Anche l'Inps conferma: dati su mortalità sottostimati. Lo studio
Arriva dall’Inps un’ulteriore analisi dei dati sulla mortalità nel periodo 1 marzo – 30 aprile, che mostra quanto abbia inciso l’epidemia nelle cinque province maggiormente colpite: oltre Cremona, Lodi, Brescia, Bergamo e Piacenza.
Arriva dall’Inps un’ulteriore analisi dei dati sulla mortalità nel periodo 1 marzo – 30 aprile, che mostra quanto abbia inciso l’epidemia nelle cinque province maggiormente colpite: oltre Cremona, Lodi, Brescia, Bergamo e Piacenza.
Il punto partenza è dato da una baseline costituita dalla mortalità media giornaliera negli anni 2015- 2019, ponderata con la popolazione residente. Prendendo solo il periodo dal 1 gennaio 2020 al 28 febbraio 2020 si nota che la mortalità è stata inferiore alla baseline: i decessi in Italia sono stati 124.662, 10 mila in meno rispetto alla baseline. Poi c’è stata un’inversione di tendenza: i morti tra marzo e aprile sono arrivati a 156.429, ovvero 46.909 in più rispetto alle attese. Di questi, solo 27.938 sono stati dichiarati decessi per coronavirus. “Tale quantificazione – si legge nello studio condotto dall’Inps – condotta utilizzando il numero di pazienti deceduti positivi fornito su base giornaliera dal Dipartimento della Protezione Civile, è considerata, ormai, poco attendibile”. La stima, infatti, è influenzata “dalla modalità di classificazione della causa di morte” e dall’esecuzione di un test con esito positivo. Inoltre, “se il decesso avviene in casa è molto difficile il tampone venga fatto”.
A questo punto ci si può chiedere: “quali sono i motivi di un ulteriore aumento di decessi pari a 18.971, di cui 18.412 tutti al Nord?” scrive l’Inps. La risposta è chiara: tenuto conto che il numero di decessi è piuttosto stabile nel tempo,”con le dovute cautele si può attribuire all’epidemia in atto una gran parte dei maggiori decessi avvenuti negli ultimi due mesi”. In effetti, come rileva il portale dell’Epidemiologia per la sanità pubblica, “la stagione 2019-2020 è stata caratterizzata da un periodo iniziale di bassa incidenza, che si è protratto fino alla fine di dicembre 2019, e da un intensificarsi dell’attività virale con l’inizio del nuovo anno. Nelle prime settimane del 2020, infatti, l’incidenza delle sindromi simil-influenzali è aumentata progressivamente fino al raggiungimento del picco epidemico nella quinta settimana del 2020, con un livello pari a circa 13 casi per mille assistiti, valore che colloca la stagione in corso a un livello di media intensità”.
TUTTO CAMBIA CON IL 1° DI MARZO. Fino al 30 aprile, l’eccesso di mortalità rispetto alla baseline è dell’84% al nord, dell’11% al centro e del 5% al sud. La media italiana segna +43%. Le cinque province del nord maggiormente colpite vedono un eccesso di mortalità superiore al 200%, come mostra la cartina elaborata dall’Inps:
L’attenzione dello studio si focalizza proprio su queste province: “Se analizziamo la distribuzione per età e sesso che deriva dalla differenza con la baseline si desume un’età media al decesso di 81,5 (78,5 anni per i maschi e 85,1 per le femmine). La percentuale di donne è risultata del 44,5% mentre nello stesso periodo riferito alla baseline risulta del 53,8%, a conferma che il virus colpisce maggiormente gli uomini.
“Nella presente nota – aggiunge lo studio – abbiamo ritenuto interessante analizzare la mortalità dei decessi anche in base alle “caratteristiche previdenziali” delle persone. Si tenga presente che il 94% dei deceduti nel 2020 sono soggetti che percepivano una o più delle seguenti prestazioni: pensione, assegno sociale, invalidità civile, indennità INAIL e assegno di accompagnamento. In particolare, è stata distinta la platea dei deceduti tra percettori e non percettori di indennità di accompagnamento. Il confronto è stato elaborato distinguendo il periodo prima di marzo e quello successivo. I risultati sono riportati nella figura 11 e figura 12 rispettivamente riferiti alle province più colpite e all’Italia. Sul totale dei decessi nelle province più colpite la percentuale dei percettori di indennità è pari al 54% con riferimento ai primi 2 mesi del 2020 e si abbassa al 45% nel periodo successivo.
I risultati esposti sembrerebbero in controtendenza rispetto a quello che ci si sarebbe aspettato visto che stiamo parlando di invalidi totali. Dare una spiegazione a questi risultati non è semplice pertanto si faranno solo delle considerazioni. La platea dei percettori di indennità di accompagnamento non coincide necessariamente con la platea dei malati con patologie gravi, ritenuti i più esposti al virus, ma sicuramente ne rappresenta una parte: l’invalido totale per la sua condizione di non autosufficienza ha una vita sociale limitata che probabilmente lo espone meno al contagio”.
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