Gussola, quel biotrituratore fuori orario diventato una condanna per una famiglia
“Arpa due anni fa - spiega la signora - fece un controllo a sorpresa e scoprì che la ditta aveva sforato sia come decibel sia come tempistica concessa per questa operazione, pagando così 1800 euro di multa. La stessa Arpa ha di fatto confermato, in questo modo, che la nostra protesta è legittima”.

GUSSOLA – Una situazione che va avanti da tanti anni, una decina per la precisione, passando da incartamenti, diverse amministrazioni e pure certificati da parte di Arpa che darebbero ragione alla famiglia in questione. La quale, tuttavia, al momento ancora non riesce a trovare una soluzione al problema, che arriva a coinvolgere pure la salute. La signora Annarita Pelizzoni ha 79 anni, da 50 anni vive a Gussola, a pochi passi dalla sede di una ditta di autotrasporti e lamenta che la stessa, al di fuori dell’attività principale, da diverso tempo ha iniziato a lavorare materiale proveniente dal legno mediante il biotrituratore. Senza però rispettare i limiti imposti a livello di tempistiche consentite e di inquinamento acustico, considerando inoltre l’odore nauseabondo che deriva da queste operazioni.
“Io la mascherina l’avevo già prima del Covid – spiega la signora Annarita, finita anche in ospedale per problemi respiratori legati all’asma -. Purtroppo le segnalazioni fatte agli organi competenti sono ormai una ventina ma nulla in 10 anni è cambiato”. Da un lato i mezzi pesanti, con 90-100 camion che tutti i venerdì fanno rifornimento di gasolio; dall’altro come detto il problema più pressante e urgente, quello dei pulviscoli liberati dalla triturazione del legno, che diventano problematici per chi, come la signora e il marito, manifestano poi allergie e a volte insufficienza respiratoria. “Arpa due anni fa – spiega la signora – fece un controllo a sorpresa e scoprì che la ditta aveva sforato sia come decibel sia come tempistica concessa per questa operazione, pagando così 1800 euro di multa. La stessa Arpa ha di fatto confermato, in questo modo, che la nostra protesta è legittima”.
Passi per la piscina che, a detta della famiglia, si riempie di trucioli e materiale nero rimacinato, derivante proprio dal legno triturato, e passi pure per i fari che agevolano l’attività notturna dell’azienda, entrando però direttamente in casa dalla finestra dell’abitazione e creando così ulteriori fastidi, ma il disagio più grave è legato alla salute, naturalmente. “La precedente amministrazione aveva promesso di vigilare, ma poco ha fatto, nonostante il rumore delle operazioni dei camion e dei mezzi al lavoro si sentisse fino in piazza Comaschi, a due chilometri di distanza; quella attuale non mi ha ricevuto lo scorso giugno. Così ho pensato di rivolgermi ai media, anche perché – spiega Annarita – il geometra comunale ha detto che non esistono permessi di stoccaggio a macinazione e in ogni caso queste attività sono sottoposte a un limite di 4 ore per tre volte al mese, con l’obbligo imposto da Arpa di creare barriere arboree in corrispondenza dei ricettori, per evitare la diffusione di micro particelle”.
Il nulla osta di Arpa, peraltro, risalente addirittura al 2011, non prevede l’attività di triturazione tronchi e di scarti di legno, che pure la ditta risulta avere intrapreso. Una questione annosa, come visto, che rivolgendosi ai media la famiglia Pelizzoni prova se non altro a fare conoscere, in cerca di una soluzione. Restiamo naturalmente a disposizione per l’eventuale replica dell’azienda o del comune.
G.G.