"Gerusalemme oggi: fra violenza
e prospettive di convivenza"
Un racconto che è poi uscito dalla stretta attualità per allargare il campo: “Ci sono una terra, due popoli e tre religioni. Il mondo cristiano ha una chiara distinzione fra identità civile e identità religiosa. In tutto il medio-oriente invece la cittadinanza passa dall’identità religiosa".
Un viaggio nella Gerusalemme dei nostri giorni, fra difficoltà di convivenza e speranze delle giovani generazioni: è stata una voce di presa diretta, quella di monsignor Pierbattista Pizzaballa, arcivescovo patriarca latino di Gerusalemme, a raccontare la vita quotidiana in Israele. L’occasione è stata offerta dall’incontro online organizzato su Zoom dall’UST di Sondrio e Cremona e pensato per le scuole delle due province. “Dopo la Guerra dei sei giorni – ha spiegato monsignor Pizzaballa proprio all’indomani della notizia del ritorno delle violenze fra Israele e Striscia di Gaza – la città è sotto controllo israeliano. A ovest la prevalenza è ebraica, a est la prevalenza è araba. Ieri era il giorno di Gerusalemme, Israele festeggiava la “liberazione”, mentre nella prospettiva araba si parla di “occupazione”. Aggiungiamo che negli ultimi anni Israele sta prendendo sempre più possesso di zone della Gerusalemme considerata araba”. “Queste tensioni – ha continuato il religioso intervistato da Franco Mottalini, referente UST per l’Inclusione – hanno creato una situazione che ieri è esplosa, allargandosi, e provocando la risposta di Gaza. Dopo sette anni ho sentito nuovamente l’allarme dato con le sirene. La marcia israeliana programmata per la giornata di ieri ha modificato l’itinerario evitando alcuni quartieri arabi. Siamo in attesa di vedere cosa succederà oggi pomeriggio, e nei prossimi giorni, gli ultimi del Ramadan. Politicamente la questione è incandescente e non sarà di semplice soluzione”.
Un racconto che è poi uscito dalla stretta attualità per allargare il campo: “Ci sono una terra, due popoli e tre religioni. Il mondo cristiano ha una chiara distinzione fra identità civile e identità religiosa. In tutto il medio-oriente invece la cittadinanza passa dall’identità religiosa. I cristiani possono essere palestinesi non musulmani, o cristiani israeliani in tutto e per tutto. I cristiani insomma qui sono gli unici che non hanno questa unità di appartenenza etnica e religiosa. Le relazioni a livello istituzionale sono molto formali: si parla di tutto ma non della vita in comune. Si parla di economia mondiale, di ecologia, ma non di Gerusalemme. A livello non pubblico le relazioni sono molto diverse: c’è maggiore coscienza della necessità di cambiare linguaggio. Per avere un rapporto sereno fra noi, anche pubblicamente, sarebbe necessaria almeno una generazione che non ha conosciuto violenza. Qualsiasi concessione invece viene interpretata come una sconfitta, un segno di debolezza. A livello non istituzionale la situazione è diversa: ci sono tante associazioni, gruppi, parrocchie, scuole, ci sono molte occasioni di incontro animate da persone che non si rassegnano. C’è ancora molto lavoro da fare, la politica rende le cose complesse: non è il momento di grandi gesti ma di lavorare sul territorio, preparando una generazione in grado di andare oltre le proprie ferite”.
Un territorio che comunque continua a definire anche le prospettive: “Se sei nato a Betlemme e vai a scuola a Gerusalemme, fai una manciata di pochi chilometri ma per farli avrai bisogno di alcune ore perché al confine i controlli sono rigidissimi”. E i giovani? “Sono uguali ai giovani di tutto il mondo: vogliono vita sociale, tempo libero, trovarsi in gruppo, e spesso sono animati da un sano spirito di ribellione. Nei giovani percepisco una stanchezza del conflitto e del suo linguaggio. Quello che manca è la capacità di elaborare una visione diversa. La critica al sistema è forte, meno lo è l’elaborazione di una visione alternativa. La tecnologia rende questo facilmente fruibile, ma bisogna evitare che i movimenti radicali salgano su questo carro”.
E ovviamente impossibile non dedicare una parentesi alla particolarissima situazione dei cristiani in Terra Santa: “I cristiani sono pochi qui, non più dell’1% della popolazione. Possiamo lavorare su alcuni fronti: le scuole cristiane – le prime assolute in medio-oriente, le uniche che danno accesso a tutti, indipendente dall’appartenenza religiosa -, gli ospedali, luoghi che avvicinano e che hanno una ricaduta importante nei rapporti fra persone. E poi il fatto di essere minoranza senza potere e non parte attiva nel conflitto, ci rende molto liberi. La presenza dei cristiani stempera le tensioni. Le tradizioni a Gerusalemme sono esclusivamente religiose e legate ai luoghi. Per i cristiani la Settimana santa a Gerusalemme è fatta di liturgie sono mobili: si passa al Cenacolo, al Santo sepolcro, al Getsemani, alla Via dolorosa. La Settimana Santa è correre da un posto all’altro perché la liturgia è legata ai luoghi”.
E’ stato Fabio Molinari, dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Sondrio e Cremona, a dare il benvenuto al patriarca: “Sono contento e onorato che il patriarca di Gerusalemme abbia accettato di fare questa chiacchierata con noi, anche per la straordinaria conoscenza che possiede circa il mondo orientale e la Terra Santa. Tutti i giorni ci arrivano notizie preoccupanti da quei luoghi, da quella che dovrebbe essere la città della pace”. E alle parole di Molinari hanno fatto eco quelle di Salvatore Rosario Pasquariello, Prefetto di Sondrio, che di Pizzaballa ha voluto sottolineare in particolare la dimensione di uomo di pace.
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