Cultura

Dal Po alla Lucania: il mistero
dei due vescovi di Santa Croce

Notizie storiche a parte, resta l’interrogativo su questa incredibile coincidenza storica di due vescovi nati a tre secoli di distanza nello stesso, minuscolo borgo, che hanno iniziato il ministero episcopale nella medesima città

Alberto Costa
Casa Natale Caraffini
La Chiesa di Santa Croce
La casa natale del vescovo Costa
La cattedrale di Melfi
La lapide di Casa Costa
Lazzaro Caraffini
Monsignor Alberto Costa

Che in un borgo che, nella sua storia, non ha mai superato le poche centinaia di abitanti possano nascere, in tre secoli, due vescovi, è già un fatto più straordinario che singolare. Che i due vadano a poi a reggere la stessa diocesi, a quasi 800 chilometri di distanza, prima di essere entrambi trasferiti in sedi più prestigiose, è una coincidenza che ha dell’incredibile, se non del soprannaturale.

Il borgo in questione è Santa Croce, minuscola frazione del Comune di Polesine prima, e di quello di Polesine Zibello poi. I due prelati in questione sono invece Lazzaro Caraffini e Alberto Costa, nati per altro in due abitazioni poste a non più di trecento metri l’una dall’altra lungo la stessa direttrice, quella che collega Polesine e Zibello.

Il primo, Lazzaro Caraffini, nato a Santa Croce il 16 giugno 1594, dopo una brillante carriera sacerdotale, fu eletto vescovo di Melfi e Rapolla (località della provincia di Potenza) nel 1622, per poi essere trasferito a Como nel 1626, reggendo quindi per poco più di tre anni la diocesi lucana. Il secondo, Alberto Costa, nato a Santa Croce il 15 marzo 1873, fu eletto vescovo di Melfi e Rapolla nel 1912. Alla sua diocesi, nel 1924, la Santa sede unì anche la città di Venosa, patria di Orazio. In terra lucana rimase molto più del suo predecessore, fino al 1928 quando fu trasferito a reggere la diocesi di Lecce, dove morì nel 1950.

Senza addentrarsi eccessivamente nella storia, importante, dei due presuli, val comunque la pena di ricordare che monsignor Caraffini, nato nella villa di famiglia che sorge a due passi dalla chiesa parrocchiale (villa sapientemente restaurata e recuperata alcuni anni fa dall’avvocato italoamericano Giuseppe Tomasetti) e che probabilmente utilizzava anche durante i periodi di vacanza, ricoprì varie dignità nella Chiesa cremonese e, dopo il breve episcopato nel Mezzogiorno, succedette, a Como, sulla cattedra episcopale che fino ad allora era stata del fanatico persecutore di eretici Desiderio Scaglia. L’episcopato di monsignor Caraffini segnò pagine gloriose nella storia della Chiesa lariana, eresse ventidue nuove parrocchie e consacrò quattordici chiese. Stimato e venerato dal suo popolo per la vasta dottrina e le grandi opere di carità e bontà realizzate morì all’età di 75 anni e venne sepolto nella cattedrale di Como.

Passando a monsignor Costa, questi ricoprì importanti incarichi nella diocesi di Fidenza prima di essere inviato, come vescovo, a Melfi e Rapolla e, successivamente a Lecce. In entrambe le diocesi si distinse per la profonda fede e la grande bontà d’animo occupandosi non solo di problematiche religiose ma anche di temi legati all’economia, al lavoro e al sociale. Il pontefice Pio XI, nel suo venticinquesimo di episcopato, lo annoverò, nel 1937, fra i vescovi assistenti al Soglio Pontificio creandolo inoltre nobile e conte palatino. Ebbe anche onorificenze dal Governo italiano per le benemerenze acquisite nell’adempimento della sua missione pastorale. Il periodo più difficile per lui fu quello della seconda guerra mondiale, al quale giunse per altro già con problemi di salute che, tuttavia, non gli impedirono di prodigarsi per la sua gente. Morì il 2 agosto 1950 e fu sepolto nella cattedrale della “sua” Lecce.

Notizie storiche a parte, resta l’interrogativo su questa incredibile coincidenza storica di due vescovi nati a tre secoli di distanza nello stesso, minuscolo borgo, che hanno iniziato il ministero episcopale nella medesima città, nella stessa cattedrale, a quasi 800 chilometri di distanza dalla terra natale.

Per un credente, forse, verrebbe fin troppo facile dire che tutto questo dipende dall’azione dello Spirito Santo, le cui vie sono inaccessibile e imperscrutabili. Ma un agnostico, un non credente, o un semplice dubbioso, come può motivare tutto questo? Semplice coincidenza? Pura casualità? Oppure chissà, attraverso i secoli, un invisibile filo snodatosi attraverso i percorsi della mistica e del soprannaturale ha unito, attraverso le figure di due vescovi, le terre del Grande fiume a quelle della lontana Lucania?

Paolo Panni – Eremita del Po

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