Cultura

Colorno, Christian Stocchi, Cesare Conti e la storia di Ponte Po dai documenti provinciali

Il saggio è stato pubblicato sulla pagina ufficiale del primo cittadino di Colorno in due puntate. Lo abbiamo ripreso da lì perché è un pezzo di storia - importante - delle nostre terre. Terre meticce, terre di confine in cui siamo tutti un po' cremonesi, un po' parmensi e un poco pure mantovani

COLORNO – La storia di Ponte Po, quello che unisce la sponda cremonese alle lande parmensi. La storia di quel ponte che per tanti anni ha accompagnato le vicissitudini del colornese e del casalasco e che per 637 giorni è stato confine invalicabile se non a piedi o in bici, se non da quelli che giocoforza lo hanno dovuto comunque attraversare per lavoro, per studio o per passione.

Un gran bel lavoro quello portato a termine da Christian Stocchi, sindaco di Colorno e da Cesare Conti. Le fonti utilizzate sono state quelle della Provincia di Parma, in particolar modo ‘Le opere della Provincia nell’ultimo decennio. Amministrazione Provinciale di Parma. Anno 1960′. Bello anche l’apparato fotografico, facente per la quasi totalità parte dell’archivio della stessa provincia di Parma.

Il saggio è stato pubblicato sulla pagina ufficiale del primo cittadino di Colorno in due puntate. Lo abbiamo ripreso da lì perché è un pezzo di storia – importante – delle nostre terre. Terre meticce, terre di confine in cui siamo tutti un po’ cremonesi, un po’ parmensi e un poco pure mantovani. Distanti dai capoluoghi, più vicini tra le sponde a condividere tante parti di storia di queste terre lambite dal fiume, dall’umido caldo feroce d’estate e dalle coltri di nebbie fitte invernali.

La storia di Ponte Po inizia così.

Nel 1951 l’Amministrazione Provinciale di Parma prendeva accordi con Cremona per impostare l’opera che trascende i limiti provinciali: il ponte sul Po. Superate innumerevoli difficoltà burocratiche, il ponte è inaugurato il 24 maggio 1957.

L’importanza del ponte riguardo all’economia dell’intera Italia centro settentrionale è immensa. Le comunicazioni tra Parma, Brescia e il Garda sono più veloci: lo sviluppo dell’industria e dei commerci trarrà ulteriore incremento. L’opera doveva comprendere, un tronco di strada provinciale prima dell’argine maestro in territorio parmense con sottopassaggio alla linea ferroviaria Parma Brescia; un tratto di strada su rilevato in golena; il ponte vero e proprio; un tronco di strada provinciale oltre l’argine maestro in territorio cremonese. In tutto 3,6 km circa.

Tecnicamente, l’ossatura portante stradale come scrive l’ing. Visioli, ingegnere capo dell’A.P. è in cemento armato precompresso. Molta curiosità suscitò la costruzione dei terrapieni in terra stabilizzata per la quale ci si è serviti di un’attrezzatura meccanica moderna e completa, con l’ausilio dei laboratori da campo: sistema di lavoro, questo, che va estendendosi nella costruzione dei rilevati, eliminando l’inconveniente dell’ assestamento dei rilevati stessi.

Le colonne portanti del ponte sono infisse nel sottofondo sabbioso del fiume e raggiungono una profondità tale da consentire la portanza della struttura del ponte con l’attrito che si manifesta tra la superficie esterna in calcestruzzo delle colonne e la sabbia compatta del sottofondo“.

La seconda parte: “Nel 1951 l’ Amministrazione Provinciale di Parma con quella di Cremona inizia a prendere accordi per la progettazione del ponte sul Po.

Ironia del destino: nell’autunno di quell’anno un’alluvione, per allora di portata notevole, essendo molto più bassi di oggi gli argini maestri, devastò l’area di bassa est comprendente anche i territori dei Mezzani fino a Colorno centro e verso Gainago.

Il dopo alluvione fu un periodo di forte impulso per la ripresa, anche economica, per un territorio che allora fondava il lavoro principalmente nell’agricoltura e nell’allevamento per la produzione del latte per il parmigiano reggiano.

Dal governo italiano di allora arrivò una grande spinta per sviluppare il progetto e la costruzione di un ponte stabile a definitiva sostituzione dell’ultimo ponte in chiatte e barche di cemento sul Po, ricostruito nel dopoguerra grazie ai fondi del Piano Marshall così come il ponte della ferrovia.

Il ponte in cemento armato precompresso, con pile formate da 4 colonne in calcestruzzo armato (Benoto) infisse per diversi metri di profondità nel sottofondo sabbioso del fiume, per l’ epoca fu un’opera colossale.

Le colonne dal loro estremo superiore, su cui poggiano i grandi mensoloni a sbalzo, fino all’estremo inferiore, misurano m. 40 di lunghezza, raggiungendo la quota di m. 10 sotto il livello del mare…

Negli anni molti lavori di consolidamento hanno cercato di fermare i segni d’usura e d’invecchiamento di una struttura tuttora importantissima: la chiusura di pochi anni fa ha reso bene quanto sia fondamentale avere in buona salute il ponte per raggiungere la sponda lombarda.

Quella di Ponte Po è una storia che continua. Seppur segnato inevitabilmente dall’inceder del tempo, seppur garantito per non più di una decina d’anni (qualcuno in meno), seppur in periodo Covid al momento ci passi solo chi lavora dall’una o dall’altra parte è parte della storia di questa terra. 70 anni della sua storia.

N.C.

 

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