Si è spento Aurelio Magni
l'ultimo partigiano casalese
Fu chiamato per una licenza straordinaria di due mesi per lavorare allo zuccherificio di Casalmaggiore. L'8 settembre del 1943 coincise proprio con quel tempo

Avrebbe ricevuto, e in maniera ufficiale, tutti gli onori della sua città. I suoi 100 anni sarebbero stati festeggiati così, come avrebbe meritato, con uno spettacolo legato alle donne nella resistenza, e l’onorificenza ufficiale del sindaco Filippo Bongiovanni in sala consiliare. Non avrà modo di partecipare alla festa. Si è spento, all’ospedale di Tione dove era ricoverato da alcuni giorni per problemi respiratori, Aurelio Magni, l’ultimo partigiano vivente.
Era nato il 4 settembre del 1921, a Quattrocase. Famiglia di forti tradizioni socialiste (il papà Carlo Magni era stato vice sindaco di Casalmaggiore ai tempi della giunta Galli) era cresciuto con un forte senso delle istituzioni e della libertà. A 19 anni era stato chiamato sotto le armi. Il servizio militare nel IV Genio a Bolzano, dove aveva seguito un corso per l’allestimento dei ponti radio, poi il servizio con gli Alpini al confine con l’Austria. “Ci mandavano a fare i ponti radio e non avevamo neppure le pile, nella nostra giberna avevamo le cartucce di legno”. L’animo libertario e ribelle lo portava spesso a interrogarsi e dopo la Grecia e la Russia si era rafforzata in lui l’indole antifascista.
Fu chiamato per una licenza straordinaria di due mesi per lavorare allo zuccherificio di Casalmaggiore. L’8 settembre del 1943 coincise proprio con quel tempo. “Tutti i miei compagni di allora che erano restati in caserma ai confini con l’Austria – ricordava sempre con un velo di tristezza – furono tutti portati in campo di concentramento”. Lui si era salvato proprio grazie a quella licenza straordinaria.
Con la nascita della Repubblica Sociale fu richiamato alle Armi. Avrebbe dovuto essere assegnato alla divisione Monterosa e mandato in Germania per l’addestramento. A quel richiamo non rispose mai. Da un po’ di tempo Aurelio Magni si era messo in contatto con Giovanni Favagrossa, che due anni dopo trovò la morte mentre cercava di opporsi ai tedeschi, e attendeva proprio da Favagrossa (che aveva contatti con la resistenza d’oltrepo) il momento giusto per oltrepassare il fiume. La decisione di combattere con i partigiani era già stata presa. I partigiani andarono a prenderlo a casa, dove si era nascosto. Da lì fu portato a Bozzolo e nascosto in in una cascina nella campagna. Insieme a lui c’era lo stesso Giovanni Favagrossa, un gruppo di Casalaschi ed altri partigiani lombardi e veneti. Il loro compito era quello di azioni per recuperare armi e materiali da inviare sul parmense. A promuovere quelle azioni di disturbo i Bozzolesi Sergio Arini e Pompeo Accorsi. “Andavamo di sera tutti in gruppo – aveva spiegato qualche anno fa – Giovanni Favagrossa parlava il tedesco, si faceva aprire e noi entravamo e portavamo via armi e coperte. Sergio e Pompeo ci guidavano, ma allora tra di noi non si parlava molto di chi fossimo. Era meglio che sapessimo poco o nulla l’uno dell’altro, perché in caso di tortura e cattura bisognava parlare poco”. A nutrirli il cibo che, sfidando il pericolo, faceva arrivare nella cascina lo stesso don Primo Mazzolari. Aurelio, che ci aveva dormito, raccontava che i materiali per i partigiani venivano portate in Sagrestia a Bozzolo e poi da lì, al momento giusto, spostate verso il parmense.
Vissero alla macchia sino giorno in cui il contadino che portava loro il cibo arrivò in cascina dicendo che avevano arrestato don Mazzolari e catturato Arini e Accorsi per portarli a Verona, dove vennero poi fucilati. Il gruppo allora abbandonò la cascina e si nascose nel granuturco. I tedeschi e i fascisti li avevano ormai circondati ma il gruppo riuscì a ripiegare su Casalmaggiore. Anche lì erano in pericolo. Grazie ad alcuni contatti colornesi un gruppo nel quale c’era anche Magni fu preso di notte da un battello e trasbordato dall’altra parte del fiume. Un altro gruppo sempre degli stessi partigiani fu invece catturato e portato a Bolzano.

Aurelio Magni raggiunse Bardi e poi combatté, col soprannome di Libero che si era lui stesso scelto, sino al 25 aprile, tra i monti nei pressi di Borgotaro, rischiando più volte la vita. C’è una foto, di quel 25 aprile del 1945, che lo ritrae, seduto sulla parte anteriore di un auto davanti alla saracinesca distrutta di quello che è ora il negozio di abbigliamento Guareschi. Era tornato a casa, e questa volta per sempre. In quegli anni aveva combattuto e perso tanti amici. Gli anni tra i monti del parmense furono durissimi ed ogni tanto, quando ne parlava e ricordava, la voce gli si rompeva e gli occhi diventavano lucidi.
Sino a qualche anno fa non mancava mai nessuna manifestazione di commemorazione, spesso in sella alla sua bicicletta. Sempre pronto a sorridere e a raccontare. Uomo d’infinita gentilezza e cordialità si faceva voler bene da tutti. Era un’istituzione per la città, e per questo la città aveva pensato di fargli un bel regalo per il suo compleanno. Quella del 4 purtroppo, se non verrà sospesa, non potrà che essere una cerimonia alla memoria.
Ancora da decidere la data delle esequie, che dovrebbero però tenersi qui, nella sua terra natìa. Quella che aveva tanto amato e per la quale aveva combattuto con tutto se stesso, profondo amante della libertà e della giustizia sociale.
Nazzareno Condina