Concorso Eridanos, il temporale di Giampietro 'Geppa' Lazzari vince il primo premio
Geppa è una creatura a cui non sfugge nemmeno uno soffio di vita, lui respira ascoltando, piange suonando e canta scrivendo
GUSSOLA – Giampietro Lazzari vince, col racconto “Temporale”, il primo premio della quattordicesima edizione 2020 del concorso letterario nazionale ERIDANOS, organizzato da Arcibassa Gussola col patrocinio del Comune stesso e della provincia di Cremona.
Geppa, come tutti lo conoscono, non è nuovo a premi e riconoscimenti, già nel 2013 all’interno del medesimo concorso riceve la segnalazione per il racconto “L’Erminia e il Mare” e nel 2015 vince il primo premio con “Il Salam Day”; partecipa nel 2017, 2018 e 2019 al concorso BASSA IN LETTERATURA a Campagnola Emilia dove arriva per due volte secondo e una volta terzo.
Geppa non è uno scrittore qualunque, è la storia e la memoria di casa nostra, il sentimento e la riflessione che elevano senza mai portarci troppo lontano dalla bassa, senza sradicarci. Innamorato delle storie, si diverte ad ascoltarle e a raccontarle finché, una decina di anni fa, gli balena che avrebbe potuto anche scriverle e si mette alla prova.
Inizia scrivendo di piccoli accadimenti di vita quotidiana, divertenti o meno, per lui significativi sia nella gioia che nel dolore, racconta della realtà a noi vicina ossia il paese, le compagnie storiche, le abitudini, i personaggi, e quando si tratta di storie personali, siano da lui vissute in prima persona o come spettatore, le troviamo quasi sempre calate nel nostro contesto.
Molto belli i passaggi tra passato e presente, il racconto di ciò che aravamo partendo da un episodio particolare, da un luogo d’incontro quale può essere un bar, una cantina, da quel giro in vespa o dal temporale che in estate ci coglieva così, all’improvviso, per poi fare lo scatto su come siamo diventati oggi. Può sembrare un banale déjà-vu ma dentro vi è intensità di sentimento, di emozioni, vi è una purezza quasi fanciulla che disarma e spoglia, che toglie le scaglie inquinate della nostra ormai malefica e maleodorante corazza.
Un Guareschi ritrovato nel suo saper riportare a galla le belle cose dimenticate: l’amicizia, la semplicità, la complicità, l’altruismo, la gogliardia, qualche eccesso, che guai se non ci fosse stato; ma anche il ricordo, la memoria e i valori che furono dei nostri padri e dei nostri nonni, nelle storie sentite o viste da bambino, quelle che gli hanno reso la pelle nuda e viva sulla quale nulla scivola ma si ferma e vi sprofonda restituendogli un misto di memoria e nostalgia paragonabili all’odore del pane caldo. Negli anni il suo stile così vicino al realismo muta e si evolve in una miscellanea armoniosa e ben di dosata di vero e verosimile.
Gli ultimi racconti, pur partendo dal vero, nascondono anche qualcosa di inventato difficile da scorgere subito, perché inserito in riflessioni, elucubrazioni e fantasticherie un po’ meno rustiche e più mature; lo stile è meno descrittivo e regala al lettore un amarcord nel quale perdersi a sorridere e a pensare. I racconti ad oggi sono circa una trentina i primi pubblicati nel libro “TI RACCONTO UNA STORIA” reperibile sul sito Feltrinelli, altri pubblicati su testate locali, alcuni, di cui è più geloso, concede lettura solo a pochi intimi e sicuramente qualche altro mai uscito dal cassetto. Geppa è una creatura a cui non sfugge nemmeno uno soffio di vita, lui respira ascoltando, piange suonando e canta scrivendo.
Temporale
A volte in estate la pioggia ci coglieva così. Le nuvole si avvicinavano improvvise e scaricavano a terra la loro forza fatta di gocce spesse.
