Cronaca

"Congo realtà sconosciuta:
ecco perché è morto Attanasio"

"Noi ci accontentiamo della superficie, ma la realtà che sta sotto - non filtrata né manipolata - è molto diversa": la testimonianza choc di don Claudio Rubagotti e di Giusy Agosti, per anni volontaria in Centro Africa.

Come nel film “Flags of out father” parte tutto da uno scatto: ma se nella pellicola di Eastwood la fotografia era una sorta di falso d’autore, ricostruito per l’occasione; ecco che stavolta lo scatto è più vero dei filtri e dell’ipocrisia della cultura occidentale. L’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, ucciso in un agguato esattamente un mese fa, giace sopra una camionetta ormai esanime, morente, una sorta di Pietà dove la parte di Maria tocca ad alcuni uomini congolesi che sembrano quasi voler proteggere il corpo del diplomatico.

Quella fotografia in Italia non è mai arrivata. O almeno non sui media principali. A svelarla è don Claudio Rubagotti, parroco di Casalmaggiore, che da Assistente del gruppo di laiche consacrate Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, con sede a Cremona (e in passato presenti anche a Casalmaggiore attraverso le sorelle Ada e Bruna Bortini di San Leonardo), ha conosciuto la realtà del Congo, toccandola con mano e sul posto. E in particolare del Kivu, la zona di confine tra Congo e Ruanda, teatro di guerre civili, di massacri, di genocidi. “Perché partire da quella foto? Proprio perché in Italia non è mai stata diffusa – spiega il parroco – e perché vi è un filtro molto forte sull’informazione occidentale. Una sorta di manipolazione. Io in Congo sono stato diverse volte prima del Covid, e avrei dovuto andarci in questa estate 2021, perché vi sono Oblate africane di Nostra Signora anche in Congo e in Ruanda.

Certo è una scelta difficile per una donna, dato che nell’Africa Subshariana è considerata tale solo se si sposa e ha figli. Sono accettate le suore perché sono identificate con la veste del loro Istituto di appartenenza. Le Oblate di Nostra Signora, donne non sposate o vedove e senza un abito che li identifichi, sono un segno dello sguardo cristiano sulla donna e sono impegnate, secondo il carisma di Monsignor Paolo Rota, nella promozione femminile. Quanto accaduto al nostro Console non è una novità in quei luoghi, ma ce ne siamo accorti perché, come spesso accade, alziamo la testa e apriamo gli occhi quando qualcosa di brutto capita ai nostri, agli italiani, ai bianchi. Ma il Kivu è triste teatro di massacri quotidiani, che quasi mai fanno notizia”.

Una zona ricca di risorse, su tutte il Coltan, che noi utilizziamo come processore per i nostri smartphone, tablet e computer. “Se non fosse che, con la compiacenza dei Governi locali e dei nostri Governi, quel minerale non viene acquistato dalle multinazionali ma rubato col sangue: massacrando la popolazione e devastando il territorio. I Caschi Blu non intervengono, se non a massacro già avvenuto, perché per avere il permesso di intervenire devono interpellare l’Onu e il Pentagono. Immaginate i tempi di risposta? La morte, in quelle terre, è la quotidianità purtroppo. Ricordo un ritiro spirituale: una ragazza era attesa e non arrivava. Mi dissero: “L’avranno ammazzata” con molta normalità, quasi come fosse un rischio pressoché scontato”.

Perché tale premessa ci porta all’omicidio di Attanasio? “Perché in Congo si sa benissimo da chi è stato ucciso il nostro Console. E anche perché si è scelto di ucciderlo: ma i messaggi che arrivano in Italia – le cosiddette fonti ufficiali – mirano, in genere, a insabbiare. Attanasio era davvero ben voluto dalla popolazione locale, diversamente da altri, Africani compresi, premiati in Occidente ma considerati criminali in Africa. Era una persona onesta e pulita: ora fanno passare il messaggio di un tentativo di rapimento con richiesta di riscatto, finito poi male; in realtà il Console era certamente a conoscenza di quello che tutti i giorni accade nel Kivu ed era uno dei pochi bianchi capace davvero di amare quella popolazione.

Era pronto a denunciare, ed è stato fatto fuori dalle formazioni militari che occupano il confine tra i due Stati. Il Congo, del resto, è stato il teatro del massacro tra Hutu e Tutsi: la nostra informazione filtrata ci ha sempre parlato di un genocidio a senso unico, facendo passare gli Hutu come i cattivi e i Tutsi, che non a caso hanno vinto con l’appoggio delle forze occidentali, come i buoni. Ma le perdite maggiori, in proporzione, le hanno avute gli Hutu. Eppure in Congo esistono sacrari dei morti Tutsi, mentre gli Hutu sono stati dimenticati. Quello che molti non sanno è che ancora oggi, come ai tempi dei Faraoni egiziani, accade in Ruanda che si opera una sterilizzazione delle donne Hutu e negli ospedali è alta la percentualità di bambini Hutu che muoiono durante il parto. Sarà un caso?”.

