Ambiente

Marcaria, Carlo Mantovani, i frassini
e il Cavaliere della Paesaggezza

Come anticipazione della mia innovativa guida turistica TRA GRANDI ALBERI E GRANDISSIMI PIATTI: ITINERARI DENDROGASTRONOMICI DELLA PROVINCIA DI MANTOVA, di prossima pubblicazione, ecco un assaggio a sfondo naturalistico tratto dal percorso che interessa il territorio di Marcaria. Protagonisti, la leggendaria Cascina Sant’Alberto, nel parco Oglio Sud e il suo fiero custode, Gianfranco Baboni, al quale ho voluto conferire il titolo onorifico di Cavaliere della Paesaggezza: un riconoscimento che vuole premiare chi si adopera per salvaguardare, promuovere o valorizzare il paesaggio, inteso come insieme di natura e cultura. Buona lettura: e che la Paesaggezza sia con voi.

“Era da più di un anno che cercavo di capire come raggiungere la cascina Sant’Alberto, nel territorio di Marcaria (MN), dove il censimento provinciale del 2005 segnalava la presenza di un fraxinus excelsior di quasi tre metri e mezzo di circonferenza. Come nel caso della Quercia fantasma, la chiave è stata, ancora una volta, l’amichevole G.E.V. Antonella, a cui avevo chiesto aiuto: “Non so se ci sia una pianta di quelle dimensioni, ma i colleghi – diceva il suo whatsup – mi confermano che all’interno del podere della cascina c’è un bosco di frassini”.

E così, alla prima occasione, sono partito, rassicurato sul mio obiettivo, ma senza sapere esattamente che cosa mi aspettava. Mi sono bastati pochi passi, lungo il sentiero che conduce nella vasta e verdissima area golenale, che porta in nome di Sant’Alberto e fa parte del Parco Oglio sud, per cadere in uno stato di rapimento estatico, felicemente ipnotizzato dai giochi prospettici e dai “codici di geometrie esistenziali” dell’interminabile pioppeto che si distendeva davanti ai mei occhi. Una volta arrivato alla cascina, un monumentale complesso di edifici agricoli, mi sono accomodato su una delle sedie intorno ad un tavolino, opportunamente piazzato sotto un bell’esemplare di juglans regia (noce nostrano), e ho aspettato l’arrivo del proprietario, senza il quale mi pareva impossibile, in quello scenario idillico ma quasi labirintico, raggiungere il fatidico boschetto di frassini.

In realtà, come mi ha poi rivelato il signor Gianfranco Baboni, fiero titolare della cascina, il boschetto si nascondeva appena dietro al pioppeto a meno di cento metri di distanza e circondava uno dei quattro invasi d’acqua chiamati “bugni”: un bosco spontaneo e intricatissimo con alberi centenari di frassino (Fraxinus oxyphilla), querce farnie (Quercus robur), pioppo bianco (Populus alba), tipici delle antiche foreste umide della pianura padana.

Osservando le piante – che non arrivano neppure ai 3 metri di circonferenza, ma hanno cime vertiginose che grattano il cielo ad oltre trenta metri di altezza – si comprende che qui, come accade nei boschi, si sono sviluppate molto di più verso l’alto, che in larghezza: dando vita ad un luogo di selvaggia quiete che, per qualche minuto, mi ha proiettato in un epoca lontana, quando i boschi planiziali ricoprivano l’intera pianura padana. Guidati dal proprietario, passando in pertugi strettissimi e scavalcando i colossali tronchi delle tante vittime di una tromba d’aria di qualche anno fa (tra cui probabilmente il grande esemplare citato dal censimento), siamo finalmente giunti sulla riva del bugno, dove questo Cavaliere della Paesaggezza mantovano aveva piazzato – ancora una volta opportunamente – un paio di scranni.

“Ecco: a me piace sedermi qui”, mi ha detto il Baboni, con lo sguardo raggiante e appagato di chi sente di aver trovato il suo posto nel mondo. Come dargli torto? Dalle acque apparentemente immobili del bugno si innalzava un silenzio perfetto, profumato dal respiro dei biancospini e interrotto soltanto dal cinguettio degli uccelli e dal paululare dei pavoni, in una catartica sensazione panteistica: quella che, per un attimo, ti fa finalmente sentire in armonia col creato”.

Carlo Mantovani (giornalista dendrogastronomico)

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