'Fate attenzione, il virus c'è ancora' Maurizio Feraboli finalmente a casa dopo 160 giorni di ospedali
La sua vicenda è comunque da considerare a lieto fine, visto quello che è successo a tanti transitati nelle terapie intensive, e accetta di raccontarcela per lanciare un monito a chi sottovaluta il virus.
Il sorriso, dopo 5 mesi e mezzo di lontananza da casa e dalla famiglia. Per Maurizio ‘Icio’ Feraboli, 54 anni, volto conosciuto a Cremona anche per la sua passione sportiva (ex giocatore di basket e assiduo frequentatore del PalaRadi), questa è una sorta di rinascita dopo un calvario di 160 giorni tra diversi ospedali e clinica di riabilitazione. E’ guarito dal Covid, questo sì: ma molto resta da fare per recuperare almeno una parte della vecchia normalità. A ricordargli incessantemente quello che ha passato sono i dolori della piaga da decubito non ancora rimarginata e un doloroso deficit a un nervo delle gambe che gli impedisce una completa estensione del piede. Per questo, quando si alza dal letto, deve usare un tutore elastico che gli consente la deambulazione.
La sua vicenda è comunque da considerare a lieto fine, visto quello che è successo a tanti transitati nelle terapie intensive, e accetta di raccontarcela per lanciare un monito a chi sottovaluta il virus: “Vorrei che la gente si rendesse conto che non tutti sono sintomatici e la malattia se colpisce, colpisce forte. Io ne ho visti tanti uscire nei sacchi neri, persone che avevo accanto in terapia intensiva. Questa cosa mi ha cambiato la vita e sono contentissimo di averla superata. Ora si vive giorno per giorno, mai, prima di adesso, avrei pensato di poter stare in ospedale per 5 mesi e mezzo”.
Tutto comincia agli inizi di marzo, il giorno 7, con qualche linea di febbre. Maurizio prende una settimana di malattia sul lavoro, ma durante quel periodo sviene due volte. La prima volta non ci dà molto peso, di Covid se ne parla ma non ancora in termini drammatici. Al secondo episodio però, viene chiamata l’ambulanza che lo porta in ospedale, dove forse la macchina organizzativa non aveva ancora aggiustato il tiro sulla prassi da adottare. Infatti, non gli viene eseguito il tampone, gli viene fatto un esame del sangue e consigliato di tornare a casa. La situazione non migliora: “La febbre – ci racconta – non passava e la respirazione non era come al solito. Consulto il medico di base che mi prescrive una radiografia e la saturometria da cui si vede che le cose vanno male. A quel punto, il 14 marzo, vengo ricoverato. Per due giorni sono rimasto in reparto, dove la saturazione non migliorava e vedevo i medici della terapia intensiva che venivano a valutarmi, dicendomi che forse dovevo essere intubato. E’ quello che è successo il terzo giorno: la sera stessa, già intubato, sono stato trasportato al Policlinico di Monza”.
Maurizio fa appena in tempo ad avvertire la famiglia, attonita, poi entra nel limbo della sedazione di cui ricorda pochissimo. “Sono stato intubato per 20 – 25 giorni, adesso non saprei dire esattamente. Poi mi hanno staccato i tubi, ma non reagivo bene e così hanno dovuto intubarmi una seconda volta”. Ai famigliari, costretti in casa a Cremona, non arrivano che i laconici bollettini telefonici: ‘Il paziente è stazionario nella sua gravità”. Erano i giorni in cui i pazienti cadevano come foglie secche dai rami. Maurizio ce la fa, reagisce bene alle cure e finalmente viene il momento di poter essere staccato dai tubi. Viene dimesso il 30 aprile, anche se in condizioni penose: “Non riuscivo a muovere nulla, neanche una mano”. Ora, ormai negativizzato, è trasferito a Cremona Solidale, per la riabilitazione, dove trova un’ottima accoglienza. Ma dura poco, la sorte si accanisce ancora: “Si scopre che due anelli della trachea erano collassati, con conseguente restringimento della trachea. Serve un’operazione, optiamo per l’ospedale di Parma dove per fortuna l’intervento riesce bene e ci resto per altre due settimane”. Quindi, altro passaggio all’ospedale di Cremona e finalmente ancora a Cremona Solidale per iniziare, questa volta definitivamente, il percorso riabilitativo. “Ci sono rimasto dal 19 giugno al 21 agosto, ho trovato un ambiente bellissimo, medici, infermieri, fisioterapisti, operatori eccezionali”.
Il rientro a casa è una rinascita per l’intera famiglia che esce da un incubo, ma la strada è ancora lunga. “Ora sono a letto, diciamo che se non faccio niente sto bene, ma ogni piccolo sforzo è doloroso. Ci vorrà del tempo per poter tornare come prima almeno al 90% e poi ancora dei mesi. Cosa si impara da un’esperienza come questa? Che nella vita occorre avere fortuna. E’ una fortuna non aver contratto il virus, perchè ogni fisico reagisce in modo diverso. Io per esempio non avevo nessuna patologia particolare, ero donatore Avis. In casa mia nessuno si è ammalato come me, forse mia moglie e mia figlia lo hanno contratto perchè avevano il sintomo della perdita del gusto. Ma niente più. La cosa che mi sento di dire è che la gente deve imparare ad essere molto accorta, il virus c’è ancora, lo vediamo dal numero dei contagi che stanno aumentando. Si fa alla svelta a tornare indietro alla situazione di marzo – aprile e bisogna che tutti facciamo la nostra parte”.
gbiagi