Persico, Costa e Braga: ricerca
scientifica sulle presenze di golena
La ricerca/documento non ha bisogno di commenti. E' straordinaria di suo. E non è solo una ricerca. E' un'invito a conoscere e a guardare con rispetto alla biodiversità. A cercare una strada, una vera, per difendere l'immenso patrimonio che abbiamo e, indirettamente, anche noi stessi.
SAN DANIELE PO – No all’estensione della pioppicoltura intensiva nelle aree demaniali. A dare una spiegazione indiretta, seppur tecnico/scientifica (seria, frutto di due mesi di osservazioni con teleobiettivi e fototrappole, un lavoro curato a tre mani) Davide Persico, Elena Costa e Andrea Braga. Le osservazioni sono state fatte sul tratto di Po che va da Pieve d’Olmi a Motta.
E’ uno studio serio e assolutamente entusiasmante, straordinario. Che dimostra – ove ce ne fosse ancora bisogno – che una seria politica ambientale e di tutela delle aree golenali NON CONTEMPLA monocolture e pioppicolture intensive estese, NON CONTEMPLA l’eccessiva antropomorfizzazione del territorio e lo sfruttamento sconsiderato del terreno, NON CONTEMPLA tentativi, seppur mascherati dietro strani concetti di sostenibilità, progetti di navigabilità del fiume qualunque sia il sistema per attuarli. NON CONTEMPLA la progressiva riduzione delle aree originarie o rinaturalizzate. Un no dunque – seppur indiretto o forse nemmeno più di tanto – alla proposta di Fabio Rolfi – assessore all’agricoltura di Regione Lombardia – di vocare le aree demaniali alla coltivazione industriale del pioppo e a tutti quelli che la sostengono.
La ricerca/documento non ha bisogno di commenti. E’ straordinaria di suo. E non è solo una ricerca: è un inno alla natura e alla bellezza. E’ un’invito a conoscere e a guardare con rispetto alla biodiversità. A cercare una strada, una vera, per difendere l’immenso patrimonio che abbiamo e, indirettamente, anche noi stessi.
Il titolo è già un monito importante – SOLO LA CONOSCENZA DELLA BIODIVERSITA’ GOLENALE PUO’ GARANTIRE UNA TUTELA E UNA VALORIZZAZIONE DELL’ECOSISTEMA PO -. Sotto, il testo completo.
La biodiversità, o diversità biologica, è “ogni tipo di variabilità tra gli organismi viventi, compresi, tra gli altri, gli ecosistemi terrestri, marini e altri acquatici e i complessi ecologici di cui essi sono parte; essa comprende la diversità entro specie, tra specie e tra ecosistemi” (art. 2 della Convenzione sulla diversità biologica, Conferenza ONU su ambiente e sviluppo, Rio de Janeiro, 1992).
La Convenzione riconosce tre ordini gerarchici di diversità biologica: genetica, specifica ed ecosistemica, che rappresentano aspetti abbastanza differenti dei sistemi viventi.
La ‘diversità genetica’ si riferisce alla variazione dei geni entro la specie, la ‘diversità specifica’ si riferisce alla presenza di specie diverse in un territorio e alle relazioni tra di esse, la ‘diversità ecosistemica’ si riferisce, invece, alla differenziazione di ambienti fisici, di raggruppamenti di organismi, piante, animali e microrganismi e di processi e interazioni che si stabiliscono tra loro.
In questo resoconto proponiamo alcuni dati riguardanti le diversità ecosistemica e specifica dell’ambiente golenale in condizioni selvatiche, di rinaturalizzazione e di aree coltivate.
Le osservazioni sono corredate di numerose immagini e consistono in un censimento informale (ma professionale) eseguito mediante osservazioni dirette in golena (con binocolo, fotocamera e drone) o indirette mediante fototrappolaggio, riconoscimento di impronte e escrementi. Le osservazioni sono state eseguite in un lasso di tempo di circa 6 mesi nel territorio compreso tra Pieve D’Olmi e Torricella del Pizzo (CR).
