Opinioni

Dal passato l'unica via per il progresso. I musei del fiume e l'eremita del Po

Tanti piccoli musei, che tra la ruggine e la polvere, custodiscono i tesori del passato. Potranno essere risollevate un giorno, se insieme impareremo a credere, come Verdi, che tornando al passato costruiremo il nostro progresso

Il Grande fiume restituisce sempre pagine di storia. Ne è lui stesso un giacimento prezioso e permanente. Ci sono i musei, come quelli di Monticelli d’Ongina e di San Daniele Po, di Zibello e di Torricella del Pizzo, di Boretto, Revere e Felonica per citarne alcuni.

Tutti scrigni preziosi di un passato, che è il nostro, costruito, vissuto e sviluppato dai nostri padri e dai nostri nonni. Chissà che un giorno non si riesca a metterli tutti insieme, creando una grande rete interregionale dei musei del Po, per uno sviluppo comune e unitario dei nostri territori.

La rinascita del Paese passa anche attraverso questi progetti condivisi, per crescere e ripartire tutti insieme. Potrebbe essere anche l’occasione per la creazione di nuovi posti di lavoro per giovani ambiziosi, pieni di idee, che non vogliono abbandonare queste terre ma, anzi, le vogliono vivere e far vivere, scommettendo su potenzialità che sono soltanto da cogliere.

Credendoci, prima di tutto. Siamo in una società in cui, purtroppo, spesso si parla molto e si agisce poco. Gli scaffali di tanti Enti sono pieni di idee e progetti, molti dei quali finiti a far polvere; ritenuti magari belli, interessanti, fattibili, ma mai attuati.

I nostri nonni, quelli che sul fiume davvero hanno passato la loro esistenza traendone fonte di vita, che è sempre meglio far parlare i fatti, e non la bocca, far muovere le braccia e non la lingua, perché l’operosità è meglio del tanto blaterare.

Spesso, e forse non poteva essere altrimenti, tante idee sono finite nelle mani degli incravattati dal deretano piatto, quelli che girano col cappio al collo (i soliti benpensanti leggano “cravatta”), che hanno messo l’ambizione personale sopra ogni cosa e vivono di continui paroloni e frasi fatte solo per attirarsi intorno telecamere e taccuini, col fine primario e unico di qualche voto in più, per un’unica meta: quella della poltrona dal velluto rosso. Quella che a me, abituato a sedermi su tronchi rinsecchiti con un filo d’erba in bocca, darebbe l’orticaria e altre cose che non si possono scrivere per decenza.

Per costruire il futuro dobbiamo guardare al passato, alle opere di coloro che ci hanno preceduti. Gente che parlava poco e faceva tanto, senza bisogno di finire su qualche rotocalco e nemmeno sapeva la strada per raggiungere il velluto. A noi hanno sempre fatto comodo le seggiole impagliate, quelle costruire col sudore ed i saperi dei nostri nonni.

C’è stato un sindaco, in quel di Polesine Parmense, che quando era ora di andare a batter cassa (come si dice da queste parti) andava di persona nei cosiddetti Enti competenti. Non aveva alcun cappio al collo e nemmeno il vestito buono. Spesso si è sentito dire “guardi oggi siamo molto impegnati. Passi un’altra volta”. Lui non si scomponeva e si metteva in sala d’aspetto. La sua risposta era sempre la stessa: “non si preoccupi, faccia le sue cose, io mi metto lì. Vedrà che prima di sera, cinque minuti per me li trova”.

Non è mai tornato a mani vuote, mettendo sempre il bene comune, quello della sua terra, davanti a tutti e a tutti: anche al suo partito. Anche questi sono patrimoni dei nostri borghi baciati dal fiume. Bisognerebbe costruire delle “Case della memoria” in cui custodire, tutelare e far conoscere questi valori e queste pietre miliari del nostro passato.

C’è poi un museo a cielo aperto, che è quello offerto dai grandi spiaggioni del Po. Dai più sconosciuti (e forse è meglio così). Certamente non sono le spiagge di Riccione o Monterosso. Ma sono miniere di tanti tesori che oggi possiamo ammirare, in bella vista, nelle bacheche di quei musei nati dalla sapienza, dalla passione e dalla capacità degli uomini e delle donne del fiume.

E’ di questi giorni di metà marzo, colorati e profumati dai primi fiori di campo, un nuovo ritrovamento. Sullo spiaggione di Stagno di Roccabianca, il fiume ha restituito i resti di una vecchia imbarcazione. Forse, per molti, nient’altro che una “carcassa” ormai inservibile rimasta sepolta nelle sabbie, che oggi non ha nulla da dire. Invece non è così. Quell’intreccio di tavole di legno e chiodi arrugginiti è frutto, e testimonianza, dei preziosi saperi di un tempo. Tra quei poveri resti vivono, e sopravvivono, le memorie di coloro che del fiume, e sul fiume, hanno vissuto.

Saranno gli storici, non certo io, a stabilire di cosa si tratta esattamente. Chissà poi se qualcuno provvederà al suo recupero, a beneficio di tutti.

Tra quei vecchi resti il vento della primavera sfoglia, come d’incanto, le pagine di un libro, che è quello degli antichi mestieri del Po. Un passato fatto di barcaioli, pescatori e pontieri, ma anche di mugnai che abitavano insieme alle loro famiglie nelle capanne costruite su barconi saldamente ancorati alle rive del Po.

C’erano poi i carrettieri, gli scariolanti e i cavatori di sabbia e ghiaia, gli operai impegnati nella costruzione delle difese arginali, i custodi delle chiaviche, i boscaioli e chi viveva di caccia, i maniscalchi, i calafati, i vecchi contadini, i calzolai e i cordai, gli impagliatori di sedie, gli scopai e i falegnami. Arti più che semplici mestieri, in molti casi scomparsi. Chissà che la rinascita delle nostre terre non possa passare anche attraverso la ripresa di attività perdute. Una scommessa impossibile o un asso nella manica?

“Torniamo all’antico e sarà un progresso”: è una delle frasi celebri che ebbe a pronunciare, a suo tempo, il maestro Giuseppe Verdi. Non certo uno qualunque, ma un genio, non solo musicale, un profeta e un precursore per diversi aspetti, un generoso per le sue opere più belle. Se lo disse lui non c’è da fidarsi, ma occorre soprattutto la consapevolezza che in quelle poche parole è racchiusa la chiave per diverse soluzioni.

Il progresso, in una “pillola”, passa anche attraverso il recupero di quel semplice relitto che, tra i silenzi di Stagno, tra l’Emilia e la Lombardia, è emerso all’improvviso, come a voler indicare, in tempi difficili, la via del domani che parte dal passato.

Ho raggiunto ai piedi, come sempre quei vecchi resti, e li ho osservati a lungo. Nella mente, una dopo l’altra, sono passate le immagini, che in tante occasioni ho visto e sfogliato, dei vecchi mestieri del Po e d’istinto ho guardato all’orizzonte, intravedendo una speranza e una luce per il futuro che è alle porte.

Poi, un passo dopo l’altro, ho raggiunto di nuovo i nostri villaggi e ho osservato le tante saracinesche di vecchie botteghe purtroppo chiuse da tanto, troppo tempo. Tanti piccoli musei, che tra la ruggine e la polvere, custodiscono i tesori del passato. Potranno essere risollevate un giorno, se insieme impareremo a credere, come Verdi, che tornando al passato costruiremo il nostro progresso.

Paolo Panni – Eremita del Po

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