Dai campi lezioni di saggezza:
dopo la grandine, si riparte
Cari incravattati dal deretano piatto e pelato: osservate attentamente il lavoro degli uomini e delle donne della campagna, poco importa se emiliana o lombarda. Coglietene quei valori di saggezza, prudenza, consapevolezza e tenacia
Una settimana fa le nostre terre, di qua e di là dal Po, sono state colpite da una calamità dalle conseguenze drammatiche. Ancora una volta abbiamo visto, se mai ce ne fosse stato bisogno (e il bisogno nessuno lo aveva), come la natura possa essere in grado, in pochi minuti, di distruggere mesi di lavoro, anni di sforzi, a volte anche secoli di storia. Si sono viste tante immagini relative alla devastazione e ancora oggi, come è ovvio che sia, le conseguenze sono lì da vedere.
Personalmente mi sono rimasti impressi tre istanti, tre lezioni di vita, di quelle che la nostra gente, sull’una e sull’altra riva del Po, è sempre in grado di dare. Ho visto un operaio che, dopo otto ore di turno in fabbrica, è salito sul tetto di casa, si è tirato su le maniche e, con un po’ di olio di gomito, senza attendere tecnici, perizie e burocrati, si è sobbarcato qualche altra ora di duro lavoro per sistemare la sua proprietà. Ho visto una giovane donna che da qualche tempo ha deciso di dedicarsi all’agricoltura, nella sua terra, e di fronte ai suoi prodotti distrutti, dopo essersi giustamente incazzata (ed è giusto dirla così) ha ricordato a tutti che, come dicevano i nostri vecchi, “la roba dei campi è del cielo e dei santi”, non ha avuto bisogno di farsene una ragione, se ne è fatta semplicemente una consapevolezza e, anziché perdere tempo, ha immediatamente messo mano alla sua forza di volontà e, dove c’era la devastazione, a breve metterà a dimora nuove e rigogliose piantine, per riprovarci, per andare avanti, come è giusto che sia. Poi ho visto un anziano che, di fronte ai pomodori del suo orto ridotti a “conserva”, ha inforcato la bicicletta per andare, anche lui, a prendere nuove piantine da mettere subito a dimora. A chi ha provato a fargli notare che ormai è tardi, che si è fuori stagione, che era tutto inutile, ha risposto: “non importa se non avrò i pomodori in agosto, vorrà dire che li avrò a settembre: e saranno i miei”.
Questa è la nostra gente, di qua e di là dal Po; gente sanguigna e tenace, che non si piega di fronte a nulla, non perde tempo, guarda avanti. Lo fa con intelligenza, con saggezza e prudenza, consapevole di quello che fa, senza girarci intorno. Nel nostro dialetto si dice “Pochi bali e laurà” (tradotto: poche balle e lavorare). E’ una lezione che gli incravattati dal deretano piatto e pelato (i benpensanti leggano sempre politici), senza distinzioni di colore, dovrebbero imparare. A loro farebbe bene non una irrinunciabile e dorata vacanza al mare o ai monti; sarebbe prodigiosa, piuttosto una villeggiatura in campagna, magari in una casa colonica o in una cascina, a osservare (non a guardare, osservare è cosa molto diversa) come agisce la nostra gente, con poche balle e tanto lavoro. Sarebbe una vacanza istruttiva, per imparare quei valori di intelligenza, saggezza, prudenza e consapevolezza che, tra i velluti dell’alta politica non albergano. Ne è una dimostrazione chiara e lampante quello che sta succedendo, con la pandemia in corso. Non occorre una memoria di ferro per ricordare quegli incravattati dal deretano piatto e pelato che, tra fine 2019 e inizio 2020, si gongolavano davanti alle televisioni e, rispondendo a quelli che dicevano loro di stare in guardia perché anche qui il flagello sarebbe arrivato, rispondevano bellamente che in Italia non c’era alcun rischio, che non sarebbe arrivato nulla, non si dovevano alimentare allarmismi e avevano altro a cui pensare, correndo poi a farsi l’immancabile fotografia al ristorante o al bar. Gli stessi che, solo qualche settimana dopo, di fronte ai fatti che li smentivano in modo clamoroso, marcato e totale, chiudevano tutto, invitavano a non muoversi di casa (quando ormai i buoi erano scappati dalla stalla….). Ma, non contenti delle balle già dette e ripetute, affermavano che sarebbe stata questione di qualche settimana, al massimo di pochi mesi. Invece, dopo un anno e mezzo siamo ancora qui, con un bilancio che parla di migliaia di morti, famiglie devastate, sofferenze a non finire, migliaia di posti di lavoro persi, aziende chiuse, e migliaia di nuovi poveri: e quanto durerà non è dato sapersi. Larga parte di quegli incravattati dal deretano piatto e pelato, pur di fronte alla loro chiara e manifesta incapacità, sono ancora lì, tra i loro “sacri” velluti, senza vergogna e senza dignità. Soprattutto senza aver mai pronunciato la parola “Scusate” verso gli italiani. Qualche loro indefesso sostenitore mi ha già risposto, in modo banale e scontato, dicendomi “come facevano a sapere quanto sarebbe durata visto che si tratta di una cosa non conosciuta?”. Appunto, replico io, perché raccontar balle e inventarsi castronerie di fronte a qualcosa che non conosci? Non è meglio usare quei valori di saggezza e prudenza che porterebbero a dire: “scusate si tratta di un problema non conosciuto, non è possibile dare alcuna tempistica”?. Forse, chissà, con un po’ di saggezza e prudenza, si sarebbero anche salvate vite: chissà.
Cari incravattati dal deretano piatto e pelato: osservate attentamente il lavoro degli uomini e delle donne della campagna, poco importa se emiliana o lombarda. Coglietene quei valori di saggezza, prudenza, consapevolezza e tenacia che dovrebbero accompagnare ogni decisione, anche la più piccola. Tra i vecchi muri crepati delle nostre cascine e delle nostre case rurali scorrono giacimenti di questi tesori e ricordate sempre: La roba dei campi è del cielo e dei santi….
Paolo Panni – Eremita del Po