Mio padre ed io, piccolo, indaffarati in qualche attività nelle vicinanze, abbandonavamo tutto lì e correvamo sotto il grande portico della cascina, come a rifugiarsi in un ventre materno. Ed in effetti quel portico gli somigliava Accogliente per uomini e cose che necessitavano di riparo dal freddo invernale o dalla calura estiva, e come pancia che dava vita, conduceva a nuovi mondi: quello delle stanze dove si abitava e del fienile rialzato.
Quella cascina oggi non è più. La sua demolizione fece posto alla nuova costruzione sul finire degli anni settanta. La struttura, tipica della campagna lombarda, era antica. Mio bisnonno l’acquistò nel primo decennio del novecento ma già doveva esistere da molto. L’aia grande circondata dalle spalliere di viti e poi la sua facciata nella quale dominava, sovrastata da un volto, la porta centrale. A lato, inserito nel muro, il ferro di invito alla pulizia delle suole. Poi, pavimentato in pietre di argilla cotta ormai inscurite, l’aprirsi dell’andito. Era questi una sorta di limbo. Un luogo, più che ad accogliere, deputato per pudore a fare stazionare chi non fosse ritenuto così vicino alla famiglia tale da consentirgli l’accesso agli ambienti successivi. Sulla sinistra, la stanza dove si conduceva la gran parte dell’esistenza, quella col grande camino, la stufa a legna con il piano a cerchi concentrici in metallo e la tavola massiccia ricavata – mi si diceva sempre – da un tronco donato dal fiume. Alla parte opposta un locale dove venivano conservate le sementi per l’ortaglia ed a lato un angusto passaggio che conduceva alla stia delle galline che al calare della sera vi venivano ricoverate; e pure loro parevano facessero parte della famiglia. Si accedeva al piano superiore tramite una scala dai gradini ripidi posta in fronte alla porta di ingresso, contornata da una men che semplice corrimano in ferro. Qui trovavano posto due piccole camere particolarmente basse; una dei nonni e l’altra di mio padre giovane. Entrambe con i loro letti austeri e altissimi circondati da un essenziale mobilio. Vi era poi una terza stanza dove veniva ricoverato il mais sgranato, la pala di legno a forma di cucchiaio appoggiata ad una delle pareti, vestite della sola immagine di Sant’Antonio circondato dai suoi animali. Il fienile stava dall’altra parte; luogo ove le gatte davano alla luce i piccoli e spazio per giochi polverosi tra fieno e balle di paglia.
Nelle notti agitate o che precedono eventi importanti qualcuno per prendere sonno conta le pecore. Io ritorno in quella casa e in quelle stanze. Riascolto il pavimento risuonare dei miei passi e sento l’odore del camino. Salgo ancora quella scala e provo l’affanno dei gradini. Entro nella stanza del grano e mi lascio cadere nel mucchio dei chicchi che prende la mia forma. E quel ripasso mi mette calmo e mi riconcilia col mondo.
Al cadere delle prime gocce mio padre prendeva una sedia di legno impagliato, ed una più piccola, costruita da lui apposta per me. Anch’essa della stessa forma, ma per così dire in miniatura, tanto che si sarebbe detto che la piccola fosse figlia della grande, come io lo ero di mio padre.
Si sedeva cavalcioni con le mani conserte sullo schienale. Io uguale, al suo fianco, sulla mia. Accendeva una sigaretta e fumava guardando avanti a sé, allo spazio trafitto dalle gocce che scendendo dal cielo basso come coltelli, si trasformavano in sbuffi sulla polvere del cortile.
Guardavamo entrambi ad un’indefinita lontananza, ma con sentimento diverso. Da quel punto di osservazione – dal momento che era al tempo quella era periferia del paese – la vista era occupata solo dalle strisce di colore dei campi e dal binario ferroviario lontano. Era un guardare di pianura. Di quelli che chi non conosce le genti della bassa avrebbe definito un guardare nel nulla poiché qui l’orizzonte non è mai interrotto, fino alla fine del mondo, e qualunque cosa si osservi sembra che si guardi al vuoto.
