Si parla di 'fare rete' ma sul nuovo ospedale ognuno pensa al proprio orticello
«Fare rete» è condivisione, solidarietà e altruismo. E’ guardare oltre il proprio ombelico. E’ unità per raggiungere un obiettivo. E’ anche fastidio, irritazione, presa per il culo se alle parole non seguono i fatti. Se si predica bene e si razzola male.
«Fare rete». E’ moda e omologazione. E’ mainstream. Pandemia linguistica, panacea di mali e storture, base per lo sviluppo e traghetto per un radioso futuro, «fare rete» è presenza fissa quasi in ogni documento, dichiarazione, conferenza, conversazione, dibattito, tavola rotonda, ovale e quadrata di politici, sindacalisti, amministratori pubblici e privati. Soprattutto è must, di quaquaraquà di qualsiasi foggia e colore. E’ essere à la page che, per coloro senza idee proprie, è un orgasmo ogni volta che possono esserlo.
«Fare rete» è condivisione, solidarietà e altruismo. E’ guardare oltre il proprio ombelico. E’ unità per raggiungere un obiettivo. E’ anche fastidio, irritazione, presa per il culo se alle parole non seguono i fatti. Se si predica bene e si razzola male.
La rete cremonese si è strappata nelle settimane scorse, danno collaterale del covid-19. L’ipotesi di un nuovo ospedale per Cremona ha mandato in fibrillazione la politica, ha tolto lucidità e freddezza. La pancia ha sopraffatto la testa. Al calma e gesso è subentrata la fregola del prendi i soldi e costruisci, facile scorciatoia per riscuotere applausi, ma non sempre scelta migliore per il bene comune.
«Se non prendiamo questa opportunità, se ci soffermiamo a fare mille obiezioni, altri territori vicini a noi, come Piacenza, dove c’è già un progetto, ci supereranno. Ora serve procedere con il progetto, il problema non è la rinuncia al Mes, a noi interessa che i nostri figli abbiano un ospedale che risponda ai loro bisogni» (Cremonaoggi 2 luglio) ha ammonito un consigliere comunale di Cremona.
Competizione è l’antitesi di fare rete. Piacenza è in Emilia e i soldi sono della Lombardia. Niente da cartellino rosso, tuttalpiù un giallo. Basta un sorriso: la foga oratoria ogni tanto induce a correre per arrivare primi e a cambiare i confini geografici.
Merita, invece, più attenzione la preoccupazione per i bisogni dei nostri figli. Citare i giovani virgulti titilla le corde dei buoni sentimenti. Fa pensare a De Amicis, al libro Cuore, alle maestre di una volta. I pischelli funzionano sempre nella retorica del consenso. L’aveva già capito Gesù Cristo duemila anni fa, con i miglior claim pubblicitario dell’epoca: «Lasciate che i pargoli vengano a me».
A un politico non si può negare l’utilizzo della seduzione emotiva, però anche noi, incartapecoriti, ma non ancora da gettare nello sciacquone, abbiamo dei bisogni legati alla salute. Insomma ci teniamo alla nostra pelle. I figli sono sempre meno e noi sempre di più e la strage del virus e il boom di nascite di questi giorni non modificano la statistica. E forse più che ospedali nuovi a noi diversamente giovani è necessaria una medicina di prossimità efficiente.
Nessuno è contrario pregiudizialmente al nuovo ospedale. L’errore è il modo con il quale è stato affrontato il problema.
L’ipotesi è stata estrapolata dal contesto di una sanità provinciale sinergica tra territorio e ospedale. E’ stato privilegiato il particolare prima dell’insieme. Si è invertita la procedura. Si è partiti dal dettaglio (ospedale), invece che dal generale (sanità provinciale).
Lo ha sintetizzato bene un altro consigliere del comune di Cremona. «Come si fa a progettare un Ospedale senza avere un progetto complessivo ed ampio di revisione territoriale? (Cremonaoggi 3 luglio).
Per ora nessuno ha risposto.
Medicina del territorio e medicina ospedaliera sono vasi comunicanti. Si influenzano a vicenda. Decidere un nuovo ospedale senza inserirlo in un piano organico di sanità provinciale che contempli una rete (questa reale) tra le due strutture è sbagliato non solo concettualmente, ma anche proceduralmente.
Per esempio, se si prevede una medicina del territorio che riduca gli accessi al pronto soccorso, è inutile costruire un ospedale con un pronto soccorso sovradimensionato, senza dimenticare che a monte di tutto questo è indispensabile scegliere su quale sanità provinciale si vuole puntare.
Il direttore generale dell’Asst di Cremona ha incontrato i capigruppo del consiglio comunale del capoluogo. Quello dell’Asst di Crema ha parlato con i rappresentati dell’Area omogena.
Il direttore dell’Ats Valpadana nessuno lo ha sentito. Forse perché sta a Mantova.
Per restare al Vangelo. Si ha l’impressione che si proceda senza che la mano destra sappia quello che fa la sinistra.
Questo non è fare rete. Questo è pensare al proprio orticello. Se ci mettiamo i pargoli, il Po di Piacenza, Woody Guthrie con This Land Is Your Land è lo spot della provincia ideale. Ma non è la pubblicità che serve alla sanità locale. Non pigliamoci per i fondelli. Lasciamo i buoni sentimenti ad Harmony. Facciamo, invece, rete. Non solo a parole.
Antonio Grassi