strumento di responsabilità sociale e uno strumento indispensabile per poter frequentare i luoghi di lavoro.
E infine, gli sfiduciati verso il “sistema” – C’è un ultimo fattore che peraltro, nel corso del Monitor continuativo che EngageMinds Hub ha attivato dall’inizio della pandemia, emerge spesso come impattante sui comportamenti. Ed è la sfiducia verso la ricerca scientifica, il sistema sanitario e, in generale, le istituzioni pubbliche. Dai dati esce che chi rivela questo atteggiamento fa poco affidamento sull’efficacia del Green pass come strumento per controllare i contagi, non è d’accordo sul suo uso nei luoghi di lavoro e non ne vede l’utilità sociale.
La ricerca – La ricerca è parte di un Monitor continuativo sui consumi alimentari e sull’engagement nella salute condotta dai ricercatori del centro di ricerca EngageMinds HUB (Lorenzo Palamenghi, Greta Castellini, Serena Barello, Mariarosaria Savarese, Guendalina Graffigna), che rientra nelle attività del progetto CRAFT (CRemona Agri-Food Technologies) e di Ircaf (Centro di riferimento Agro-Alimentare Romeo ed Enrica Invernizzi). La ricerca di EngageMinds HUB è stata condotta su un campione di oltre 6000 italiani, rappresentativo della popolazione per sesso, età, appartenenza geografica e occupazione: i primi 1000 casi tra fine febbraio e inizio marzo 2020 (inizio della pandemia in Italia); i secondi 1000 casi a maggio 2020; i terzi 1000 casi a settembre 2020; i quarti 1000 a novembre 2020, i quinti 1000 casi a marzo 2021 e i sesti 1000 casi a settembre 2021. I sei campioni sono perfettamente sovrapponibili. La survey è stata realizzata con metodologia CAWI (Computer Assisted Web Interview). Sul sito www.engagemindshub.com sono reperibili i report quadrimestrali della ricerca
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