Cultura

Misteri del Po: l'enigmatica
figura di San Rocco

A Cremona la Biblioteca Statale conserva, tra l’altro, un Missale Romanum edito a Milano nel 1476 che costituisce una delle più antiche testimonianze della celebrazione dedicata al santo il 16 agosto

Il 16 agosto si celebra la festa di San Rocco. Santo il cui culto è fra i più diffusi e popolari della Chiesa Occidentale: un fenomeno dalle dimensioni decisamente vaste, su cui si sono depositati secoli di storia e di leggenda.

Santo tanto popolare quanto ricco di enigmi e di interrogativi irrisolti. Celebre pellegrino, taumaturgo, ed eremita, secondo alcuni studiosi anche Terziario francescano, è particolarmente venerato in tutta Italia e, in special modo, in Emilia e Lombardia. Nel Cremonese e nel Parmense così come nel Piacentino, e nelle altre province della Pianura Padana (terra in cui, secondo la tradizione e le fonti storiche il pellegrino e taumaturgo transitò), non si contano le chiese, gli oratori, le strade, le piazze, le associazioni a lui dedicati.

A Cremona la Biblioteca Statale conserva, tra l’altro, un Missale Romanum edito a Milano nel 1476 che costituisce una delle più antiche testimonianze della celebrazione dedicata al santo il 16 agosto.

Dalla Pianura all’Appennino, dalle città ai più piccoli borghi della campagna o della montagna, in quasi tutti gli edifici sacri vi è almeno una immagine del santo o, qualcosa legato alla sua storia ed al suo culto. Spesso e volentieri, chiese, oratori e devozioni, sono sorti laddove vi sono stati episodi di pestilenza. E’ noto infatti che San Rocco è conosciuto, soprattutto, come guaritore e taumaturgo.

In epoche passate, quando le epidemie di peste erano ampiamente diffuse, San Rocco veniva invocato dai fedeli, al fine di ottenere guarigioni ed affinchè queste stesse epidemie venissero debellate. Il Santo di origine francese avrebbe soggiornato a Sarmato ed a Caorso, avrebbe operato guarigioni a Piacenza. Nel pieno del medioevo, quando povertà e violenza, assieme a contagi ed insicurezze, flagellavano persone e comunità precarie ed indifese, questo personaggio soccorreva gli appestati divenendo ben presto una vera e propria icona della solidarietà e della fratellanza.

Così dal Quattrocento in avanti la sua figura si è rapidamente imposta in tutta Italia ed in tutta Europa. Permane però, sulla celebre figura del pellegrino e taumaturgo, un grande interrogativo. Quella che lo riguarda è storia o leggenda? La realtà del pellegrino originario di Montpellier è racchiusa in un paradossale contrasto: da un lato è uno dei santi più venerati e popolari della storia della Chiesa e del popolo cristiano, a lui sono attribuite un numero incalcolabile di guarigioni, ma dall’altro la sua vita appartiene ormai più al limbo della tradizione e delle leggenda che non al dominio della storia, perché sono assai poche, e scarsamente documentate, le vicende conosciute ed attendibili del suo percorso umano e cristiano.

L’oscurità è così fortemente diffusa ed evidente che, da tempo, non pochi esperti e studiosi, ritengono che la figura di San Rocco non sia altro che, addirittura, una pia invenzione. Alcuni anni fa è uscito un libro, “San Rocco Pellegrino”, edito da Marcianum Press (con tanto di presentazione del cardinale Angelo Scola), curato da Paolo Ascagni, cremonese “d’adozione”, auno dei massimi studiosi rocchiani, autore anche di altre pubblicazioni dedicate a San Rocco. Con questo volume, Ascagni ha cercato di districare le tracce della storia dalle secolari incrostazioni della leggenda, ripercorrendo le principali direttive di studio che, in particolare dall’Ottocento ad oggi, hanno recato di fare luce sulla indefinibile figura del santo.

