Cronaca

Testi sierologici di massa: sono davvero un'opportunità?

Nel diciassettesimo secolo le case degli appestati venivano evidenziate con una croce. Rossa in Inghilterra. Bianca a Bergamo, predittiva della Vandea democristiana che sarebbe diventata. Nel ventunesimo secolo, il covid-19 ha sostituito la peste e i test sierologi le croci, con il vantaggio di non imbrattare i muri.

I test non marchiano gli appestati, ma gli immuni al virus. Segnalano coloro che, colpiti dal killer, lo hanno fottuto e prodotto anticorpi per difendersi da nuovi attacchi. Salvacondotto per passare indenni a nuove imboscate del virus, la presunta immunità presenta il limite di non avere una data di scadenza certa. Due mesi? Un anno? Per sempre? E’ un guaio.

I test non permettono di fare i gradassi, di mandare a quel paese il bastardo. Non rilasciano la patente di immunità.

La presenza degli anticorpi specifici certificano che il corpo ha già ospitato l’intruso malefico ma non assicurano né che sia stato sconfitto, né che sia ancora attivo. Per stabilirlo sarebbe necessario un secondo esame sierologico a distanza di 5-10 giorni. Senza dimenticare che il virus-camaleonte potrebbe mutare e ingannare il sistema immunitario e, di fatto, rendere inutile il test fatto.

I sostenitori del test di massa assicurano che sono attendibili. La scienza è più prudente. Non mette la mano sul fuoco per quelli rapidi: un puntura al dito e via andare. Più benevola per quelli con il prelievo del sangue.

Le croci erano gratuite. I test garantiscono palle d’oro a chi li produce. E infatti è già partito un ricorso al Tar da parte di un’azienda di Lodi contro la concorrente, scelta dalla Regione Lombardia per sperimentare i test nel territorio regionale. Il Tar si pronuncerà il 13 maggio. Milioni di euro non contemplano la solidarietà.

Le croci discriminavano. Anche i test.

E qui il discorso si fa delicato e complesso. Essere fraintesi è un attimo. Ma è un rischio che vale la pena correre senza entrare nel merito di questioni specifiche di scienziati e ricercatori. Nessuna disquisizione sulla produzione di immunoglobuline di classe IgGe IgM. Nessuna dissertazione se tale produzione per il covid-19 avvenga o meno con tempi più lunghi rispetto ad altri virus. Nessuna parola sul valore soglia al di sopra del quale un aumento significativo di immunoglobuline è segnale di sieroconversione. Niente, meglio poco, di tutto questo.

Ridotto all’osso, il problema è: qualora il test venga esteso a tutta la popolazione è giustificabile in termini economici, etici, politici?

Al netto dei limiti citati, è indubbio che il test sierologico sia il mezzo più efficace per salvaguardare i lavoratori maggiormente a rischio contagio. Ora se su 100 lavoratori a rischio, sessanta sono immuni e quaranta no, quale azione è prevista? Si lasciano casa i quaranta che il cecchino non ha centrato?

Se si generalizza il problema si creano due classi distinte: i Clark Kent ai quali è concesso il diritto a lavoro, divertimento, mobilità e gli sfigati ai quali queste libertà potrebbero essere negate. Se si aggiunge che alcuni politici hanno ventilato l’istituzione di una covid-card si intuisce che la questione non sia da sottovalutare. Viene da pensare a 1997 Fuga da New York, e a tutti gli altri film su un futuro con un mondo distopico e claustrofobico, governato dalla dittatura della scienza.

In Cina, nella provincia di Hubei i cittadini sono stati catalogati con un Qr code. Verde, vai tranquillo, produci e consuma. Giallo, adelante Pedro con juicio. Rosso, fermo lì, non ti muovere. Pare di vederlo il sergente Gunny: «È meglio che prendi nota. Io sono cattivo, incazzato e stanco. Sono uno che mangia filo spinato, piscia napalm e riesce a mettere una palla in culo a una pulce a 200 metri».

Se così stanno le cose, è comprensibile che sorgano dubbi sulla opportunità di utilizzare in massa i test sierologici. Anzi, viene il sospetto che sia la prima tappa di un percorso che trasformi parte della popolazione nella pulce centrata da Clint Eastwood.

Non ho la risposta al quesito posto sull’opportunità economica, morale e politica di procedere a test sierologici di massa. Non è compito mio, ma di tutti.

Presi dall’assillo di fermare il male e di fare ripartire l’industria e il commercio, il problema è stato dimenticato. Forse è il momento di colmare la lacuna. E di affrontarlo.

Antonio Grassi – sindaco di casale Cremasco-Vidolasco

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