Dall’osservazione della concentrazione del maggior numero di specie si evince subito quanto la differenziazione dell’habitat naturale sia importante: boschi misti, acquitrini, aree aperte a vegetazione erbacea, siepi di cespugli e alveo del fiume ad esempio, caratterizzano ampi tratti di golena aperta. Tale diversità ecosistemica rappresenta il substrato ideale per la colonizzazione naturale di specie animali autoctone.
Nel corso degli ultimi dieci anni, si sta assistendo ad un graduale ripopolamento naturale della golena da parte di specie localmente estinte, grazie al loro ritorno attraverso i corridoi ecologici, cioè i torrenti e fiumi che discendono dall’Appennino ma anche nelle aree selvatiche e rinaturalizzate adiacenti al Po.
Proprio queste aree risultano particolarmente idonee in quanto meno accessibili all’uomo, quindi a basso impatto antropico. Ne deriva quindi che più queste aree sono estese e conservate, maggiore saranno il flusso faunistico e l’incremento del numero di specie stanziali.
Tutte o gran parte delle osservazioni eseguite sono risultate particolarmente concentrate in aree naturali o rinaturalizzate, evidenziando una drastica diminuzione del numero di specie e di esemplari in un contesto agricolo fortemente antropizzato (lavorazioni meccaniche del terreno continue, uso di antiparassitari, diserbanti, concimi chimici ecc.). Anche quest’ultimo ambiente, seppur caratterizzato da sporadici avvistamenti, è stato scenario di avvistamenti, soprattutto di esemplari di passaggio.
In quest’ultimo contesto risulta importante estendere il concetto di corridoio ecologico anche ai boschi artificiali monospecifici come i pioppeti. Nonostante il substrato sia perennemente lavorato, mantenuto privo di copertura erbacea con lavorazioni meccaniche e trattamenti con prodotti chimici, i boschi a pioppi costituiscono comunque una via preferenziale per lo spostamento di ungulati e predatori da un’area naturale ad un’altra. Svolgono cioè un ruolo secondario di interconnessione faunistica, ma non di rifugio.
Questa considerazione è estremamente importante perché, se il pioppeto è adeguatamente mantenuto, senza l’impiego di trattamenti chimici e lavorazioni meccaniche di sorta, risulterebbe sostenibile ecologicamente, contribuirebbe cioè a creare un equilibrio nel mantenimento della biodiversità golenale.
L’estensione della pioppicoltura intensiva nelle aree demaniali, a discapito del mantenimento dell’habitat originario o rinaturalizzato, avrebbe come logica conseguenza una forte riduzione di biodiversità sia specifica (floro-faunistica) sia ecosistemica con ripercussioni sull’ecosistema fluviale compreso l’incremento, consistente, di sostanze chimiche inquinanti nel Fiume.
Il patrimonio faunistico osservato in questi mesi di ricerca è stato entusiasmante ed ha evidenziato specie autoctone di mammiferi come volpe, lupo, tasso, donnola, faina, capriolo, cinghiale, istrice, scoiattolo rosso, lepre; uccelli come germani, alzavole, volpoche, gheppio, poiana, airone guardabuoi, airone cenerino, airone bianco maggiore, nibbio bruno, albanella, ghiandaia, upupa, martin pescatore, gazza, cornacchia, taccola, corvo, colombaccio, tortora, fagiano, quaglia, cicogna nera, cicogna bianca e cormorano; rettili come tartaruga palustre, biacco, biscia dal collare, ramarro, lucertola; anfibi come rospo smeraldino, rana verde e tritone crestato.
Questo elenco, certamente per difetto, non tiene inoltre conto di pesci e insetti oltre che della importantissima biodiversità vegetale, ma conferisce di già, comunque, una straordinaria varietà di forme cui il nostro impegno non può esimersi dal tutelare.
Non si può deputare alla sola volontà politico-economica la gestione del territorio fluviale.
Esso è un ecosistema, un patrimonio naturale di inestimabile valore anche per il miglioramento della nostra qualità della vita.
E noi crediamo fermamente che la miglior via per tutelarlo sia quella di farlo conoscere per poi difenderlo tutti assieme“.
N.C.