Ne è sorto un ritratto tanto problematico quanto avvincente dell’affascinante carisma di Rocco di Montpellier, uomo dai mille misteri, crocevia di questioni irrisolte ma simbolo sempre attuale della santità cristiana e dei valori umani più veri e profondi. A porre forti dubbi sull’esistenza di San Rocco è stato anche il belga Pierre Bolle, celebre studioso e ricercatore dell’Università Libre di Bruxelles, che con Ascagni ha pubblicato Rocco di Montpellier. Voghera e il suo santo” (2001). Secondo quanto sosteneva lo studioso belga si sarebbe di fronte ad un duplicato agiografico. In pratica il celebre santo di Montpellier sarebbe il “doppione” di un altro santo vissuto nel VII secolo, vale a dire Racho di Autun. Quest’ultimo, dati ecclesiastici ufficiali alla mano, è stato il primo vescovo franco di quella città, è morto intorno al 660; è festeggiato il 28 gennaio (ma anche il 5 dicembre) ed il suo nome è equiparato a “Ragoberto”, una concordanza in realtà molto discutibile.

Per coloro che sono interessati ad approfondire ulteriormente la questione, si consiglia di consultare i saggi riportati diffusamente sul portale sanroccodimontpellier.it. Di fatto, Pierre Bolle dimostra che i numerosi racconti, cioè le antiche “Vitae”, infarciti di stereotipi, non sono affatto utili sul piano rigorosamente storico. E presenta invece numerosi indizi di natura liturgica, che gli consentono di arrivare a conclusioni originali e proposito dell’evoluzione del processo leggendario, prima che esso assumesse una forma letteraria.

Per esempio, nella regione francese di Montpellier, una menzione del santo come “vescovo e martire” (ciò che in effetti egli non è), al 16 agosto di un calendario liturgico del XV secolo, era sempre stata interpretata come la confusione di un copista con San Raco, vescovo di Autun e protettore dalla tempesta, venerato, come già anticipato, il 5 dicembre. Come dimostra una ricerca più approfondita, anche diversi manoscritti della Linguadoca presentano questa particolarità. Essa, dunque, traduce piuttosto un uso liturgico regionale del santo di Autun spostato ad un’altra data del calendario, che è quella del 16 agosto. Questo è confermato da altri indizi di “duplicazione”: alcuni lezionari inediti del santo di Autun; una preghiera in francese medievale del XV secolo, che associa “pestilenza”, “peste” e “tempesta”; una messa in latino che associa “languores epidemiae” ed “aeris tempieres”; una xilografia provenzale della fine del XV secolo, che riproduce entrambi i santi; infine, anche una tradizione italiana sulla vendita delle reliquie.

L’accumulo di tutte queste testimonianze di natura liturgica, iconografica, leggendaria e storica porta di conseguenza a sostenere che San Rocco di Montpellier potrebbe realmente essere un “doppione” agiografico di Raco di Autun, santo vescovo il cui culto pare risalire all’epoca merovingia. Tale sdoppiamento si è determinato principalmente per ominimia (Raco/Rocho) ed inoltre a seguito di un processo linguistico di aferesi, relativo alla sua funzione di “protettore”: “tempeste” è così diventato “peste”.

Lo sdoppiamento è stato inoltre facilitato dalle concezioni medievali medico-aziologiche in materia di epidemie; derivate dalle teorie miasmatiche di Ippocrate e di Galeno, che stabilivano in modo molto netto un legame causale diretto tra le epidemie e le perturbazioni meteorologiche, specie le tempeste. Facendo ora un bilancio della questione, considerando le due principali cronologie dedicate al santo, emerge che la tesi tradizionale, quella di Francesco Diedo (che è la più conosciuta) presenta troppe incongruenze per poter essere accettata; la nuova, della “Scuola Italiana” è invece da ritenere più attendibile. Gli studiosi persuasi dell’esistenza di San Rocco sono pressoché tutti allineati alle posizioni della “nuova cronologia” che, di fatto, è la sola capace di risolvere, seppur in parte, i molti punti interrogativi che permangono sulla biografia del santoSi può anche affermare che, se in Francia, il culto è nato da una contaminazione con San Raco determinando una “confusione liturgica”, in Italia la devozione è nata in modo del tutto indipendente tra Voghera e Piacenza. Potrebbe quindi essere esistito (cosa che più volte ha pubblicamente affermato anche lo studioso ed esperto Paolo Ascagni) un personaggio che ha vissuto episodi importanti della sua vita nella nostra zona, ed al quale sono state nel tempo attribuite leggende e cose non verificabili. Permane, in ogni caso, il simbolo sempre attuale della santità cristiana e dei valori umani più veri e profondi.

Paolo Panni – Eremita del Po

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