Cronaca

San Giovanni, scuola, scrive l'adulto: "Possibilità di contagio pressoché nulla"

È comprensibile la rabbia di un genitore di fronte a questi fatti, ma allo stesso tempo non bisogna dimenticare che anche noi docenti, non solo i bambini, ogni giorno siamo esposti a rischio e spesso ci troviamo a dover ricostruire situazioni sospette, per comunicazioni parziali o tardive da parte dei famigliari

SAN GIOVANNI IN CROCE – Ci è giunta una lettera da parte dell’adulto coinvolto nella vicenda della scuola di San Giovanni esposta ieri. Una lettera che pubblichiamo integralmente.




Gentili redattori, vi scrivo come soggetto coinvolto personalmente nella vicenda dei bimbi in quarantena a San Giovanni, pubblicata dal vostro giornale il 13/03. Ci tengo ad esporre la mia versione dei fatti in risposta a quanto riportato, per dare ai lettori una visione più completa dell’accaduto.

Innanzitutto la comunicazione della scuola non è stata di 12 giorni dopo l’accertamento della positività dell’adulto (come si presume dall’articolo), ma di 12 giorni dall’ultimo contatto dell’adulto con alcune classi.

Parlo in prima persona. Non mi sono ammalato, con certezza medica, di covid a fine febbraio. Presumibilmente sono stato a contatto con un famigliare (non convivente) positivo il 27/02. Ho avuto notizia della sua positività il 02/03. Lo stesso giorno ho avviato da subito la procedura di quarantena come contatto in possibile incubazione, avvertendo la scuola e il mio medico.

Ci tengo a sottolineare che ATS, con le disposizioni in vigore al 02/03 non mi aveva valutato come “contatto stretto”, ma solo “contatto di contatto”, quindi non mi avrebbe posto in quarantena, né fatto il tampone. Ho dovuto ricorrere al mio medico di base, che si è assunto la responsabilità di considerarmi “contatto stretto” e avviare una quarantena osservativa. Il medico, così come altri medici di base di altri miei famigliari coinvolti, essendo in possibile incubazione, non ci hanno fatto un tampone molecolare o antigenico subito, perché poteva dare un risultato falso, ma nel mio caso mi è stato fissato tampone molecolare l’08/03. Nel mentre, il 05/03, dopo più di 72 h dall’inizio della mia quarantena, ho iniziato ad accusare il sintomo del mal di gola.

Rispetto alle disposizioni in vigore al 02/03, le classi erano state tutelate, perché non avevo avuto contatti con l’intero istituto da più di 48 h dall’insorgere dei sintomi. È bene inoltre ricordare che a scuola sono in atto ogni giorno severe misure di igienizzazione e prevenzione. Io stesso ho sempre indossato mascherina ffp2.

Ho ricevuto notifica del risultato del tampone, che si è rivelato purtroppo positivo, la sera del 09/03. Il giorno dopo ATS mi ha contattato direttamente, a cui è seguita una serie di chiamate. Rispetto all’inizio della mia quarantena osservativa e alla prima valutazione di ATS, il 04/03 sono purtroppo cambiate le disposizioni sanitarie e ATS ha voluto ricostruire i miei contatti nei 14 giorni precedenti l’insorgere dei miei sintomi.

Da questo momento si è creata una situazione paradossale. Hanno voluto ricostruire i miei contatti fino al 19/02, ben otto giorni prima della mia esposizione ad un caso positivo.

Ci sono state, quindi, classi, che ho visto l’ultima volta il 23 e il 24/02 che hanno ricevuto comunicazione della loro quarantena il 12/03, che la stessa era già conclusa e che dovevano sottoporsi a tampone.

In questi casi la probabilità che eventuali positivi siano collegati al mio caso è pressochè nulla. Ed ora, però, se ai tamponi di fine quarantena, alcuni bambini malauguratamente risulteranno positivi, secondo la comunicazione che anche il vostro giornale ha veicolato, queste positività saranno immaginariamente collegate ad un unico caso, quando la realtà scolastica è ben più complessa. 

È comprensibile la rabbia di un genitore di fronte a questi fatti, ma allo stesso tempo non bisogna dimenticare che anche noi docenti, non solo i bambini, ogni giorno siamo esposti a rischio e spesso ci troviamo a dover ricostruire situazioni sospette, per comunicazioni parziali o tardive da parte dei famigliari. Non è l’allarmismo che aiuta, ma una solidale collaborazione. 




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