Don Claudio Rubagotti conosce molto bene Giusy Agosti, che fa parte del gruppo di laiche consacrate e che per 20 anni ha vissuto la realtà del Kivu, a Bukavu, proprio sul confine col Ruanda (Bukavu per la precisione è a Sud; Goma – dove Attanasio è stato ucciso – a Nord, ma sempre di zone di confine stiamo parlando). All’epoca (inizi anno ’90) volontaria AVSI di stanza a Cesena, Giusy è in realtà originaria di Cremona, dove oggi vive. “Parto da un dato: i Tutsi erano l’8% della popolazione. Hanno saputo manovrare e manipolare l’opinione pubblica e fatto sembrare che il loro popolo avesse subito 1.5 milioni di perdite. In realtà all’epoca i Tutsi tra Congo e Ruanda erano all’incirca 800mila euro. Sono vite umane, ma in questo caso serve ragionare sui numeri, perché sono cifre che non tornano. Alcuni Tutsi erano al servizio dell’attuale presidente Kagame, oggi a capo del Ruanda dopo l’omicidio di un Hutu, che aveva a suo tempo scatenato una guerra”.

Secondo Giusy l’etnia Tutsi ha un desiderio intrinseco di comando. “Si sono via via avvicinati in Kenya, Uganda, Ruanda e Burundi, mano a mano che la desertificazione, negli anni, è progredita. Arrivavano con le mucche e avevano la meglio sulle popolazioni locali di agricoltori. Questo dice la storia di questo popolo. Ed è necessario questo preambolo per capire che stiamo parlando di una realtà difficile da comprendere per chi non l’ha vissuta. Noi ci accontentiamo della superficie, ma la realtà che sta sotto – non filtrata né manipolata – è molto diversa. Un altro esempio: il 1° novembre 1996 sono riuscita a scappare dal Kivu, mentre infuriava la guerra civile. Sono scappata passando dall’Uganda, poi in Kenya ho contattato i miei famigliari a Cremona, avvisandoli che stavo bene. “Perché, cos’è successo?” mi hanno chiesto: in Italia, la notizia di una guerra civile devastante e sanguinaria, iniziata tre settimane prima, ancora non era arrivata”.

Il Console Attanasio però era davvero amato e ben voluto? “Proprio così, perché si era preso a cuore il popolo e in particolare i più poveri. Questo lo Stato congolese non lo fa mai: pensate che Kinshasa, la capitale, si trova a 3mila km da quelle zone, troppo lontano per intervenire in caso di soprusi. Il Console Attanasio è stato ucciso dall’Armata Ruandese, in Congo lo sanno tutti: questo perché i Tutsi di questo Stato vogliono annettere quella zona del Kivu che è molto ricca di Coltan e minerali.

Il Ruanda, non a caso, è il più grande Paese del Centro Africa esportatore di ricchezza del sottosuolo, ma porta avanti una politica senza scrupoli, tanto è vero che in passato ha ucciso anche un ingegnere italiano. Ricordatevi che il Console Attanasio è stato ucciso mentre tornava dal Kivu, non mentre vi si recava: il timore è che portasse notizie scomode, per questo è stato fatto fuori. Come un testimone fastidioso. E lo stesso dicasi per il procuratore che stava indagando sulla sua morte, ucciso con le medesime modalità e sulla stessa strada due settimane fa”.

Giusy rivela altri particolari della sua esperienza. “A Radio Vaticana lavorava un sacerdote di origine Tutsi che rigirava un po’ le notizie come voleva. Quando un Padre Saveriano, che era stato in missione in Congo e dunque conosceva quelle zone, intervenne in radio per dire la verità e raccontare ciò che aveva visto, fu fonte di scandalo. A Ginevra, presso le Nazioni Unite, la persona che aveva in mano la pratica dei rifugiati Hutu era un Tutsi: questo perché parliamo di una etnia che ha il complesso del comando. Come quando, nella mia casa di Cesena, le lettere che giungevano dall’Africa puntualmente sparivano dalla mia cassetta della posta, perché volevano controllare tutto, anche a distanza”.

Come si collegano la diatriba Hutu-Tutsi all’omicidio di Attanasio? “Hanno un minimo comune denominatore: l’incapacità di fornire un’informazione corretta all’Occidente, dove le notizie arrivano distorte e a piacimento. Quando ho saputo della morte del Console e ho sentito parlare di riscatto o addirittura di fuoco amico congolese, ho subito capito che era stata venduta al mondo una versione di copertura”.

Giovanni Gardani 

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