Cronaca

Cesare Barbieri, 100 km di corsa a
18 mesi dall'operazione al cuore

L'alternativa di sedersi su una poltrona e passare il resto della vita davanti alla TV non lo ha mai sfiorato. "E' quello che secondo il primo responso avrei dovuto fare. Ma non mi sono arreso. Quando ho tagliato il traguardo della Tuscany Crossing? Mi sono messo a piangere"

In foto l'arrivo di Cesare e Dania alla Tuscany Crossing: obiettivo raggiunto, con un po' di commozione

Gli avevano detto che poteva scordarsi di tornare a correre. Gli avevano spiegato che, con due coronarie chiuse al 99% e al 75% la sua vita avrebbe dovuto essere diversa, tranquilla, senza particolari stress e più di tutto senza più corse. Un pugno allo stomaco per Cesare Barbieri, origini casalasche (ha abitato in gioventù a Casalmaggiore dove ancora abitano la mamma e la sorella) e residenza a Reggio Emilia, autotrasportatore per professione e amante delle corse, maratone ed ultratrail nel tempo libero.

I problemi per lui erano cominciati poco più di un anno e mezzo fa. “Sentivo un dolore in mezzo al petto – ci racconta – ma non ci facevo troppo caso. Continuavo a lavorare e a correre, dicevo tra me e me che sarebbe passato che forse, data l’umidità e il freddo, magari era una bronchite. Non era così purtroppo. Faccio la Maratona di Crevalcore, la finisco con fatica ma il dolore non mi lascia, al che decido di farmi vedere da un medico”.

Gli esami e quel responso. Terribile, ma al quale non si arrende. “Il primo dottore mi dice che avevo un grosso problema, che avrei dovuto smettere di correre ed essere operato. La mia reazione? La puoi immaginare. Ho pensato che fosse finita, mi sono sentito disperato ma poi ho pensato che ci doveva essere una strada per reagire. Sono fatto così, prima mi sento impotente e poi cerco una strada per poter risalire”.

Era già successo. Ricordi ormai lontani di un passato sepolto. E’ proprio in quei giorni complessi che Cesare conosce la corsa, il sudore, la fatica, il porsi degli obiettivi, il raggiungerli. La corsa – lo sport e la solidarietà – oggi sono pezzi importanti della sua vita, del suo cammino. “Il verdetto del medico mi ha gelato il sangue. Una sensazione che avevo già vissuto. Ma poi per carattere lo so che reagisco. Ed ho reagito perché la vita te la dà quasi sempre una possibilità, e te la dà solo se ti dai da fare”.

La strada ha un nome. Cesare decide di rivolgersi ad un cardiologo che si occupa di sport e di idoneità sportiva, uno dei più bravi. Chiama il dottor Stefano Fioroni, Specialista in Cardiologia e Specialista in Medicina dello Sport. “Appena mi ha visto ha capito subito quale problema avessi, ma mi ha dato speranza. Mi ha detto che ero stato molto fortunato perché avrei potuto morire, e solo pensando che una settimana prima avevo fatto la maratona forse avrei potuto morire davvero. Mi ha detto che avrei dovuto essere operato per rimettere a posto quelle due coronarie collassate. Mi hanno operato, messo due palloncini per allargarle e poi da lì è iniziato il percorso. Ho dovuto ripartire da zero, ho sempre la fascia cardio perché non devo superare un certo numero di battiti cardiaci ma sono tornato a fare quello che facevo prima, correre. Ho iniziato lentamente, con distanze sempre maggiori, con i ritmi che mi ha consigliato il medico che mi ha operato a Bologna, sono costantemente seguito ma sono tornato anche ad andare in bici, e senza particolari problemi”.

“Nessuno si era mai accorto del mio problema, nonostante tutti gli anni faccia la visità di idoneità medico sportiva per partecipare alle maratone e agli ultratrail ma a parte questo volevo raccontare questa storia perché c’è comunque e sempre la possibilità di tornare alla vita di prima, magari con qualche attenzione in più: l’importante è non arrendersi, guardare avanti sempre. Il primo medico mi ha fatto una diagnosi, non ce l’ho con lui: se fai sport però è giusto rivolgersi ad uno specialista dello sport perché il cuore di uno che si allena costantemente non è lo stesso magari di un cinquantenne che non fa attività e scopre di avere problemi cardiaci. Così ho fatto”.

La settimana scorsa Cesare Barbieri ha concluso la Tuscany Crossing. Una Ultratrail da 100 km, non uno scherzo. Col suo ritmo, la fascia cardio con se, è arrivato a metà classifica. Ma il risultato non gli è mai importato un gran che, anche prima dell’operazione. “La sfida è con se stessi. Mi ero posto un tempo, ben consapevole dei miei limiti attuali, e sono rimasto dentro a quel tempo senza forzare. Mi servivano quei 4 punti ITRA perché l’anno prossimo voglio fare la LUT, Lavaredo Ultra Trail, da 160 km. Era un obiettivo che mi ero posto prima dei problemi al cuore, mi ero anche iscritto e poi è andata come è andata. Ma l’anno prossimo ci sarò”. A non lasciarlo un istante, a seguirlo come un ombra la sua compagna Dania Bernardi. Corre anche lei e ci sono due foto bellissime dell’arrivo in notturna della Tuscany Crossing: lei lo tiene per mano, lui guarda un po’ stranito e poi china la testa alzando il braccio al cielo, per nascondere l’emozione di avercela fatta. Ce l’ha fatta un’altra volta ancora.

Gli avevano detto che avrebbe dovuto smettere ed è tornato a correre, a porsi altri obiettivi. Un folle? No, Cesare Barbieri è tutt’altro che folle. L’alternativa di sedersi su una poltrona e passare il resto della vita davanti alla TV non lo ha mai sfiorato. “E’ quello che secondo il primo responso avrei dovuto fare. Ma non mi sono arreso. Quando ho tagliato il traguardo della Tuscany Crossing? Mi sono messo a piangere”.

Cesare Barbieri è il lottatore di sempre ed ha vinto una seconda volta. Perché nella vita può succederti di tutto, puoi toccare il fondo per scelta o per destino ma poi a volte puoi decidere tu che fare. E lui ha scelto, due palloncini ed una fascia cardio in più, di continuare a fare quello che lo fa stare bene. Correre. Continuare a sognare nuovi traguardi e nuovi obiettivi, per poi raggiungerli.

Nazzareno Condina

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