Dalla 'patente di immunità' al 'nessun valore diagnostico': la Regione e i test sierologici
Inchiesta, nel frattempo, della Procura di Milano sull'affidamento diretto a Diasorin.
Dalla patente di immunità al “nessun valore diagnostico, solo epidemiologico”. E’ stata questa la traiettoria dei test sierologici nelle parole della Giunta regionale guidata da Attilio Fontana. Intanto, come riporta l’Ansa, la Procura di Milano ha aperto un fascicolo conoscitivo sulla scelta di Regione Lombardia di incaricare con affidamento diretto la multinazionale Diasorin per la sperimentazione dei test sierologici, portata avanti in collaborazione col Policlinico San Matteo di Pavia e in uso anche a Cremona.
Alessandro Venturi, presidente della Fondazione IRCCS del Policlinico San Matteo di Pavia, nella conferenza stampa convocata da Regione Lombardia lo scorso 7 aprile aveva sottolineato: “Serviranno per determinare l’immunità: non è dato sapere se il virus resta, ma ciò che sappiamo con certezza è che lo sviluppo di questi anticorpi certifica chi ha fatto il coronavirus ed è protetto dalla malattia”. “Il test – aveva aggiunto Fontana – serve a rilevare che una persona che ha contratto il virus, considerata guarita perché negativa a due tamponi a distanza di qualche giorno, ha sviluppato quegli anticorpi che gli consentiranno di non ammalarsi di nuovo. Quindi da una parte ci sarà chi riceverà una ‘patente di immunità’, dall’altra parte, chi non risulterà immune, dovrà continuare a mantenere le precauzioni attualmente adottate per tutti”.
Un concetto, quello della patente di immunità, ribadito anche nelle settimane successive: il 14 aprile, ad esempio Fontana annunciava: “Dal 21 aprile ci sarà il riconoscimento del test sierologico sviluppato al Policlinico San Matteo di Pavia che riuscirà a individuare chi ha avuto il coronavirus e ha un numero sufficiente di anticorpi per garantirgli la copertura”. Due giorni dopo, il 23 aprile, era dunque partita la sperimentazione di questi test sierologici anche presso le Asst di Cremona e Crema. Durante il Consiglio regionale del 4 maggio, però, nelle parole dell’assessore al Welfare Giulio Gallera è iniziato a trapelare qualche dubbio: il test individuato da Regione, infatti, è in grado di trovare anticorpi che “neutralizzano in maniera efficace e definitiva il virus”, ma “almeno temporaneamente”, perché “non abbiamo certezza di nulla”. Tuttavia, Gallera era fiducioso perché sicuro che i test fossero “in grado di darci una valutazione di tipo diagnositco e hanno l’aspirazione di sostituire il tampone, che ha limiti oggettivi in tutto il mondo che sono macchine e reagenti, dato che (il test, nda) cerca gli anticorpi neutralizzanti”, a differenza di “quelli del Governo che servono solo per uno studio epidemiologico”.
Ieri, dando il via libera anche ai privati, però la situazione è cambiata di nuovo: l’assessore al Welfare afferma che “il test sierologico non ha una valenza diagnostica, ma epidemiologica, quindi abbiamo previsto che per certe comunità o gruppi, come le aziende, si possa fare uno screening” per capire come si sia diffuso il virus. “Anzi – aggiunge Gallera – rischia di essere per il singolo pericoloso, perché se dopo un test seriologico risultato negativo vuol dire che non ho ancora sviluppato gli anticorpi, ma ciò non vuol dire che non ho la malattia e non sto infettando, perché gli anticorpi si sviluppano da 2 a 12 giorni dopo che si è contratta la malattia: quindi il fatto di essere negativi non significa che non si ha la malattia. Dall’altro se sono positivo, cioè ho gli anticorpi, non è detto che non stia infettando. Si può rimanere positivi anche per due, tre o quattro settimane. E’ la classica persona che risulta avere tanti anticorpi ma ha anche il virus che infetta”. Gli stessi dubbi che, fino alla conferenza stampa di ieri, erano stati sollevati da più parti, ma, almeno pubblicamente, non ancora presi in considerazione da Regione Lombardia.
mtaino