Salute

Covid, il 31 gennaio il primo caso cremonese. Pan: 'Difficile da identificare nelle fasi iniziali'

Non deve, però, sorprendere questa scoperta, come sottolinea lo stesso Pan: “L’ipotesi è stata fatta sulla base dei dati disponibili e, come succede spesso in caso di epidemie, si procede andando a ritroso: lo stanno facendo anche in Cina, ad esempio”.

Il primo caso stimato di coronavirus nell’area di Cremona è del 31 gennaio. Di capodanno, addirittura, il primo lombardo, fuori però dai tre focolai ritenuti i principali dallo studio (ovvero Cremona, Codogno e Bergamo) ed in particolare Il Giornale ipotizza, citando una fonte interna alla Task Force lombarda, che i primi segnali dell’epidemia sarebbero sorti ad Arese e a Conegliano Laudense, due Comuni di 20mila e 3mila abitanti.

E’ quanto emerge da uno studio intitolato ‘The early phase of the Covid-19 outbreak in Lombardy, Italy’, a firma di 24 studiosi, tra cui Angelo Pan, Direttore reparto Malattie infettive dell’ospedale di Cremona. Il report era già stato in parte rivelato nel mese di marzo (leggi qui), ma ora è possibile approfondire maggiormente i dati (qui il report completo). Lo studio identifica, in particolare, il cluster cremonese con i comuni di Castelverde, Persico Dosimo, Sesto ed Uniti, Stagno Lombardo, Bonemerse, Spinadesco e Pieve d’Olmi cui si aggiunge il capoluogo.

Secondo gli scienziati, che hanno analizzato “i primi 5.830 casi confermati in laboratorio” in Lombardia e ha scoperto che “l’epidemia in Italia è iniziata molto prima del 20 febbraio 2020” (nel periodo 14 gennaio – 8 marzo). All’8 marzo erano 910 i casi riconducibili alla provincia di Cremona. “Al momento del rilevamento del primo caso Covid-19 – si legge ancora – l’epidemia si era già diffusa nella maggior parte dei comuni del sud-Lombardia”. Si stima, dunque, che il 20 febbraio, data del primo caso accertato, quello di Codogno, circa 1.200 persone accusavano i sintomi da infezione da coronavirus. Proprio il 20 febbraio, l’indice Rt (quello che analizza la contagiosità) a Cremona arriva al suo punto massimo (fino al 23 febbraio, nda) arrivando intorno a quota 4: significa che ogni persona contagiata ne infetta altre quattro.

Non deve, però, sorprendere questa scoperta, come sottolinea lo stesso Pan: “L’ipotesi è stata fatta sulla base dei dati disponibili e, come succede spesso in caso di epidemie, si procede andando a ritroso: lo stanno facendo anche in Cina, ad esempio”. “Il problema – spiega il medico cremonese – è che un’epidemia richiede un certo numero di casi per essere identificata, ma è difficile da identificare nelle fasi iniziali, per cui per i primi tempi va girando e si diffonde, anche in maniera critica come nel caso del Covid-19. Questo a maggior ragione vale per una malattia che non si conosce e che ha avuto una diffusione non evolutiva, ma esplosiva”.

Pan quindi aggiunge: “La cosa che spesso colpisce e che ci viene imputata è relativa al motivo per cui ci si è impiegato così tanto tampo ad identificare la malattia. Noi però eravamo focalizzati su pazienti che avevano avuto contatti con persone di rientro dalla Cina, ma in ospedale non erano arrivate persone con queste caratteristiche”. Anche la prima diagnosi di coronavirus Cremona è stata dovuta più ad un’intuizione e a “dati di contorno” piuttosto che a dati certi, considerato che il paziente lavorava sì con colleghi cinesi, ma che non erano stati in patria. “Certo – conclude il medico – magari si poteva arrivare ad una diagnosi precoce, ma nessuno aveva mai visto questa malattia: ora ci sembra banale perché ne abbiamo viste centinaia, ma al 20 febbraio non era così”.

mtaino

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