Gli sguardi degli uomini sono differenti. Prendono forma a seconda di dove conducano le loro esistenze. I montanari guardano in alto, e sono spaventati dall’orizzonte piatto perché la mancanza delle cime li disorienta. Gli uomini del mare guardano l’acqua per scrutare le mutazioni del loro compagno mutevole, poiché le sue increspature sono veggenti di aria e tempo. Gli uomini della pianura guardano al confine tra terra e cielo, in un luogo sempre troppo lontano e di nessuno.
Anche io, piccolo, in quel momento – per emulazione – scrutavo l’orizzonte, ma con sentimento interrogativo. Mi sforzavo di capire come mai i grandi tendessero sempre a guardare in lontananza ed io no. Perché lontano? Cosa c’era, lontano, di così bello? Io proprio non capivo. Il vicino era immediato a portata di mano e già da solo conteneva qualcosa di giocoso e di entusiasmante. A solo pochi metri da me già potevo trovare un sasso dalle striature colorate, un legno che poteva diventare sciabola, un cuscinetto a sfera perso da un trattore, una lucertola guizzante. Era già tutto lì, e non c’era bisogno veramente di cercare più in là per essere felici.
Eppure quello sguardo nel vuoto doveva avere un significato, era evidente. Chissà – pensavo – forse mio padre poteva vedere cose che io non riuscivo a comprendere e belle anch’esse. Ma io non ne avevo parte. Era come se sapessi dell’esistenza di un gioco di cui però mi era celata la natura e il nascondiglio.
A volte le gocce si facevano grandine e le palle bianche coprivano la terra battuta del cortile. Mi voltavo e vedevo mia nonna che, da dietro una finestra aperta, corrugava la fronte appena nascosta dal fazzoletto nero, preoccupata come sempre era stato, quando la grandine poteva voler dire un anno con un po’ più di miseria.
Dopo poco, svelto come era arrivato, il temporale se ne andava. Abbandonate le sedie ritornavamo a finire ciò che avevamo lasciato.
L’improvviso rumore di un’anta sbattuta da una ventata potente mi ha fatto distogliere lo sguardo dallo schermo. Dalla finestra aperta vedo nuvole minacciose che si avvicinano veloci.
Fra un po’ sarà temporale. So che prenderò la sedia, mi metterò sotto il portico e guarderò l’orizzonte, seduto a cavalcioni.
ALTRI PREMI ASSEGNATI
Sezione GREEN
1° GRASSELLI ANDREA con l’opera “CLOTO, LÀCHESI e ATROPO”
2° CANGEMI MATTIA con l’opera “C’È POESIA”
1° Segnalato CASIRAGHI GIOIA con l’opera “WELCOME TO THE NEW GAME”
2° Segnalato DE SOUZA LIVIA con l’opera “RICAMI DI GHIACCIO”
Sezione A Poesia in lingua italiana
1° GIOVELLI M. FRANCESCA con l’opera “LA VITA CHE SCORRE”
2° ROS NICOLINA con l’opera “HEVRIN KHALAF”
1° Segnalato BUONO NUNZIO con l’opera “ADESSO CHE NEVICA”
2° Segnalato BALDINU STEFANO con l’opera “UN FOLIAGE IMPERFETTO”
Sezione B poesie in dialetto
1° BALDINU STEFANO con l’opera “LA FOTOGRAFA E LU SILENZIU”
2° ROS NICOLINA con l’opera “SOT SERE”
1° Segnalato BERTOLOTTI ANNALISA con l’opera “ÊREN IN SÈTT”
2° Segnalato GIZZI GIOVANNA con l’opera “LU SEGGlARE”
Sezione C racconti brevi
1° LAZZARI GIAMPIETRO con l’opera “TEMPORALE”
2° BERTOLOTTI ANNALISA con l’opera “LA PROFEZIA DEL CARDELLINO”
1° Segnalato ANDREANI GABRIELE con l’opera “L’INFANZIA DEL CUORE”
2° Segnalato PISI PAOLO con l’opera “RISVEGLIARSI IN ZONA ROSSA”
PREMIO SPECIALE ALLA CLASSE 4° A della Scuola Primaria “MARCO POLO” di S. ANGELO a LECORE (FIRENZE) per la nutrita e pregevole partecipazione
Giovanna Anversa