Cronaca

L'ultimo saluto a 'Lele' Vecchini: tra calcio, musica e due paradisi

"Su di te neanche una nuvola - ha terminato Elisa, prendendo a prestito uno dei tanti cori da stadio - tu sei sopra queste nuvole, buon viaggio zio Gabriele, ti vogliamo bene".

CASALMAGGIORE – Chissà se esiste per davvero un paradiso dei giusti, se qualcosa c’è al di là del silenzio che resta per chi continua a vivere. Chissà se c’è quel Dio che don Arrigo Duranti ha spiegato prendendo spunto da Lazzaro nelle pagine del Vangelo di Giovanni. C’è chi resta e ricorda, c’è il dolore e l’inquietudine, ci sono le domande senza alcuna risposta. Oggi pomeriggio i familiari e gli amici hanno dato l’addio a Lele, Gabriele Vecchini.

51 anni, un male incurabile che lo ha consumato, un sorriso che non si è mai spento – come ha raccontato nel tenerissimo ricordo dello zio la nipote Elisa – neppure quando il dolore era più forte di tutto. Un male che alla fine ha vinto sulla vita – quella terrena – che poi è l’unica realmente conosciamo. Non aveva voluto comunicare a nessuno quella sua ciclopica battaglia. Lo sapevano i familiari e pochi amici, quelli più vicini. Non aveva voluto preoccupare nessuno mostrando, sino a che ha potuto, solo il suo sorriso lieve, solo la sua maniera di essere e di vivere, sempre con estrema gentilezza.

Lele era il calcio, quello che praticava con il 7 sulle spalle e quella maglia del Real Burag al quale era estremamente affezionato che poi era la stessa delle sfide dei ragazzini, duomo contro borgo. Era un fantasista, di quelli che avevano sempre qualcosa da dare e da inventare, di quelli che in campo spiccavano sugli altri per classe e per capacità. Avrebbe potuto ambire ad altri palcoscenici ma forse gli bastava quello: gli amici, i campi sgangherati, il sudore e la fatica, il dribbling riuscito contro i ‘fabbri’ che popolano le difese delle categorie minori. Lele era il calcio, era la sua Cremonese che seguiva in ogni dove, e in ogni categoria. Sin dai ritiri. Ma Lele era anche la musica. “Mio zio Dj” lo ha chiamato Elisa. Profondo conoscitore di un tempo passato e tutt’ora presente, amante dei The Cure e del dark. Aveva insegnato anche alla nipote cosa significava quel tempo e quel periodo. Facendola avvicinare a un genere per lei distante e facendoglielo apprezzare.

Tanta la gente presente alla cerimonia funebre officiata da don Arrigo Duranti, vicario di Santo Stefano: mamma Ida e papà Gianfranco, la sorella Stefania e la nipote. Gli amici della Baraonda, quelli della musica, i colleghi di lavoro dell’Arix di Viadana, i suoi coetanei e tutti coloro che avevano avuto modo di conoscerlo e di apprezzarlo. “Ogni volta che la morte ci tocca da vicino – ha detto nell’omelia don Arrigo – si risveglia in noi una domanda scomoda, soprattutto se di mezzo c’è una malattia. Quando si incontra la morte ci si chiede cosa ci si aspetta dopo. La domanda è ancor più scomoda in un mondo concentrato sul presente, una domanda inutile in un mondo portato al godimento dell’oggi. E’ Dio stesso che ci dà la risposta: noi non siamo condannati a morte, Dio stesso si fa garante della nostra salvezza. Mentre camminiamo, se c’è la fede, scopriamo di non essere soli. Gesù è resurrezione e vita, lui stesso è passato attraverso la morte. Guardando a Gesù possiamo ritrovare la speranza”.

Alla fine è stata l’infinita tenerezza di Elisa a tracciare un bel ricordo dello zio ‘Peter Pan’. Alla fine della cerimonia lo ha ricordato con alcune strofe di Just Like Heaven proprio dei The Cure. La lezione non è andata perduta. “Caro zio – ha detto Elisa – te ne sei andato all’alba, orario in cui solevi alzarti”. Ha ricordato poi i momenti vissuti, quel mare sempre nei suoi occhi, quello a cui anelava anche dal letto mentre il male se lo stava portando via, le nuotate a Monterosso, la dolcezza “Di quello zio Dj che ascoltava un genere strano e che era orgoglioso di quella maglia dei Casalma 33 giri, che faceva ascoltare la musica. Anima umile, sorriso per tutti, uomo di poche parole ma con un cuore ricolmo di bellezza e di poesia”.

Elisa ha ricordato anche lo zio sportivo, quello che giocava a pallone e non aveva mai smesso e quello che andava in curva a tifare la cremonese, ma è allo zio legato alla musica che è tornata alla fine del delicato racconto. Le parole di Just Like Heaven prima lette in inglese e poi tradotte parafrasate. “Tu tenero e unico, tu sperduto e solitario, tu misterioso come gli angeli danzando negli oceani più profondi, confondendoti nell’acqua sei come un sogno…”

“Su di te neanche una nuvola – ha terminato Elisa, prendendo a prestito uno dei tanti cori da stadio – tu sei sopra queste nuvole, buon viaggio zio Gabriele, ti vogliamo bene”.

Chissà se il paradiso dei giusti esiste davvero. Esiste per chi ha fede e ne esiste uno accennato dai The Cure in Just Like Heaven. Gabriele Vecchini li ha uniti perché magari sono la stessa cosa. In fondo il dolore resta per chi resta e ricorda. Lele adesso non sente più dolore, non ha più bisogno di sorridere comunque, ha trovato comunque la pace. Quella dei giusti, a prescindere, in qualunque luogo e in qualunque forma sia adesso. Restano per lui i ricordi e la musica. Qui in terra e anche al di sopra delle stesse nuvole.

Nazzareno Condina

 

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